Negli ultimi anni, la domanda di combustibili alternativi e sostenibili per il settore automobilistico ha portato all’emergere di soluzioni provenienti da fonti rinnovabili. I biocarburanti si distinguono per la loro origine da biomasse vegetali o animali, a differenza dei tradizionali carburanti fossili come benzina e diesel. Questo permette non solo di ridurre la dipendenza da risorse esauribili, ma anche di intervenire sui livelli di emissioni nocive associate al trasporto su strada.
Il settore automotive identifica queste fonti energetiche rinnovabili fra le principali opzioni per abbattere le emissioni di gas serra e promuovere una transizione verso una mobilità più sostenibile. L’attualità vede una crescente attenzione sia da parte delle istituzioni europee che dei governi nazionali, con iniziative normative volte a favorire l’utilizzo di carburanti generati tramite processi sostenibili, senza tralasciare lo sviluppo di infrastrutture e filiere produttive dedicate. L’Italia, ad esempio, ha recentemente normato la possibilità di utilizzare questi combustibili su veicoli diesel già in circolazione, segnando un cambiamento di paradigma verso una transizione energetica più inclusiva.
Materie prime e tipologie di biocarburanti: dalle colture alimentari ai rifiuti organici
La diversità delle materie prime impiegate per la produzione di biocarburanti automobilistici rappresenta una delle principali risorse tecniche e strategiche di questo comparto. Dai cereali come mais e grano, passando per la canna da zucchero o la colza fino a raggiungere i residui organici e le biomasse di scarto, la gamma di possibilità adottate da industrie e centri di ricerca è in costante espansione.
- Biocarburanti di prima generazione: ottenuti da coltivazioni alimentari come mais, soia, colza e canna da zucchero. Il bioetanolo—derivato dalla fermentazione degli zuccheri—e il biodiesel—prodotto tramite trasformazione chimica di oli vegetali e grassi animali—sono oggi ampiamente presenti sul mercato automobilistico, sebbene abbiano sollevato preoccupazioni legate all’utilizzo di terreni agricoli e alla competizione con la produzione alimentare.
- Biocarburanti di seconda generazione: impiegano fonti non alimentari quali scarti agricoli, residui forestali, paglia, stocchi di mais ed altre biomasse lignocellulosiche. Questa categoria mira a superare il conflitto "food vs. fuel" minimizzando impatti sulla filiera alimentare, seppur con tecnologie di produzione ancora più complesse e costi di conversione elevati. Tra le alternative avanzate spiccano anche oli vegetali idrotrattati (HVO), ottenuti per idrogenazione di oli di scarto o grassi animali.
- Biocarburanti di terza e quarta generazione: in via sperimentale, utilizzano microalghe o organismi geneticamente ottimizzati, con il triplice obiettivo di massimizzare la produttività, minimizzare il consumo di risorse e rendere l’intero processo carbon negative. Un esempio interessante è l’impiego delle colture intercalari, come il covercross, che producono olio senza sottrarre superfici alla produzione alimentare, offrendo nuove prospettive per il settore.
Risulta evidente che
la costante evoluzione delle materie prime impiegate consente di adattare i processi produttivi ai contesti locali, valorizzando rifiuti organici e biomasse residuali per ridurre anche l’impatto complessivo della filiera sulla sostenibilità socio-ambientale.
Come funzionano i biocarburanti nelle auto: processi produttivi e tecnologie
Per alimentare efficacemente i veicoli, i biocarburanti devono essere prodotti attraverso processi altamente specializzati che variano sulla base della materia prima d’origine e del prodotto finale desiderato. Le principali tecnologie si distinguono per approccio biochimico, chimico o termochimico:
- Processi biochimici (fermentazione, digestione anaerobica): sfruttano microorganismi ed enzimi per la trasformazione della biomassa. Zuccheri semplici di mais o canna da zucchero vengono fermentati dai lieviti per ottenere bioetanolo, mentre la digestione anaerobica permette la produzione di biogas—composto principalmente da metano—a partire da scarti agricoli o fanghi di depurazione.
- Processi chimici (transesterificazione, idrogenazione): sono alla base della produzione di biodiesel, che nasce dalla reazione di oli vegetali con alcoli in presenza di catalizzatori per generare esteri metilici e glicerolo. Una versione più evoluta, l’idrotrattamento, porta all’HVO, combustibile di alta qualità compatibile con i motori diesel più moderni.
- Processi termochimici (gassificazione, pirolisi, liquefazione idrotermale): prevedono l’impiego del calore per convertire biomassa secca o umida in syngas, bio-olio e solidi residuali. Il syngas—miscela di idrogeno e monossido di carbonio—può essere ulteriormente trasformato in carburanti liquidi tramite sintesi chimiche avanzate.
