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Conto corrente cointestato e prelievi prima della separazione: quando sono legali, in che casi sono vietati e conseguenze

di Marcello Tansini pubblicato il
Separazione e conto corrente cointestato

Gestire un conto corrente cointestato durante la separazione può comportare dubbi sui diritti di prelievo, limiti legali, rischi di appropriazione indebita e modalità di suddivisione delle somme.

La gestione del patrimonio durante la crisi matrimoniale rappresenta una delle questioni più delicate nel diritto di famiglia. Quando la convivenza termina, emergono spesso dubbi su come vengano gestite le risorse comuni, soprattutto riguardo il conto corrente cointestato. Questa tipologia di conto bancario è utilizzata da molte coppie per la gestione condivisa delle spese familiari. Tuttavia, in caso di separazione, la questione su chi possa prelevare le somme e in quale misura assume una rilevanza tanto pratica quanto legale.

L'approccio impulsivo o non informato può comportare conseguenze rilevanti dal punto di vista sia civile che penale. Negli ultimi anni, la giurisprudenza italiana e, in particolare, alcune pronunce della Cassazione hanno definito regole chiare che, se non rispettate, possono portare a contestazioni, azioni di risarcimento o procedimenti per appropriazione indebita. Conoscere la normativa vigente e le interpretazioni più autorevoli è essenziale per evitare errori irreparabili e districarsi tra le diverse modalità di divisione delle somme, la tutela dei diritti di ciascun coniuge e i rischi che discendono da operazioni arbitrali sul saldo disponibile.

Cos'è un conto corrente cointestato e come funziona la presunzione di quote

Un conto corrente cointestato è un rapporto bancario il cui saldo è attribuito formalmente a due (o più) titolari. L'utilità principale deriva dalla possibilità di gestire le entrate e le uscite in modo condiviso e semplificato. Sul piano normativo, l'art.1854 del Codice Civile disciplina i rapporti tra i cointestatari e la banca, prevedendo la responsabilità solidale verso l'istituto. Nei rapporti interni tra i titolari, opera la regola secondo cui la quota di ciascuno si presume pari, ai sensi dell'art. 1298 c.c., salvo prova contraria:

  • Firma disgiunta: ogni titolare può disporre autonomamente dei fondi senza consenso degli altri.
  • Firma congiunta: ogni operazione necessita della firma di tutti gli intestatari.
La presunzione di comproprietà al 50% resiste fino a quando non venga provato documentalmente che le somme provengano in via esclusiva da uno dei titolari. In base a questo principio, anche chi ha versato meno, o addirittura nulla, può legittimamente disporre della quota ideale, salvo che non venga dimostrato diversamente tramite estratti conto, ricevute e altri documenti. Le recenti sentenze della Cassazione (tra cui la n. 25684/2021) hanno chiarito che la semplice cointestazione non conferisce automaticamente diritti sulle somme se non si provano i versamenti da parte di entrambi. Perciò, nei rapporti interni, le parti possono rivendicare una diversa spartizione solo portando prova certa e documentata sull'origine dei fondi, prevalendo così la sostanza economica rispetto alla forma della cointestazione.

Prelievi dal conto cointestato prima e dopo la separazione: limiti e rischi legali

La possibilità di prelevare dal conto cointestato sia nella fase pre-separativa sia successivamente è disciplinata da regole precise. Il singolo titolare non può spostare l'intera disponibilità come forma di autotutela o compensazione: questa condotta può integrare un comportamento illecito, sia in ambito civilistico che penale. Se il conto prevede la firma disgiunta, entrambi i titolari possono operare senza chiedere il permesso all'altro; tuttavia, la possibilità operativa verso la banca non fa automaticamente sorgere il diritto a impadronirsi di tutto il saldo nel rapporto interno con l'altro coniuge. Infatti, prelevare oltre la quota spettante (di solito il 50%) senza il consenso esplicito o implicito dell'altro costituisce una violazione potenzialmente perseguibile.

Quando interviene la separazione, il conto non viene bloccato né chiuso d'ufficio, ma resta attivo fino a contrarie disposizioni o accordi. Le somme depositate si presumono di proprietà comune e la divisione può avvenire in via amichevole o, in caso di disaccordo, mediante provvedimenti giudiziali. In linea generale:

  • I prelievi superiori alla propria quota sono contestabili e possono dar luogo a richieste di restituzione.
  • Il tentativo di "prevenire" eventuali prelievi dell'ex coniuge eseguendo autonomamente il prelievo totale configura un'illecita autotutela.
  • Eventuali crediti, come arretrati per il mantenimento, non possono essere compensati unilateralmente tramite il prelievo del saldo.
  • Per tutelarsi da possibili prelievi non autorizzati, una misura efficace è richiedere il passaggio alle firme congiunte o, nei casi più gravi, chiedere un sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c.
La giurisprudenza conferma che il semplice sospetto che il coniuge dissipi il patrimonio non autorizza nessuna forma di prelievo difensivo senza rivolgersi al giudice.

