La depressione è un disturbo dell'umore che influisce profondamente sulla qualità della vita e sulle capacità lavorative di chi ne soffre. Nel linguaggio comune viene definita una "brutta bestia", poiché non rappresenta semplice tristezza o dolore passeggero, ma un vero e proprio spegnimento dell'anima che può influenzare e talvolta paralizzare le attività quotidiane. Nei casi più acuti, è impensabile riuscire a lavorare con produttività ed efficacia.
Il sistema normativo italiano riconosce la depressione come una patologia a tutti gli effetti, con le relative tutele che ne conseguono. Il disturbo depressivo influisce negativamente sull'umore, sui pensieri e sulle azioni, compromettendo significativamente la capacità lavorativa, ma fortunatamente è anche curabile.
I dati dimostrano che la depressione colpisce molti adulti in Italia e può manifestarsi in qualsiasi momento della vita. Le statistiche indicano che le donne hanno maggiori probabilità di soffrire di depressione rispetto agli uomini, e alcuni studi evidenziano che circa un terzo di loro affronta almeno un episodio depressivo nel corso della vita.
Con la depressione è possibile assentarsi dal lavoro percependo l'indennità di malattia, analogamente a quanto avviene per altre patologie fisiche. La risposta è affermativa, ma per attivare l'erogazione dell'importo da parte dell'INPS è indispensabile la certificazione da parte di un medico.
Non è sufficiente una dichiarazione personale del lavoratore, ma occorre un documento ufficiale rilasciato a seguito di una visita specialistica. Il certificato medico rappresenta l'elemento centrale per l'attivazione di questo strumento poiché, oltre alle generalità del lavoratore, contiene anche l'indicazione del numero di giorni di assenza retribuita.
I primi tre giorni di malattia sono generalmente corrisposti dal datore di lavoro (la cosiddetta "carenza"), mentre i successivi vengono pagati dall'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale. L'importo dell'indennità varia durante il periodo di assenza:
È importante sottolineare che per l'intero periodo di malattia, anche il lavoratore depresso deve rispettare gli orari di reperibilità per le visite mediche di controllo, sia che si tratti di un dipendente privato sia di uno statale, salvo specifiche esenzioni previste dalla normativa.
Passaggio fondamentale è il riconoscimento della percentuale di invalidità per depressione, poiché in base all'assegnazione cambia l'accesso alle varie agevolazioni. La normativa vigente riconosce diversi livelli di invalidità, a seconda della gravità del disturbo depressivo.
Ecco i casi riconosciuti dalla normativa in vigore, dalla percentuale maggiore a quella minore:
Nelle tabelle ministeriali relative alle percentuali d'invalidità civile figurano anche altre forme depressive:
Per poter usufruire dell'assenza per malattia a causa di depressione, è necessario seguire una procedura specifica:
Va sottolineato che, sebbene la certificazione possa essere emessa dal medico di base, spesso è utile rivolgersi prima a uno specialista (psichiatra o psicoterapeuta) per ottenere una diagnosi clinica accurata, da presentare poi al medico di medicina generale per la redazione del certificato telematico.
La durata dell'assenza per depressione dipende dalla gravità della condizione e viene stabilita dal medico curante, che la indica sul certificato medico. Tuttavia, esiste un limite massimo, chiamato "periodo di comporto", entro il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Il periodo di comporto è stabilito dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) e dagli accordi aziendali, ma generalmente prevede una durata variabile in base all'anzianità di servizio:
È essenziale verificare il proprio contratto di lavoro per conoscere con esattezza il periodo di comporto applicabile alla propria situazione. Superare questo limite può comportare la perdita del diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Una questione particolarmente rilevante riguarda la possibilità per il lavoratore in malattia per depressione di svolgere altre attività durante l'assenza dal lavoro. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9647/2021, ha stabilito un principio importante: il lavoratore in malattia per depressione che esce di casa per distrarsi non tiene una condotta incompatibile con il suo stato di malattia.
La Corte ha chiarito che la malattia va intesa "non come stato che comporti l'impossibilità assoluta di svolgere qualsiasi attività, ma come stato impeditivo delle normali prestazioni lavorative del dipendente". Pertanto, attività di svago o ricreative non solo non pregiudicano la guarigione, ma in alcuni casi potrebbero addirittura favorirla.
Con l'ordinanza n. 30722/2024, la Cassazione ha ribadito questo principio, affermando che una condotta come lo svolgimento di attività ricreative durante l'assenza per depressione può avere valenza disciplinare solo se compromette la guarigione del lavoratore. La Corte ha precisato che l'impegno in attività ricreative non rappresenta un comportamento pregiudizievole rispetto alla patologia depressiva, e che è onere del datore di lavoro dimostrare l'incompatibilità dell'attività svolta con la ripresa psico-fisica.
Queste pronunce sanciscono un'importante novità in tema di malattia, prevedendo la possibilità di svolgere attività personali e ricreative compatibili con un potenziale miglioramento delle condizioni disabilitanti dovute allo stato depressivo.
Un aspetto particolarmente rilevante è rappresentato dalle situazioni in cui la depressione è direttamente causata dal lavoro. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 29611 dell'11 ottobre 2025, ha stabilito che ai lavoratori dipendenti spetta l'indennità di malattia professionale anche nei casi di ansia e depressione dovuti al loro impiego.
La Suprema Corte ha chiarito che "nell'ambito del sistema del Testo Unico in materia di infortuni sul lavoro, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione".
La depressione può essere considerata malattia professionale quando è causata da situazioni lavorative stressanti, come:
Per ottenere il riconoscimento della malattia professionale, il lavoratore deve dimostrare il nesso causale tra l'attività lavorativa e l'insorgenza della patologia depressiva. In questi casi, l'INAIL è tenuta a risarcire il lavoratore, come stabilito dalla sentenza n. 29611 del 11 ottobre 2025.
È importante sottolineare che il riconoscimento di una malattia professionale non implica automaticamente una responsabilità risarcitoria in capo al datore di lavoro. Come chiarito dall'INAIL con circolare n. 22/2020, tale responsabilità richiede un inadempimento effettivo dell'obbligo di sicurezza previsto dall'art. 2087 c.c., e non semplicemente il nesso di occasionalità tra la patologia e il lavoro.
È fondamentale distinguere tra due situazioni differenti: l'aspettativa non retribuita per disagio personale e l'aspettativa retribuita per depressione diagnosticata.
Il disagio personale, non accompagnato da sindrome depressiva diagnosticata, dà diritto a richiedere un'aspettativa non retribuita per gravi motivi personali, regolamentata dalla Legge n. 53/2000. Questa aspettativa può avere una durata massima di due anni nell'arco della vita lavorativa, con diritto alla conservazione del posto ma senza retribuzione.
La depressione diagnosticata, invece, essendo una vera e propria patologia, dà diritto ad assentarsi per malattia con retribuzione. Per godere di questo diritto, è necessaria la certificazione del medico che attesti la temporanea incapacità di svolgere la professione.
La durata dell'aspettativa retribuita è indicata nel certificato medico, mentre il periodo di comporto è stabilito dai CCNL. Durante questo periodo, il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro e a percepire l'indennità di malattia.