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Tra il 2025-2035, ci saranno 6 milioni di lavoratori in meno perché andranno in pensione. Cosa farà lo Stato? E le aziende?

di Marcello Tansini pubblicato il
Cosa farà lo Stato

Tra il 2025 e il 2035, l'Italia si troverà ad affrontare una riduzione della forza lavoro per effetto dell'esodo generazionale. Questo cambiamento metterà sotto pressione welfare, mercato del lavoro e sostenibilità dei sistemi pubblici.

Il rapido aumento dell'età media, un bassissimo tasso di natalità e la previsione di oltre 6 milioni di lavoratori in meno fra il 2025 e il 2035 delineano scenari di forte impatto sulla società e sull'economia nazionale. Tali cambiamenti pongono questioni profonde sulla tenuta della crescita, del welfare e dei conti pubblici, richiedendo analisi attente e risposte innovative da parte delle istituzioni e del tessuto produttivo.

L'impatto dell'esodo generazionale: numeri, squilibri e conseguenze

Si prevede che oltre sei milioni di occupati lasceranno il mondo del lavoro nei prossimi dieci anni, fenomeno conosciuto come esodo generazionale. Questa dinamica, secondo le analisi dell'Inapp e dei principali osservatori demografici quali Istat e OCSE, porterà a una riduzione della popolazione in età lavorativa del 34% entro il 2060, impattando in modo significativo il sistema economico e produttivo nazionale.

Il tasso di natalità, ormai sceso sotto 1,2 figli per donna, non consente il naturale ricambio intergenerazionale. La popolazione residente, stimata oggi in circa 59 milioni di abitanti, potrebbe ridursi a meno di 55 milioni entro il 2050 secondo le stime Istat, aggravando il rapporto tra persone in età attiva e non attiva. È previsto un passaggio dall'attuale rapporto di quasi 3 a 2 lavoratori per ogni inattivo a una situazione di sostanziale parità, con la conseguenza che ogni singolo lavoratore dovrà sostenere un numero sempre maggiore di pensionati e persone a carico. In pratica:

  • Distribuzione territoriale irregolare: Il fenomeno è più accentuato nel Sud Italia, dove sono diffuse province con più pensionati che lavoratori, e nel Nord, da cui proviene il 75% degli occupati prossimi al pensionamento.
  • Spostamento delle fasce d'età: Dal 2004 ad oggi la componente 50-74 anni supera di oltre 4 milioni quella dei giovani 15-34 anni.
  • Emergenza inattivi: Circa il 33% della popolazione in età da lavoro è inattivo, tra cui oltre 7,8 milioni di donne e 1,4 milioni di giovani Neet (né occupati né in formazione).
Queste dinamiche determinano squilibri strutturali con ripercussioni su produttività, competitività e coesione sociale. Il rischio sottolineato dagli esperti consiste nel vedere il sistema produttivo italiano affrontare un inverno demografico che potrebbe trasformarsi in stagnazione economica e sociale, se non verranno adottate strategie appropriate e tempestive.

Le ripercussioni sul welfare e sulla sostenibilità della spesa pubblica

L'uscita di milioni di lavoratori dai ranghi produttivi espone il welfare pubblico a tensioni crescenti. Attualmente, la spesa pensionistica ammonta al 15,3% del PIL, ma si stima che raggiungerà il 17% entro il 2040. Tale crescita, associata all'aumento delle pensioni di vecchiaia e della spesa sanitaria per la popolazione anziana, comporterà pressioni considerevoli sui conti pubblici:

Voce di spesa

Quota sul PIL (stima 2023)

Quota stimata 2040

Pensioni

15,3%

17%

Sanità

6,3%

6,4%

Assistenza a lungo termine (Long-Term Care)

1,6%

2,1%

Secondo la Ragioneria Generale dello Stato, le prestazioni sociali già oggi rappresentano oltre il 59% della spesa corrente. Un elemento di ulteriore criticità è l'incremento degli over-65 non autosufficienti, che superano i 4 milioni, a fronte di una rete di servizi assistenziali ancora limitata: solo il 7,6% è ospitato in strutture residenziali e il 30,6% riceve assistenza domiciliare integrata.

La rigidità del patto generazionale basato sulla ripartizione (i contributi dei lavoratori finanziano le pensioni) è sempre più difficile da garantire. Il rapporto tra occupati e pensionati si avvicina pericolosamente all'unità, aggravando la sostenibilità del sistema pubblico e ponendo le basi per una possibile revisione dei meccanismi di calcolo e delle modalità di accesso alla pensione.

La conseguenza immediata è il rischio di riduzione dei servizi, aumento della pressione fiscale e penalizzazione dei lavoratori attivi, con ripercussioni rilevanti anche sulla capacità di investimento pubblico in settori chiave come istruzione, infrastrutture e sanità.

