Dal 2006 il tuo sito imparziale su Lavoro, Fisco, Investimenti, Pensioni, Aziende ed Auto

Cosa succede quando un dipendente non è più idoneo ad una mansione in base normative, CCNL e giurisprudenza

Il giudizio di idoneità alle mansioni del lavoratore è espresso dal medico competente sulla base delle risultanze delle visite.

Autore: Chiara Compagnucci
pubblicato il
e aggiornato con informazioni attualizzate il
Cosa succede quando un dipendente non è

L'idoneità lavorativa rappresenta un aspetto centrale della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, regolata da un complesso intreccio di norme, contrattazione collettiva e orientamenti giurisprudenziali.

Definizione di idoneità lavorativa e sorveglianza sanitaria

La idoneità lavorativa si riferisce alla verifica, effettuata da un medico competente, della capacità fisica e psichica del lavoratore di svolgere in sicurezza le mansioni affidate. La normativa di riferimento principale è il D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro), che impone la sorveglianza sanitaria per tutti i lavoratori sottoposti a rischi specifici individuati dal Documento di Valutazione dei Rischi aziendale.
Le principali tipologie di visita medica comprendono:

  • Visita preventiva, per accertare l'assenza di controindicazioni allo svolgimento della mansione prima dell'assunzione;
  • Visita periodica, con cadenza stabilita dal medico competente in relazione ai rischi specifici;
  • Visita medica su richiesta del lavoratore, se motivata da condizioni di salute potenzialmente influenzate dall’attività lavorativa;
  • Visita al cambio mansione, dopo assenze lunghe o alla cessazione del rapporto.

Esiti della sorveglianza possono essere:

  • Idoneità piena;
  • Idoneità parziale (temporanea o permanente) con limitazioni o prescrizioni;
  • Inidoneità temporanea;
  • Inidoneità permanente.

Obblighi del datore di lavoro e gestione dell’inidoneità

Se il giudizio medico attesta sia una inidoneità temporanea sia una non idoneità permanente alla mansione, il datore di lavoro è tenuto, secondo l’art. 42 del D.Lgs. 81/08 e secondo i principi espressi dalla più recente giurisprudenza, a valutare alternative organizzative prima di ogni altra azione. L’obbligo di repêchage impone:

  • La ricerca di altre mansioni equivalenti in azienda (eventualmente anche a livello inferiore, in via eccezionale, tramite accordo individuale in sede protetta);
  • Solo in mancanza di alternative, la proposta di demansionamento con mantenimento della retribuzione e del livello d’inquadramento contrattuale (salvo eccezioni specifiche previste nel CCNL applicato);
  • Esclusivamente in assenza di ruoli compatibili o di possibilità di riadattamento organizzativo, si può ricorrere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, rispettando l’intera procedura di verifica e documentazione prevista dalla legge.

Il datore non può procedere con la risoluzione del contratto senza aver dimostrato, anche in sede giudiziaria, l’impossibilità oggettiva di adibire il dipendente ad altre mansioni. 

Il demansionamento: disciplina e limiti legali

Il demansionamento, ovvero assegnare il lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle concordate originalmente, è disciplinato dall’articolo 2103 c.c. e dalle successive modifiche introdotte dal Jobs Act. Il datore di lavoro può procedere al demansionamento solo in circostanze tassativamente indicate dalla legge:

  • Modifica degli assetti organizzativi aziendali che impatti sul posto del lavoratore e non consenta alternative equivalenti;
  • Previsione da parte del CCNL o di uno specifico accordo collettivo;
  • Accordo individuale in sede protetta con il lavoratore, volto a conservazione del rapporto, tutela occupazionale o esigenze personali.

Il demansionato conserva formalmente inquadramento e retribuzione salvo che per quegli elementi direttamente legati alle mansioni (ad esempio, indennità di trasferta o cassa). Ogni demansionamento illegittimo può dare luogo a risarcimento del danno subito e, nei casi più gravi, a reintegrazione nelle mansioni d’origine. Particolare attenzione è riservata alle eccezioni per motivi sanitari: il datore, se assente piena idoneità, dovrà offrire formazione specifica e non potrà sanzionare ove la eventuale mancata prestazione sia dipesa dall’assenza di formazione.

Il licenziamento per inidoneità: criteri e tutele giurisprudenziali

La giurisprudenza ritiene il licenziamento per inidoneità una “extrema ratio”, legittima solo dopo aver escluso ogni alternativa ragionevole (Cass., Sez. Unite, n. 7755/1998; Cass. 6798/2018). Il licenziamento può essere:

  • Per giustificato motivo oggettivo, esclusivamente quando la non idoneità impedisca in modo definitivo e oggettivo ogni utilizzazione del dipendente;
  • Per giusta causa, solo in presenza di gravi condotte disciplinari (non di semplici limiti di idoneità fisica o psichica);
  • In caso di inidoneità temporanea, il rapporto resta sospeso e il datore, ex art. 2087 c.c., deve astenersi dall’assegnare compiti non compatibili.

Secondo l’art. 4 della Legge 68/1999 sono tutelati in modo particolare coloro che perdano l’idoneità a causa di infortunio o malattia professionale, e il licenziamento è escluso ove sia possibile la permanenza in mansioni equivalenti o inferiori.

Procedura in caso di giudizio medico negativo e diritti di ricorso

Tanto il dipendente che il datore di lavoro possono impugnare il giudizio di idoneità del medico competente entro 30 giorni dalla comunicazione, presentando ricorso all’organo di vigilanza territoriale (generalmente ASL). Lamentando vizi o inesattezze della valutazione, essi hanno diritto a un nuovo accertamento tramite collegio medico.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 4757/2015 ha stabilito che il datore non può licenziare sulla base del solo giudizio del medico competente senza attendere l’esito del riesame, rafforzando così le garanzie in favore del lavoratore.

Effetti retributivi e obblighi durante la sospensione o l’accertamento

Durante il periodo di attesa per la decisione definitiva sulla propria idoneità, il lavoratore – salvo condizioni specifiche o indicazioni contrattuali più favorevoli – non ha generalmente diritto alla piena retribuzione per le giornate in cui non svolge attività lavorativa. Alcuni orientamenti (es. Tribunale di Benevento e di Torino) riconoscono tuttavia il diritto alla retribuzione se la sospensione non sia imputabile al lavoratore.

Leggi anche
Puoi Approfondire