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Posso rifiutarmi di prendere il patentino per il muletto e i rischi che corro se mi oppongo

di Chiara Compagnucci pubblicato il
Patentino per il muletto

Il dipendente che non intende conseguire il patentino per il muletto ha una sola strada percorribile

L’uso del carrello elevatore non è più considerato una competenza da apprendere sul campo. L’accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2012, recepito all’interno del Testo Unico sulla Sicurezza, ha stabilito che chiunque conduca un muletto debba aver frequentato un corso specifico di abilitazione, composto da moduli teorici e pratici. Non si tratta di una formalità burocratica: la normativa nasce per tutelare la sicurezza sul lavoro e prevenire incidenti, spesso anche gravi, che coinvolgono proprio questo tipo di attrezzatura.

L’azienda che assegna un lavoratore a una mansione per la quale è richiesta una formazione certificata ha l’onere giuridico di garantire tale formazione, documentandola in modo tracciabile. Affidare un muletto a un dipendente privo di patentino comporta rischi penali per il datore, che può essere accusato di negligenza o colpa grave in caso di incidente, anche se il lavoratore ha esperienza. Non è ammesso nessun compromesso in tal senso: né la buona fede, né la prassi interna possono giustificare l’assenza del certificato.

Dal punto di vista contrattuale, il lavoratore subordinato è tenuto ad eseguire le disposizioni impartite dal datore di lavoro nell’ambito delle mansioni affidate. Se tra queste rientra la conduzione del muletto, la formazione obbligatoria è un prerequisito funzionale, non un'opzione. Il rifiuto immotivato e reiterato di frequentare il corso può essere interpretato come grave insubordinazione, con potenziali conseguenze disciplinari fino al licenziamento per giusta causa.

Le alternative al patentino

Il dipendente che non intende conseguire il patentino per il muletto ha una sola strada percorribile: chiedere una ricollocazione interna su ruoli che non prevedano l’utilizzo del mezzo. Questa richiesta, però, può essere accolta solo se il contratto collettivo applicato e l’organizzazione aziendale lo permettono. L’azienda non è tenuta a creare una posizione ad hoc: deve valutare se esiste una mansione vacante e compatibile, senza alcun obbligo di mantenere in servizio un dipendente non idoneo al compito per cui è stato assunto.

Nel caso in cui non ci siano alternative valide, il datore può valutare, in via temporanea, un demansionamento. Tuttavia, anche questo scenario è regolato dalla legge: deve esserci il consenso del lavoratore e non può comportare un trattamento economico discriminatorio. Se il demansionamento comporta un abbattimento del salario o una modifica del ruolo, il dipendente ha il diritto di rifiutare la proposta, ma a quel punto si apre la possibilità di una risoluzione del rapporto per giustificato motivo oggettivo.

Le conseguenze del rifiuto, cosa rischia il lavoratore

Nel caso in cui il dipendente rifiuti il corso e l’utilizzo del muletto senza un giustificato motivo e senza la possibilità di assegnazione alternativa, l’azienda può avviare un procedimento disciplinare che, nei casi più gravi, sfocia nel licenziamento per giusta causa. Questa fattispecie si realizza quando il comportamento del dipendente è considerato grave da rompere il rapporto fiduciario in modo irreversibile. I tribunali, in casi simili, hanno dato spesso ragione al datore di lavoro, soprattutto quando si dimostra che il ruolo comportava necessariamente l’uso del muletto.

Oltre alla perdita del posto di lavoro, il lavoratore può subire danni economici diretti, derivanti dal mancato stipendio e dalla difficoltà di ricollocarsi in ruoli equivalenti. Ma esiste anche un rischio reputazionale: l’insubordinazione motivata da ragioni non oggettive può compromettere la possibilità di ottenere nuove assunzioni nello stesso settore. In casi estremi, se il rifiuto genera situazioni di pericolo o interferenze nei processi produttivi, il lavoratore può essere denunciato per interruzione di pubblico servizio o per comportamento doloso.