Mercato del lavoro sotto pressione: difficoltà di ricambio e mismatch delle competenze

Il rapido ridimensionamento della forza lavoro italiana mette sotto stress la capacità del sistema di garantire ricambio generazionale e qualificazione adeguata. Il fenomeno è aggravato dall'elevato deficit di competenze tra domanda e offerta, noto come mismatch. Dal 2019 al 2024, la quota di posizioni lavorative considerate di difficile reperimento è quasi raddoppiata, passando dal 25,6% al 48,2%, corrispondenti a oltre 2,2 milioni di assunzioni difficili all'anno secondo Unioncamere:

  • Profili ricercati: Il gap riguarda in particolare settori a elevato contenuto tecnologico, industria 4.0, energia e sanità.
  • Conseguenze economiche: La mancanza di matching delle competenze costa all'Italia circa 44 miliardi di euro l'anno in termini di valore aggiunto non prodotto.
  • Disallineamento generazionale: Il 54,9% degli occupati ha più di 45 anni e oltre il 40% è over 50, evidenziando la carenza di giovani occupati e la minaccia di perdita di know-how e innovazione.
L'acuirsi dell'invecchiamento della forza lavoro rischia di compromettere la produttività totale dei fattori. Sebbene forme di flessibilità e innalzamento dell'età pensionabile abbiano temporaneamente sostenuto i livelli occupazionali degli over 50, la carenza strutturale di giovani e la limitata attrattività del mercato del lavoro per le nuove generazioni e per molti inattivi (Neet, donne non occupate) creano condizioni di crescente vulnerabilità per l'economia e per la stabilità sociale.

Le strategie dello Stato: politiche pubbliche, previdenza e riforme necessarie

La portata della sfida impone risposte articolate e strutturali. Gli esperti segnalano che politiche di sola revisione dei requisiti pensionistici non sarebbero sufficienti. Le proposte in campo includono:

  • Progressivo aumento dell'età pensionabile e limitazione delle forme di anticipo, puntando sulla permanenza volontaria e su percorsi graduali di “phased retirement”.
  • Recupero degli inattivi attraverso politiche attive del lavoro, servizi di supporto all'infanzia e strumenti di conciliazione vita-lavoro.
  • Riforma del welfare per differenziare le prestazioni fra anziani attivi e non autosufficienti, potenziando l'assistenza domiciliare e la telemedicina.
  • Incentivi a previdenza complementare: l'adozione di misure che favoriscano l'adesione a fondi pensione integrativi.
La durata breve dei cicli politici ostacola interventi di lungo respiro. Per questo motivo è auspicabile una governance inter-istituzionale in grado di coordinare strategicamente politiche demografiche, previdenziali, lavorative e di inclusione socio-economica.

Il ruolo delle imprese: innovazione, formazione e inclusione

Le aziende si trovano di fronte alla necessità di adottare strategie di medio-lungo termine per contenere i rischi legati sia al calo di lavoratori disponibili sia alla riduzione di competenze innovative. Le imprese sono chiamate a rispondere:

  • Automazione e innovazione: Introduzione di tecnologie avanzate, digitalizzazione dei processi e soluzioni di intelligenza artificiale per compensare la carenza di manodopera nelle fasi produttive più ripetitive o rischiose.
  • Formazione continua: Investimenti su upskilling e reskilling del personale per fornire nuove competenze adattive, soprattutto nei settori a maggiore richiesta tecnica e digitale.
  • Inclusione e diversity management: Sviluppo di politiche di age management, flessibilità oraria, conciliazione lavoro-famiglia e valorizzazione di talenti trasversali (giovani, donne, migranti, senior attivi).
L'efficacia degli incentivi alle assunzioni stabili dipende dall'abbinamento con programmi di qualificazione, semplificazione amministrativa e forti collaborazioni fra pubblico e privato per rimuovere ostacoli all'ingresso e favorire conversioni durature dei rapporti di lavoro. Solo così sarà possibile affrontare l'aumento delle distanze tra domanda e offerta, mantenere alti standard di qualità e garantire sostenibilità economica.

L'attivazione e il pieno coinvolgimento di alcune categorie storicamente sottoutilizzate rappresenta una prospettiva decisiva. Le statistiche confermano che su quasi 8 milioni di donne fuori dal mercato del lavoro, oltre un milione desidera lavorare, in gran parte nel Sud e nelle aree ad alto tasso di disoccupazione. L'80% di queste indica motivazioni familiari come principale barriera all'occupazione, rendendo indispensabile l'ampliamento di servizi all'infanzia, incentivi fiscali e flessibilità oraria.