L'indennità di accompagnamento rappresenta una misura assistenziale per supportare chi si trova in condizioni di salute gravemente compromesse. Gestita dall'INPS, questa prestazione non è automatica ma richiede una procedura specifica per essere ottenuta. Tuttavia, può accadere che, in alcune situazioni, il diritto venga revocato. Tra le principali motivazioni figurano la verifica delle condizioni sanitarie o esigenze di revisione stabilite dalla legge.
L'indennità di accompagnamento è riconosciuta ai cittadini che si trovano in uno stato di invalidità totale e permanente al 100%. Tale condizione deve essere accertata mediante una valutazione effettuata dalla commissione medica INPS. Il beneficio economico è erogato quando il soggetto non è autonomo nella deambulazione o nel compiere gli atti quotidiani della vita, come vestirsi o lavarsi. Non sono previsti limiti di età o requisiti economici per accedere a questa misura.
L'erogazione avviene mensilmente e non è soggetta a tassazione né pignorabile. Tuttavia, la sospensione del pagamento può verificarsi nel caso di un ricovero a totale carico dello Stato per un periodo superiore a 29 giorni, salvo specifiche eccezioni. Inoltre, per ricevere l'indennità, è indispensabile che il richiedente abbia residenza stabile in Italia.
La richiesta deve essere avviata attraverso il certificato medico telematico, redatto e trasmesso dal medico di base, che attesta le patologie del soggetto. Successivamente, entro 90 giorni, è necessario inviare domanda all’INPS per essere sottoposti alla visita finalizzata ad accertare i requisiti sanitari. Questo processo può essere gestito direttamente dal richiedente mediante accesso ai servizi online dell'INPS o con l'assistenza di un patronato.
La revoca dell'indennità di accompagnamento da parte dell'INPS può verificarsi in diverse circostanze, principalmente legate alla verifica o alla scomparsa dei requisiti sanitari necessari per il riconoscimento del beneficio. Una delle situazioni più comuni riguarda i casi in cui l'indennità sia concessa “a termine”, ovvero per un periodo limitato, solitamente in presenza di condizioni di salute temporanee. Alla scadenza del periodo di validità, il beneficiario è sottoposto a una nuova visita di revisione: se questa evidenzia un miglioramento delle condizioni tali da non giustificare più l'erogazione, l’indennità viene revocata.
Un'altra causa di revoca riguarda le visite “a sorpresa”, che l'INPS può effettuare anche nei casi in cui l'indennità sia stata concessa a tempo indeterminato. Gli accertamenti medici, in questi casi, servono a valutare se i requisiti sanitari che hanno originariamente giustificato la prestazione siano ancora validi. Qualora emerga il venir meno delle condizioni, l'INPS può procedere alla revoca immediata.
L’indennità può inoltre essere revocata se il beneficiario si rifiuta di sottoporsi ai controlli sanitari richiesti o se non si presenta alla visita senza fornire un giustificativo valido.
Contro la revoca dell'indennità di accompagnamento, il beneficiario ha diritto a presentare ricorso, purché vengano rispettati i termini e le modalità previsti dalla legge. È possibile impugnare il provvedimento di revoca presso il tribunale competente tramite un’azione giudiziaria mirata a dimostrare la persistenza dei requisiti sanitari necessari.
Per avviare il ricorso, non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa all'INPS. La Corte di Cassazione ha confermato che è sufficiente contestare direttamente il verbale negativo con cui la visita di revisione ha decretato la perdita del beneficio. Il termine per presentare tale ricorso è di sei mesi dalla notifica dell’esito della visita di revisione.
Nel corso del procedimento, il giudice può nominare un Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU), generalmente un medico legale, incaricato di verificare lo stato di salute del ricorrente. Questa consulenza tecnica è imprescindibile per accertare se le condizioni sanitarie effettivamente giustificano il ripristino dell'indennità.
Nel caso in cui il termine per il ricorso venga superato, il beneficiario ha comunque la possibilità di presentare una nuova domanda all’INPS ripetendo il processo di accertamento, partendo dalla trasmissione del certificato medico telematico.
La restituzione dell'indennità di accompagnamento percepita può essere richiesta dall’INPS solo in specifiche circostanze. Secondo la giurisprudenza consolidata, l’Istituto non può chiedere il rimborso degli importi ricevuti in buona fede, ossia quando il beneficiario non ha avuto alcun comportamento volto a indurre in errore l’ente previdenziale.
Non si deve procedere alla restituzione quando:
In particolare, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che in caso di revoca per miglioramento delle condizioni di salute, non si deve procedere alla restituzione delle somme già percepite, in quanto al momento dell'erogazione il diritto sussisteva.
In caso di richiesta di restituzione, è fondamentale valutare attentamente il provvedimento e, se necessario, farsi assistere da un patronato o da un legale specializzato in diritto previdenziale, in quanto esistono numerosi precedenti giurisprudenziali favorevoli ai beneficiari che possono essere utilizzati per contestare richieste di restituzione non dovute.