L'idoneità lavorativa rappresenta un aspetto centrale della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, regolata da un complesso intreccio di norme, contrattazione collettiva e orientamenti giurisprudenziali.
La idoneità lavorativa si riferisce alla verifica, effettuata da un medico competente, della capacità fisica e psichica del lavoratore di svolgere in sicurezza le mansioni affidate. La normativa di riferimento principale è il D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro), che impone la sorveglianza sanitaria per tutti i lavoratori sottoposti a rischi specifici individuati dal Documento di Valutazione dei Rischi aziendale.
Le principali tipologie di visita medica comprendono:
Esiti della sorveglianza possono essere:
Se il giudizio medico attesta sia una inidoneità temporanea sia una non idoneità permanente alla mansione, il datore di lavoro è tenuto, secondo l’art. 42 del D.Lgs. 81/08 e secondo i principi espressi dalla più recente giurisprudenza, a valutare alternative organizzative prima di ogni altra azione. L’obbligo di repêchage impone:
Il datore non può procedere con la risoluzione del contratto senza aver dimostrato, anche in sede giudiziaria, l’impossibilità oggettiva di adibire il dipendente ad altre mansioni.
Il demansionamento, ovvero assegnare il lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle concordate originalmente, è disciplinato dall’articolo 2103 c.c. e dalle successive modifiche introdotte dal Jobs Act. Il datore di lavoro può procedere al demansionamento solo in circostanze tassativamente indicate dalla legge:
Il demansionato conserva formalmente inquadramento e retribuzione salvo che per quegli elementi direttamente legati alle mansioni (ad esempio, indennità di trasferta o cassa). Ogni demansionamento illegittimo può dare luogo a risarcimento del danno subito e, nei casi più gravi, a reintegrazione nelle mansioni d’origine. Particolare attenzione è riservata alle eccezioni per motivi sanitari: il datore, se assente piena idoneità, dovrà offrire formazione specifica e non potrà sanzionare ove la eventuale mancata prestazione sia dipesa dall’assenza di formazione.
La giurisprudenza ritiene il licenziamento per inidoneità una “extrema ratio”, legittima solo dopo aver escluso ogni alternativa ragionevole (Cass., Sez. Unite, n. 7755/1998; Cass. 6798/2018). Il licenziamento può essere:
Secondo l’art. 4 della Legge 68/1999 sono tutelati in modo particolare coloro che perdano l’idoneità a causa di infortunio o malattia professionale, e il licenziamento è escluso ove sia possibile la permanenza in mansioni equivalenti o inferiori.
Tanto il dipendente che il datore di lavoro possono impugnare il giudizio di idoneità del medico competente entro 30 giorni dalla comunicazione, presentando ricorso all’organo di vigilanza territoriale (generalmente ASL). Lamentando vizi o inesattezze della valutazione, essi hanno diritto a un nuovo accertamento tramite collegio medico.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 4757/2015 ha stabilito che il datore non può licenziare sulla base del solo giudizio del medico competente senza attendere l’esito del riesame, rafforzando così le garanzie in favore del lavoratore.
Durante il periodo di attesa per la decisione definitiva sulla propria idoneità, il lavoratore – salvo condizioni specifiche o indicazioni contrattuali più favorevoli – non ha generalmente diritto alla piena retribuzione per le giornate in cui non svolge attività lavorativa. Alcuni orientamenti (es. Tribunale di Benevento e di Torino) riconoscono tuttavia il diritto alla retribuzione se la sospensione non sia imputabile al lavoratore.