L’utilizzo reiterato di parole offensive, insulti e denigrazioni da parte di un genitore ai danni del proprio figlio bambino o adolescente può essere considerato dall’ordinamento italiano una forma di maltrattamento in famiglia.
La recente sentenza n. 30780 della Corte di Cassazione, emessa il 15 settembre 2025, ha segnato un ulteriore passo nell’interpretazione dei comportamenti che integrano questo reato, evidenziando come le violenze verbali, in particolare se costanti e dirette contro minori, possono dare origine a gravi conseguenze giudiziarie e sancire una tutela rafforzata della dignità e della salute psicologica dei figli.
Il Codice Penale italiano disciplina il reato di maltrattamenti in famiglia, applicabile anche a condotte di natura verbale, non solo fisica. Il reato si configura quando insulti, parole umilianti o atti denigratori sono rivolti in modo continuativo e consapevole verso figli minorenni, con lo scopo di annientare il loro equilibrio psicologico e la loro dignità morale.
La Cassazione ha stabilito che frasi come ”cicciona”, ”sei brutto”, “fai schifo” possano essere, se reiterate, il mezzo attraverso cui si attua una sopraffazione che genera sofferenza emotiva e morale nella vittima, in particolare considerando la naturale vulnerabilità di un soggetto in età evolutiva.
Nei casi esaminati dalla Suprema Corte, la continuità e la sistematicità delle offese sono state determinanti nella valutazione della gravità del comportamento. Non è sufficiente un episodio isolato: perché si parli di maltrattamenti, la condotta lesiva deve protrarsi nel tempo, dando origine ad un clima oppressivo e degradante all’interno della famiglia.
Gli insulti rivolti a un figlio assumono una connotazione particolarmente lesiva quando provengono da chi, per posizione di autorità e familiarità, dovrebbe invece svolgere una funzione protettiva. Riassumendo gli elementi individuati dalla giurisprudenza per la configurabilità del reato:
Dal punto di vista strettamente giuridico, il reato di maltrattamenti in famiglia è qualificato come reato abituale, cioè caratterizzato dalla ripetizione di atti lesivi nel tempo. È proprio la continuità delle offese, verbali o comportamentali, a conferire rilevanza penale al comportamento del genitore.
La giurisprudenza sottolinea, infatti, che episodi sporadici o isolati, come singole escluse manifestazioni di aggressività verbale, non integrano il reato. Tali fattispecie possono rientrare in altre ipotesi di reato meno gravi, come percosse o ingiurie.
Perchè si configuri un reato di maltrattamento in famiglia è necessario che:
Nella valutazione della sussistenza del reato, l’onere della prova spetta all’accusa, che deve dimostrare non soltanto gli episodi lesivi, ma soprattutto il carattere sistematico e attrattivo dei comportamenti rispetto alla fattispecie criminosa.
Le conseguenze legali per chi realizza abitualmente condotte vessatorie nei confronti dei figli possono risultare gravissime. La legge prevede una pena detentiva che può arrivare fino a sette anni, con aggravanti qualora le vittime siano minori d’età, persone con disabilità o donne in gravidanza.
Nei casi più gravi, se dai maltrattamenti derivano lesioni personali gravi o addirittura la morte, il legislatore stabilisce pene sensibilmente più severe, fino a ventiquattro anni di reclusione. Inoltre, il reato implica: