L'accorpamento delle mansioni rappresenta una delle strategie che le aziende possono adottare per rispondere a esigenze di riorganizzazione interna, ottimizzazione delle risorse o adattamento a nuove condizioni di mercato. Questo processo, tuttavia, solleva numerosi interrogativi tra imprenditori e lavoratori, soprattutto in relazione alle normative attuali e ai criteri previsti dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL). L'applicazione corretta delle regole assume particolare rilevanza nel 2025, anno che vede confermarsi alcune delle innovazioni introdotte nel periodo recente sul tema dei rapporti di lavoro e delle competenze assegnate ai dipendenti.
La normativa vigente, consente all’azienda di procedere con l’accorpamento delle mansioni principalmente nei casi di ristrutturazione produttiva o di revisione dei processi organizzativi. Tali operazioni possono comportare la riduzione dei livelli contrattuali e la riallocazione di compiti rimasti senza una collocazione ben definita all’interno dell’organigramma.
La legittimità dell’accorpamento delle mansioni trova fondamento nell’articolo 2103 del Codice civile italiano, che stabilisce i criteri per l’assegnazione dei lavoratori alle mansioni e vieta cambiamenti arbitrari da parte del datore di lavoro. Secondo le più recenti interpretazioni, confermate dal Jobs Act, è possibile riassegnare il dipendente a nuove mansioni, purché queste siano comprese nello stesso livello di inquadramento e categoria legale.
Dal punto di vista concreto, accorpare le mansioni significa redistribuire i compiti tra meno risorse, riducendo spesso la pianta organica aziendale. Questa misura può riflettersi negativamente sull’occupazione, portando all’eventuale licenziamento per giustificato motivo oggettivo. L’azienda deve però dimostrare che la riduzione è reale e documentata, evitando pratiche scorrette, come l’assunzione di nuovi lavoratori per le stesse mansioni poco tempo dopo i licenziamenti.
La giurisprudenza e la prassi recente pongono particolare attenzione alla trasparenza delle motivazioni e alla necessità di coinvolgere gli organi di rappresentanza sindacale. Spesso i CCNL di settore prevedono procedure specifiche per la comunicazione e la gestione di queste situazioni.
Il riferimento normativo principale resta l’articolo 2103 del Codice civile, modificato dal Jobs Act, che nel 2025 continua a prevedere la possibilità per l’azienda di affidare al dipendente mansioni diverse, ma solo entro precisi limiti:
In alcuni casi, i CCNL prevedono regole interne più stringenti o percorsi di tutela specifici per i dipendenti interessati da processi di riorganizzazione.
L’accorpamento delle mansioni non può essere utilizzato come espediente per aggirare le tutele stabilite in favore dei dipendenti. Il datore di lavoro deve infatti rispettare:
In presenza di riorganizzazioni o accorpamento di mansioni, i lavoratori possono beneficiare di tutela anche attraverso il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali, oltre alla possibilità di contestare eventuali provvedimenti ritenuti irregolari.
In particolari tipologie contrattuali, ad esempio l’apprendistato e la somministrazione, l’accorpamento delle mansioni segue regole specifiche, spesso più restrittive. Nel caso degli apprendisti, ogni modifica sostanziale alle mansioni deve risultare coerente con gli obiettivi formativi e la progressione prevista dal contratto (cambiare mansioni durante contratto di apprendistato).
Per quanto riguarda i lavoratori in somministrazione, occorre tenere conto dei limiti imposti dal CCNL di settore e della posizione ricoperta dal dipendente all’interno dell’azienda utilizzatrice (chi decide le mansioni in un contratto di somministrazione).