Gestire un conto corrente cointestato durante la separazione può comportare dubbi sui diritti di prelievo, limiti legali, rischi di appropriazione indebita e modalità di suddivisione delle somme.
La gestione del patrimonio durante la crisi matrimoniale rappresenta una delle questioni più delicate nel diritto di famiglia. Quando la convivenza termina, emergono spesso dubbi su come vengano gestite le risorse comuni, soprattutto riguardo il conto corrente cointestato. Questa tipologia di conto bancario è utilizzata da molte coppie per la gestione condivisa delle spese familiari. Tuttavia, in caso di separazione, la questione su chi possa prelevare le somme e in quale misura assume una rilevanza tanto pratica quanto legale.
L'approccio impulsivo o non informato può comportare conseguenze rilevanti dal punto di vista sia civile che penale. Negli ultimi anni, la giurisprudenza italiana e, in particolare, alcune pronunce della Cassazione hanno definito regole chiare che, se non rispettate, possono portare a contestazioni, azioni di risarcimento o procedimenti per appropriazione indebita. Conoscere la normativa vigente e le interpretazioni più autorevoli è essenziale per evitare errori irreparabili e districarsi tra le diverse modalità di divisione delle somme, la tutela dei diritti di ciascun coniuge e i rischi che discendono da operazioni arbitrali sul saldo disponibile.
Un conto corrente cointestato è un rapporto bancario il cui saldo è attribuito formalmente a due (o più) titolari. L'utilità principale deriva dalla possibilità di gestire le entrate e le uscite in modo condiviso e semplificato. Sul piano normativo, l'art.1854 del Codice Civile disciplina i rapporti tra i cointestatari e la banca, prevedendo la responsabilità solidale verso l'istituto. Nei rapporti interni tra i titolari, opera la regola secondo cui la quota di ciascuno si presume pari, ai sensi dell'art. 1298 c.c., salvo prova contraria:
La possibilità di prelevare dal conto cointestato sia nella fase pre-separativa sia successivamente è disciplinata da regole precise. Il singolo titolare non può spostare l'intera disponibilità come forma di autotutela o compensazione: questa condotta può integrare un comportamento illecito, sia in ambito civilistico che penale. Se il conto prevede la firma disgiunta, entrambi i titolari possono operare senza chiedere il permesso all'altro; tuttavia, la possibilità operativa verso la banca non fa automaticamente sorgere il diritto a impadronirsi di tutto il saldo nel rapporto interno con l'altro coniuge. Infatti, prelevare oltre la quota spettante (di solito il 50%) senza il consenso esplicito o implicito dell'altro costituisce una violazione potenzialmente perseguibile.
Quando interviene la separazione, il conto non viene bloccato né chiuso d'ufficio, ma resta attivo fino a contrarie disposizioni o accordi. Le somme depositate si presumono di proprietà comune e la divisione può avvenire in via amichevole o, in caso di disaccordo, mediante provvedimenti giudiziali. In linea generale:
Prelevare somme dal conto cointestato che eccedano la propria quota, o comunque senza il consenso dell'altro titolare, può integrare il delitto di appropriazione indebita ai sensi dell'art. 646 c.p. L'illecito si perfeziona nel momento in cui uno dei cointestatari si appropria della parte di saldo che appartiene per legge o per accordo all'altro senza un valido motivo giuridico. Il rischio è che la volontà di "tutelarsi" da possibili iniziative dell'ex si trasformi in un fatto penalmente rilevante. Ciò avviene anche quando il prelievo avviene per compensare crediti presunti non ancora accertati in via giudiziale, come arretrati di mantenimento, poiché solo crediti certi, liquidi ed esigibili possono giustificare una legittima compensazione:
Quando la coppia affronta la separazione o il divorzio, la sorte delle somme depositate su un conto corrente cointestato può essere definita tanto dal regime patrimoniale scelto quanto da espliciti accordi tra le parti. In assenza di intese, si presumono quote uguali, applicando però possibili correttivi se si dimostra in modo oggettivo che le somme hanno una provenienza esclusiva (come redditi personali, eredità, donazioni o risarcimenti personali). Vediamo i principali criteri che guidano la suddivisione:
In presenza di prelievi illeciti da parte di un cointestatario, la parte danneggiata dispone di diversi strumenti di tutela. Oltre alla possibilità di agire in sede civile per la restituzione delle somme indebitamente sottratte, può richiedere anche misure d'urgenza. Uno dei rimedi principali è il sequestro conservativo sui beni dell'altro titolare, a garanzia della soddisfazione del credito al termine della lite. In molti casi, è il giudice a stabilire la sospensione temporanea della possibilità di operare sul conto, fino alla definizione dell'accordo.
Sul piano penale, la denuncia per appropriazione indebita porta all'apertura di un procedimento che può condurre a condanna anche con obbligo di restituzione e risarcimento. I risarcimenti disposti dai tribunali di solito comprendono anche il calcolo degli interessi maturati dalla data della domanda giudiziale.
Il regime patrimoniale scelto al momento del matrimonio incide notevolmente sulla gestione del conto cointestato e sulla divisione delle somme. In regime di comunione dei beni, ogni entrata percepita durante il matrimonio - ad eccezione dei beni esclusi per legge, come quelli pervenuti per successione o donazione - entra automaticamente nel patrimonio comune, anche se depositata su un conto intestato ad uno solo dei coniugi o ad entrambi. Con la separazione dei beni, invece, i patrimoni personali rimangono distinti e, quindi, la divisione delle somme sul conto cointestato può essere effettuata in parti uguali soltanto se non si dimostri che le somme abbiano provenienza esclusivamente personale:
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Regime patrimoniale |
Criteri di ripartizione somme |
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Comunione dei beni |
Divisione pari salvo somme escluse dalla comunione (ad esempio: eredità, donazioni) |
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Separazione dei beni |
Divisione pari se non c'è prova della provenienza personale; in presenza di prove, assegnazione della somma a chi le ha versate |
In entrambi i casi, la gestione congiunta può proseguire anche dopo la separazione in presenza di spese comuni, come quelle per i figli. Le somme considerate "personalissime" non entrano nella comunione neanche in regime di comunione dei beni, ma solo se la loro natura è provata da idonea documentazione. In caso di conflitto, il giudice deve valutare attentamente la documentazione a supporto delle rivendicazioni delle parti, come tracciabilità dei versamenti e dichiarazioni bancarie.