Quando i prelievi dal conto sono vietati: appropriazione indebita e altri illeciti

Prelevare somme dal conto cointestato che eccedano la propria quota, o comunque senza il consenso dell'altro titolare, può integrare il delitto di appropriazione indebita ai sensi dell'art. 646 c.p. L'illecito si perfeziona nel momento in cui uno dei cointestatari si appropria della parte di saldo che appartiene per legge o per accordo all'altro senza un valido motivo giuridico. Il rischio è che la volontà di "tutelarsi" da possibili iniziative dell'ex si trasformi in un fatto penalmente rilevante. Ciò avviene anche quando il prelievo avviene per compensare crediti presunti non ancora accertati in via giudiziale, come arretrati di mantenimento, poiché solo crediti certi, liquidi ed esigibili possono giustificare una legittima compensazione:

  • Illeciti civili possono sorgere da violazione degli obblighi di gestione secondo buona fede e possono comportare l'obbligo di reintegrare l'altro cointestatario delle somme sottratte.
  • Altri reati: in situazioni particolarmente gravi, il prelievo potrebbe anche configurare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 c.p.), se si agisce sostituendosi all'autorità giudiziaria per "farsi giustizia da sé".
Non è possibile invocare l'urgenza o la paura di azioni dell'altro titolare per giustificare il prelievo di tutto il saldo: l'ordinamento offre rimedi legali (come il sequestro conservativo), ma non ammette azioni unilaterali. L'interpretazione restrittiva offerta anche dalla più recente Cassazione ha chiarito che l'assenza di un espresso consenso, anche tacito, rende ogni prelievo eccedente illecito e perseguibile su più fronti.

Divisione delle somme in caso di separazione o divorzio: regole, accordi e tutela delle parti

Quando la coppia affronta la separazione o il divorzio, la sorte delle somme depositate su un conto corrente cointestato può essere definita tanto dal regime patrimoniale scelto quanto da espliciti accordi tra le parti. In assenza di intese, si presumono quote uguali, applicando però possibili correttivi se si dimostra in modo oggettivo che le somme hanno una provenienza esclusiva (come redditi personali, eredità, donazioni o risarcimenti personali). Vediamo i principali criteri che guidano la suddivisione:

  • Le somme si dividono al 50% se non esiste diversa prova sulla provenienza dei fondi.
  • Se un coniuge dimostra che le somme derivano da fonti personali (es. stipendi propri versati integralmente sul conto), può chiederne la restituzione o l'attribuzione totale.
  • Gli accordi di separazione, omologati dal tribunale, possono stabilire modalità e tempistiche diverse di divisione del saldo.
  • I coniugi possono mantenere la gestione congiunta del conto anche dopo la separazione se ci sono spese comuni ordinarie (ad esempio per i figli).
  • Nel caso di disaccordo, la controversia viene rimessa alla decisione del giudice, che può adottare provvedimenti specifici a tutela del patrimonio di entrambe le parti.
Le somme che non rientrano nella comunione dei beni restano comunque di esclusiva proprietà di chi può documentarne la natura personale, anche se depositate su un conto cointestato. L'azione giudiziaria resta l'ultima risorsa in caso di conflitto insanabile, con valutazione caso per caso dei documenti presentati dalle parti.

Rimedi e conseguenze per prelievi illeciti: azione civile e penale

In presenza di prelievi illeciti da parte di un cointestatario, la parte danneggiata dispone di diversi strumenti di tutela. Oltre alla possibilità di agire in sede civile per la restituzione delle somme indebitamente sottratte, può richiedere anche misure d'urgenza. Uno dei rimedi principali è il sequestro conservativo sui beni dell'altro titolare, a garanzia della soddisfazione del credito al termine della lite. In molti casi, è il giudice a stabilire la sospensione temporanea della possibilità di operare sul conto, fino alla definizione dell'accordo.

Sul piano penale, la denuncia per appropriazione indebita porta all'apertura di un procedimento che può condurre a condanna anche con obbligo di restituzione e risarcimento. I risarcimenti disposti dai tribunali di solito comprendono anche il calcolo degli interessi maturati dalla data della domanda giudiziale.

  • Azione civile: per ottenere la reintegrazione delle somme o una divisione conforme alle prove presentate.
  • Azione penale: per perseguire il comportamento illecito e ottenere sanzioni pecuniarie o, nei casi più gravi, restrizione della libertà personale.
La parte lesa ha anche diritto di chiedere informazioni e documentazione alla banca sulle operazioni svolte dal periodo prossimo alla crisi fino al completo scioglimento dei rapporti. Ogni caso va gestito con attenzione, valutando la pertinenza degli strumenti messi a disposizione dall'ordinamento per bloccare eventuali successive condotte lesive e tutelare efficacemente i propri diritti.

Il regime patrimoniale scelto al momento del matrimonio incide notevolmente sulla gestione del conto cointestato e sulla divisione delle somme. In regime di comunione dei beni, ogni entrata percepita durante il matrimonio - ad eccezione dei beni esclusi per legge, come quelli pervenuti per successione o donazione - entra automaticamente nel patrimonio comune, anche se depositata su un conto intestato ad uno solo dei coniugi o ad entrambi. Con la separazione dei beni, invece, i patrimoni personali rimangono distinti e, quindi, la divisione delle somme sul conto cointestato può essere effettuata in parti uguali soltanto se non si dimostri che le somme abbiano provenienza esclusivamente personale:

Regime patrimoniale

Criteri di ripartizione somme

Comunione dei beni

Divisione pari salvo somme escluse dalla comunione (ad esempio: eredità, donazioni)

Separazione dei beni

Divisione pari se non c'è prova della provenienza personale; in presenza di prove, assegnazione della somma a chi le ha versate

In entrambi i casi, la gestione congiunta può proseguire anche dopo la separazione in presenza di spese comuni, come quelle per i figli. Le somme considerate "personalissime" non entrano nella comunione neanche in regime di comunione dei beni, ma solo se la loro natura è provata da idonea documentazione. In caso di conflitto, il giudice deve valutare attentamente la documentazione a supporto delle rivendicazioni delle parti, come tracciabilità dei versamenti e dichiarazioni bancarie.