La depressione è una condizione clinica riconosciuta come motivo legittimo per richiedere giorni di malattia dal lavoro, così come accade per altre patologie. La durata dell'assenza, le condizioni per il rientro, e il rischio di licenziamento dipendono da numerosi fattori, tra cui il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro applicato al lavoratore, il periodo di comporto e la gestione da parte del datore di lavoro.
Con la depressione quanto si può stare a casa
Si rischia il licenziamento con la depressione?
Quando una persona soffre di depressione, il medico curante o uno psichiatra può prescrivere una malattia di durata variabile, basata sulla gravità della condizione. In Italia, il lavoratore ha diritto all'assenza per malattia fino al raggiungimento del cosiddetto periodo di comporto, che è il tempo massimo durante il quale il posto di lavoro è garantito al lavoratore.
Il periodo di comporto varia a seconda del CCNL e dell'anzianità lavorativa. In generale, sono di 3 mesi di malattia per chi ha un’anzianità inferiore a 10 anni e di 6 mesi per i lavoratori con oltre 10 anni di servizio.
Questi periodi possono essere continuativi o cumulativi, a seconda del tipo di contratto e delle eventuali norme aziendali. Alcuni contratti collettivi prevedono un periodo di comporto più lungo in caso di malattie gravi o croniche, come la depressione. Al termine del periodo di comporto, il lavoratore ha diritto a un'aspettativa non retribuita, che può prolungare l'assenza, mantenendo il posto di lavoro senza ricevere stipendio.
Per essere riconosciuta come valida malattia, la depressione deve essere certificata da un medico curante o psichiatra che rediga un certificato di malattia e lo invii all'Inps e al datore di lavoro. Solo medici abilitati possono rilasciare certificati di malattia per depressione, non psicologi o psicoterapeuti, sebbene questi ultimi possano fornire diagnosi e consulenze utili. Il certificato medico dovrà indicare la prognosi (ovvero la durata prevista dell'assenza) e potrebbe essere richiesto un aggiornamento nel tempo.
Durante il periodo di malattia, i lavoratori devono rispettare le fasce orarie di reperibilità per le visite fiscali. Nel caso di assenze dovute a depressione, le stesse regole delle altre patologie si applicano. Le fasce orarie variano in base al settore. Per il settore privato dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19. Per il settore pubblico dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18:
Uno dei timori principali per chi è in malattia per depressione è il rischio di licenziamento. Sebbene la depressione sia una condizione tutelata e riconosciuta come legittima malattia, ci sono scenari in cui il lavoratore potrebbe perdere il proprio posto di lavoro.
Se il lavoratore supera il periodo massimo di comporto previsto dal contratto collettivo senza tornare al lavoro o richiedere un’aspettativa, il datore di lavoro ha il diritto di avviare la procedura di licenziamento. In molti casi, prima di procedere con il licenziamento, il datore può proporre un'aspettativa non retribuita per trattamenti o recupero.
Se durante il periodo di malattia, il lavoratore viene sorpreso a svolgere attività incompatibili con lo stato clinico certificato, come attività sportive o partecipazione a eventi sociali, il datore di lavoro può contestare la validità della malattia e procedere al licenziamento per giusta causa. Per evitare tale rischio, il lavoratore deve assicurarsi di seguire le indicazioni mediche e di non svolgere attività che possano contraddire la diagnosi.
Se il lavoratore non rispetta le fasce orarie di reperibilità per la visita fiscale senza fornire giustificazioni valide o certificati medici, può subire sanzioni disciplinari che possono portare anche al licenziamento.
In caso di depressione grave e prolungata, il lavoratore deve mantenere una comunicazione regolare con il proprio medico e con il datore di lavoro. Oltre a fornire i certificati medici necessari, il lavoratore può discutere con il datore di lavoro la possibilità di richiedere un'aspettativa non retribuita o, in casi estremi, valutare il ricorso a forme di tutela legale come l'invalidità civile o la legge 104 che prevede tutele per chi assiste o è affetto da disabilità grave