L’efficienza, le prestazioni e la compatibilità di questi combustibili dipendono dalla tecnologia specifica, dal tipo di biomassa e dalla purezza finale del prodotto. Dal punto di vista dell’utilizzo, il biodiesel e gli oli idrotrattati possono essere impiegati nei veicoli diesel esistenti, mentre il bioetanolo viene spesso miscelato con la benzina tradizionale. Tali soluzioni consentono una progressiva transizione verso un parco circolante più sostenibile senza richiedere modifiche profonde ai motori o alle infrastrutture di distribuzione.
Vantaggi e sfide ambientali ed economiche dei biocarburanti
L’adozione di queste fonti alternative nel settore automotive offre una serie di benefici tangibili, senza trascurare però alcune sfide da affrontare.
| Benefici |
Sfide |
- Riduzione sostanziale delle emissioni di CO2 rispetto ai combustibili fossili. Alcune tecnologie, come l’HVO, possono garantire abbattimenti fino al 90% sull’intero ciclo di vita del carburante (well-to-wheel).
- Utilizzo di materie prime rinnovabili e spesso derivate da scarti organici, biomasse residuali e rifiuti alimentari, favorendo la circolarità dei processi produttivi.
- Compatibilità progressiva con i motori esistenti e possibilità di ammodernare il parco circolante senza sostituzioni massive dei veicoli.
- Sviluppo economico locale e valorizzazione delle filiere agricole ed energetiche, soprattutto in territori marginali o svantaggiati.
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- Costo ancora superiore rispetto ai carburanti convenzionali. La produzione di biodiesel o HVO presenta prezzi di mercato più elevati, che limitano la competitività rispetto alle soluzioni tradizionali.
- Impatto ambientale non sempre neutro: cicli produttivi energivori, utilizzo di fertilizzanti e consumo di suolo possono vanificare alcuni dei vantaggi rispetto ai carburanti fossili, se non adeguatamente monitorati e ottimizzati.
- Disponibilità limitata delle materie prime sostenibili nel breve periodo. La necessità di trovare fonti non in competizione con l’alimentare resta prioritaria.
- Complessità avanzata delle tecnologie di seconda e terza generazione, spesso accostata a processi di produzione e raffinazione più lunghi e costosi.
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Il confronto con l’elettrificazione del trasporto mostra inoltre che i biocarburanti, pur non raggiungendo sempre i livelli di neutralità carbonica auspicati, offrono una soluzione
immediata e compatibile con le esigenze dei settori non elettrificabili, come quello merci e dell’aviazione. Resta opportuno equilibrare le politiche di incentivo e regolamentazione per garantire un’adozione responsabile ed equilibrata.
Utilizzo dei biocarburanti nel trasporto privato e pesante: casi ed evoluzioni normative
L’impiego di questa categoria di carburanti nel trasporto su strada ha visto significativi sviluppi sia per le automobili private che per i mezzi pesanti. Nel trasporto privato, i principali prodotti utilizzati sono le miscele di bioetanolo con benzina (E10, E85) e il biodiesel, che può essere integrato nei motori diesel convenzionali.
Per i veicoli industriali, camion e autobus, i progressi nell’impiego di HVO hanno ampliato le possibilità di adozione senza la necessità di aggiornamenti significativi ai motori. Diversi costruttori (ad esempio Scania, Volvo, Mercedes-Benz, MAN, IVECO e DAF) stanno certificando ed equipaggiando i loro motori per supportare miscele di bio-carburanti, o addirittura l’impiego puro di queste fonti energetiche.
Dal punto di vista normativo, recenti decreti italiani prevedono la regolamentazione dell’omologazione e dell’installazione di sistemi per adattare i motori diesel esistenti all’utilizzo di HVO e altre alternative avanzate. Si tratta di una risposta concreta alle direttive europee (RED II, RED III, Fit for 55) che impongono severi limiti alle emissioni di CO2, stimolando la decarbonizzazione rapida dell’intero parco veicolare. Importante sottolineare che tali normative consentono anche agli operatori del settore logistico di ridurre le emissioni senza dover cambiare interamente la flotta, offrendo così una transizione graduale e sostenibile.
Prospettive future, innovazioni e impatto sulla decarbonizzazione del settore auto
Le prospettive per la filiera dei biocarburanti si stanno ampliando grazie a costanti innovazioni tecnologiche e a scenari normativi sempre più spinti verso la sostenibilità. Le ricerche su nuove materie prime, come le microalghe e le colture di copertura, lasciano intravedere margini di crescita sia per la produttività che per l’affidabilità ambientale.
Nel prossimo decennio si prevede l’integrazione graduale di carburanti ottenuti da processi di carbon capture e da biomasse appositamente ingegnerizzate, con l’obiettivo di raggiungere emissioni nette sempre più vicine allo zero. Il comparto trasporti, storicamente difficile da decarbonizzare, continuerà a beneficiare sia di incentivi governativi che di investimenti strategici effettuati da grandi gruppi industriali e startup innovative. L’impatto diretto sarà una progressiva riduzione delle emissioni, una maggiore resilienza delle filiere energetiche e una diversificazione del mix energetico per la mobilità del futuro.