La decisione di Campari di mettere in vendita tre storici marchi di amari italiani, Averna, Braulio e Mirto Zedda Piras, segna una svolta per l'azienda e pone interrogativi sul futuro di lavoratori, territori e mercato.
L’annuncio dell’intenzione di cedere tre autentici simboli della liquoristica italiana ovvero lo storico Averna, il Braulio della Valtellina e il mirto sardo Zedda Piras, da parte di una delle principali aziende mondiali del beverage, segna una svolta per tutto il comparto. Questa scelta, comunicata dal gruppo guidato da Simon Hunt, apre nuovi scenari sia per le aziende potenzialmente interessate all’acquisizione sia per i lavoratori e le comunità legate alla storia di questi marchi. La cessione proposta coinvolge realtà che hanno plasmato il gusto e l’identità di interi territori e che ancora oggi rappresentano punti di riferimento per la tradizione del bere italiano.
La scelta di dismettere tre fra le etichette più radicate nella tradizione nazionale nasce dall’esigenza strategica di focalizzarsi sulle linee di prodotto a maggiore prospettiva di crescita internazionale. Il gruppo, negli ultimi mesi, ha progressivamente annunciato la volontà di ridurre il numero di marchi gestiti, passando dalla gestione di ben 72 brand ad una selezione più attenta a marginalità e sviluppo globale.
L’analisi del board ha portato alla conclusione che solo un numero ristretto di brand può venire valorizzato pienamente sul mercato internazionale. Il nuovo piano industriale, presentato durante lo Strategy Day di novembre, ha individuato la categoria aperitivi – che include Aperol e Campari – come asse portante delle strategie future, essendo essa già oggi responsabile di una parte rilevante del fatturato. Di conseguenza, circa trenta etichette considerate meno strategiche sono finite nella lista delle potenziali cessioni e alcune, tra cui Averna, Braulio e Zedda Piras, sono già oggetto delle prime trattative con potenziali acquirenti. Nel complesso, il giro d’affari annuale legato ai tre amari ammonta a circa 80 milioni di euro, confermando il loro peso economico e simbolico.
La decisione ha trovato conferma nelle dichiarazioni dell’attuale amministratore delegato, che ha sottolineato come nessun gruppo sia realmente in grado di sostenere la crescita di decine di marchi contemporaneamente: la strategia adottata punta a rafforzare e accelerare lo sviluppo dei prodotti maggiormente competitivi e rilevanti a livello globale, ridisegnando così le priorità d’investimento.
Averna, Braulio e Zedda Piras sono amari profondamente legati alla cultura italiana e alle rispettive regioni d’origine, frutto di savoir-faire e tradizione che affondano le radici nel XIX secolo.
La messa in vendita dei tre storici marchi ha attirato l’interesse sia di grandi operatori italiani sia di fondi di investimento, con una specifica attenzione di diversi gruppi già radicati nel settore dei distillati.
Fra i potenziali candidati spiccano:
La principale preoccupazione riguarda i lavoratori impiegati nei siti produttivi delle tre etichette, spesso localizzati in aree ad alta vocazione enogastronomica. Il cambio di gestione potrebbe determinare, nel breve periodo, una fase di incertezza sulle condizioni occupazionali o sulle strategie di rilancio dei territori. Tuttavia, i potenziali acquirenti italiani mostrano una maggiore propensione a preservare la continuità produttiva e a investire in nuove iniziative di valorizzazione territoriale.
Sul piano sociale, Averna, Braulio e Zedda Piras rappresentano più di semplici brand: incarnano identità locali, formule produttive trasmesse di generazione in generazione e numerose filiere di microfornitori. La loro tenuta dopo la cessione dipenderà dalla capacità degli eventuali nuovi proprietari di mantenere saldo il legame con le comunità, investendo in promozione turistica e tutela delle tradizioni. Il rischio percepito è che un acquirente privo di radicamento nel territorio possa, nel tempo, spostare parte della produzione o modificare ricette e filiere.
Infine, il settore degli amari italiani, già in forte competizione a livello internazionale, potrebbe assistere a una crescente concentrazione degli operatori e a nuove dinamiche di mercato. L’acquisizione da parte di gruppi specializzati o di dimensioni ridotte potrebbe favorire la valorizzazione di ogni marchio, tutelando la distintività e affrontando la sfida dell’internazionalizzazione. La prospettiva opposta – quella di una gestione orientata esclusivamente ai risultati finanziari – rischia invece di indebolire il patrimonio culturale ed enogastronomico italiano.