Come il part time influisce su carriera e stipendio nel 2025: novità dalla sentenza della Corte di Cassazione 2024 su discriminazioni, diritti e avanzamento professionale
Quante volte i lavoratori part time sono stati oggetto di discriminazione nelle opportunità di avanzamento di carriera e soprattutto nei miglioramenti salariali, semplicemente perché, secondo il datore di lavoro, avendo lavorato meno ore, avrebbero accumulato meno esperienza?
Questo comportamento è legittimo o è una forma di discriminazione, specialmente nei confronti delle donne, che sono spesso le maggiori utilizzatrici di contratti part time?
La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 4313, ha deliberato che è illegittimo penalizzare le persone impiegate part time in termini di avanzamento economico rispetto ai colleghi full time. Tale discriminazione risulta particolarmente evidente nei confronti delle donne, spesso maggiormente rappresentate nel lavoro part time per ragioni familiari.
Secondo la Corte, l'idea che la durata dell'attività professionale sia strettamente correlata all'acquisizione di un certo livello di competenze o esperienze non consente di sviluppare criteri oggettivi e privi di discriminazione. Sebbene l'anzianità sia correlata all'esperienza, l'oggettività di tale criterio dipende dalle circostanze specifiche del caso, in particolare dalla relazione tra la natura della funzione svolta e l'esperienza acquisita attraverso un determinato numero di ore lavorative.
In altre parole, non esiste un automatismo che collega la riduzione dell'orario di lavoro alla riduzione dell'anzianità di servizio da considerare per gli avanzamenti economici.
La questione che ha spinto la Cassazione a pronunciarsi riguarda un'impiegata delle Agenzie delle entrate che aveva richiesto l'accesso a un concorso per un livello superiore, ma la richiesta le era stata negata dall'amministrazione in quanto lavorava part time e non aveva accumulato un numero sufficiente di ore lavorative.
La controversia è emersa quando l'Agenzia delle entrate ha cercato di impugnare una sentenza a favore dell'impiegata part time, che era stata giudicata meno meritevole di un avanzamento economico rispetto a un collega full time. La Corte ha respinto il ricorso, affermando che non è automatico presumere che chi lavora più ore acquisisca anche più esperienza o competenze. Numerosi fattori incidono sulla preparazione professionale e il numero di ore lavorate non è il determinante principale.
Inoltre, i giudici hanno notato che, essendo principalmente le donne a optare per il lavoro part time, penalizzare questo tipo di contratto nelle valutazioni per gli avanzamenti economici equivale a discriminare le donne rispetto agli uomini. Tale discriminazione è ancora più ingiusta considerando che le donne spesso scelgono il part time per gestire meglio gli impegni familiari e assistenziali, un ruolo che continua a ricadere principalmente su di loro nella società.
La sentenza della Cassazione stabilisce principi chiari per la valutazione del personale part time. Secondo i giudici, bisogna valutare le competenze e il merito dei lavoratori in modo equo, senza permettere che il tipo di contratto influisca negativamente sulle opportunità di avanzamento economico.
Il principio di non discriminazione prevede che:
La decisione della Corte di Cassazione assume particolare rilevanza nel contesto della discriminazione di genere nel mondo del lavoro. Le statistiche mostrano che le donne rappresentano la maggioranza dei lavoratori part time, spesso per necessità legate alla gestione familiare.
Penalizzare i contratti part time negli avanzamenti di carriera e negli aumenti stipendiali significa quindi colpire indirettamente le donne, creando una forma di discriminazione indiretta che viola i principi di parità di trattamento.
La sentenza sottolinea come questa pratica sia particolarmente dannosa perché:
Le aziende devono adottare criteri di valutazione oggettivi che considerino: