La gestione delle mansioni lavorative rappresenta un elemento centrale nel rapporto tra datore di lavoro e dipendente. Questa relazione è regolata da un preciso quadro normativo che stabilisce diritti e doveri di entrambe le parti, definendo con chiarezza chi ha l'autorità di assegnare e modificare le mansioni all'interno del contesto aziendale.
Quando si parla di mansioni lavorative, è necessario distinguere due momenti fondamentali: l'assegnazione iniziale al momento dell'assunzione e l'eventuale modifica durante il rapporto di lavoro.
Nella fase di assunzione, la determinazione delle mansioni è prerogativa del datore di lavoro, che identifica il profilo professionale necessario all'azienda, delinea le attività che il dipendente dovrà svolgere e propone il corrispondente trattamento economico. Questo potere organizzativo deriva dall'art. 2086 del Codice Civile, che riconosce all'imprenditore la direzione dell'impresa.
Il lavoratore, accettando la proposta di assunzione, acconsente implicitamente allo svolgimento delle mansioni indicate nel contratto individuale di lavoro. Queste devono essere coerenti con la categoria e il livello di inquadramento stabiliti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) applicabile al settore di riferimento.
Ho assistito personalmente a numerosi casi in cui la mancata chiarezza nell'assegnazione iniziale delle mansioni ha generato controversie tra le parti. Per questo è sempre consigliabile che il contratto individuale specifichi dettagliatamente le attività che il lavoratore è chiamato a svolgere.
La situazione diventa più articolata quando si tratta di modificare le mansioni nel corso del rapporto di lavoro. Il datore mantiene il potere organizzativo delle risorse umane e può, in linea di principio, spostare un dipendente da un reparto all'altro con conseguente variazione delle mansioni.
Questo potere è tuttavia soggetto a limiti ben precisi, definiti dall'art. 2103 del Codice Civile, come modificato dal D.Lgs. 81/2015 (Jobs Act). La norma stabilisce che:
Una sentenza della Corte di Cassazione (n. 25673/2025) ha ribadito che il datore di lavoro non può arbitrariamente modificare le mansioni se ciò comporta un demansionamento del lavoratore, ovvero l'assegnazione a compiti di minor valore professionale rispetto a quelli precedentemente svolti.
Esistono tuttavia situazioni in cui il demansionamento è consentito dalla normativa:
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17624/2023, ha confermato che tali eccezioni devono essere interpretate restrittivamente e che il demansionamento deve comunque rispettare la dignità professionale del lavoratore.
I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro giocano un ruolo determinante nella definizione delle mansioni e nella regolamentazione della loro modifica. Ogni settore professionale ha il proprio CCNL che può prevedere specifiche disposizioni riguardo all'assegnazione e alla variazione delle mansioni.
Le revisioni dei CCNL previste per il 2025 introducono importanti cambiamenti in materia di classificazione del personale e mobilità professionale. Tra le principali innovazioni:
Ad esempio, il rinnovo del CCNL Terziario e Servizi per il 2025 prevede l'introduzione di nuove figure professionali legate all'e-commerce e alla gestione dei social media, con una più precisa definizione delle relative mansioni e responsabilità.
I diversi CCNL presentano approcci differenti alla questione delle mansioni. Ecco alcune specificità:
CCNL | Particolarità nella gestione delle mansioni |
Metalmeccanici | Prevede periodi di adibizione a mansioni superiori più brevi (3 mesi) per l'acquisizione del diritto alla promozione automatica |
Commercio | Consente maggiore flessibilità nella rotazione delle mansioni all'interno dello stesso livello |
Pubblico Impiego | Regole più rigide per il cambio di mansioni, con necessità di procedure formali |
Edilizia | Maggiore elasticità legata alla natura temporanea dei cantieri e alla variabilità delle esigenze operative |
L'orientamento della giurisprudenza ha contribuito significativamente a delineare i confini del potere datoriale in materia di assegnazione e modifica delle mansioni. Le sentenze della Corte di Cassazione hanno progressivamente chiarito vari aspetti della questione.
Un principio consolidato è quello della tutela della professionalità del lavoratore. Con la sentenza n. 4790/2023, la Suprema Corte ha ribadito che il lavoratore ha diritto a svolgere mansioni corrispondenti alla sua qualifica e che un'eventuale modifica non può comportare una diminuzione del patrimonio professionale acquisito.
Altro punto importante riguarda il demansionamento. La Cassazione, con la sentenza n. 7687/2025, ha chiarito che il demansionamento può configurare:
In caso di demansionamento illegittimo, il lavoratore può richiedere il ripristino delle mansioni originarie e il risarcimento dei danni subiti, che possono includere sia il danno alla professionalità che quello alla salute psicofisica.
Un caso significativo è rappresentato dalla sentenza n. 12817/2023, in cui la Cassazione ha riconosciuto il demansionamento di un quadro direttivo di una banca, al quale erano state sottratte responsabilità decisionali, pur mantenendo formalmente la qualifica. La Corte ha stabilito che il demansionamento può configurarsi anche quando, pur in assenza di un declassamento formale, vi sia un impoverimento delle mansioni effettivamente svolte.
Un'altra pronuncia importante è la n. 18506/2025, in cui la Cassazione ha riconosciuto la legittimità di un demansionamento disposto nell'ambito di una riorganizzazione aziendale finalizzata a fronteggiare una crisi economica. In questo caso, la Corte ha valutato che la modifica delle mansioni, pur comportando un inquadramento inferiore, era giustificata dall'esigenza di salvaguardare l'occupazione.
In caso di demansionamento illegittimo, il lavoratore dispone di diversi strumenti di tutela:
È importante che il lavoratore che si ritiene demansionato raccolga prove documentali della modifica delle mansioni e dell'eventuale danno professionale subito. La giurisprudenza ha chiarito che il demansionamento può essere provato anche attraverso testimonianze di colleghi o comunicazioni aziendali.
Per quanto riguarda il risarcimento del danno, questo può comprendere:
La quantificazione di tali danni è spesso affidata alla valutazione equitativa del giudice, che tiene conto della durata del demansionamento, dell'entità della dequalificazione e delle conseguenze concrete sulla vita professionale e personale del lavoratore.