La riforma della Corte dei Conti introduce cambiamenti profondi nel controllo dei fondi pubblici: tra tetti ai risarcimenti, nuovi limiti di responsabilità, riduzione dei controlli e divisioni politiche, i rischi per la trasparenza e la legalità sono attuali e riguardano tutti.
Negli ultimi anni, la Corte dei Conti si è confermata come uno dei pilastri del sistema dei controlli pubblici in Italia, rappresentando un baluardo per la tutela delle risorse collettive. L’approvazione definitiva della recente riforma, che modifica in maniera sostanziale le funzioni e i poteri di questo organismo, è avvenuta al termine di un iter parlamentare acceso, segnato da ampi contrasti tra maggioranza e opposizione. Il cambiamento normativo ha come obiettivo dichiarato quello di superare la cosiddetta "paura della firma", ovvero l’esitazione di amministratori pubblici nell’autorizzare atti per timore di incorrere in rischi personali o responsabilità gravose. Tale fenomeno, secondo i sostenitori della riforma, avrebbe ostacolato la tempestiva attuazione di investimenti chiave, soprattutto in relazione ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, incrementando i ritardi nell’amministrazione.
Tuttavia, questa operazione di "sburocratizzazione" non è stata accolta in modo unanime. Molti osservatori, tra cui associazioni di magistrati e numerose forze di opposizione, hanno contestato il rischio di una significativa attenuazione delle garanzie di legalità e trasparenza nella gestione del denaro pubblico. All’indomani dell’approvazione, emergono quindi interrogativi sostanziali sulle ripercussioni di questa riforma nell’equilibrio costituzionale dei poteri e sul futuro della tutela dell’interesse collettivo in materia di finanza pubblica.
La riforma introduce una serie di cambiamenti strutturali che investono diversi aspetti dell’operato della magistratura contabile. Di seguito, i capisaldi del disegno di legge:
L’introduzione di un tetto al risarcimento del danno erariale rappresenta uno degli snodi di maggiore impatto della riforma. Con la nuova normativa, l’ammontare che può essere richiesto in rimborso a funzionari o amministratori pubblici, in caso di accertamento di danno, non potrà superare il 30% della somma danneggiata, o il doppio della retribuzione annuale lorda. Si tratta di un cambiamento epocale rispetto al passato, dove il risarcimento poteva coprire l’intero ammontare del danno.
I sostenitori della riforma ritengono questa soglia una soluzione equilibrata per mettere fine a una stagione di richieste giudiziarie considerate eccessive o paralizzanti, tale da alimentare la paura della firma e da ostacolare l’efficienza amministrativa. Secondo gli autori del provvedimento, un tetto legalmente definito renderebbe maggiormente praticabile l’azione amministrativa e consentirebbe il recupero concreto di somme realisticamente esigibili dagli interessati, disincentivando fughe dalla responsabilità nelle decisioni amministrative.
Dall’altro lato, le perplessità non mancano. Secondo le principali associazioni dei magistrati contabili, questa misura finisce per deresponsabilizzare chi gestisce i fondi pubblici. Un esempio spesso citato è quello di un danno accertato di un milione di euro: la nuova norma limiterebbe la somma risarcibile a soli 300.000 euro, con i rimanenti 700.000 a carico della collettività. La funzione deterrente della responsabilità amministrativa ne risulterebbe drasticamente ridotta, con possibili ripercussioni sulla disciplina e sulla correttezza nell’uso delle risorse destinate alla comunità.
Su questo punto si innestano riflessioni di carattere costituzionale: la riduzione del risarcimento potrebbe, infatti, allontanare la normativa nazionale dal principio di buon andamento dell’amministrazione pubblica, sancito dall’art. 97 della Costituzione, con l’Aula parlamentare invitata dalla Corte costituzionale stessa, nel 2024, ad una definizione più stringente e trasparente delle condizioni di responsabilità amministrativa.
Un’altra sostanziale modifica riguarda l’introduzione del silenzio-assenso come criterio generale in tema di controlli preventivi da parte della Corte dei Conti. Gli atti sottoposti a parere dovranno ricevere una risposta dalla magistratura contabile entro 30 giorni dal deposito della richiesta – termine prorogabile nei casi motivati a 90 giorni. Decorso tale periodo senza pronuncia, l’atto viene considerato automaticamente approvato, liberando i firmatari da ogni rischio di danno erariale correlato a quella deliberazione.
La ratio di questa misura, fortemente sostenuta dai promotori, è quella di velocizzare i processi autorizzativi e fornire certezze agli amministratori pubblici, soprattutto nell’ambito delle gare d’appalto, delle grandi opere e nelle procedure relative all’utilizzo dei fondi europei o PNRR.
Tuttavia, le voci critiche sottolineano come il silenzio-assenso, associato alla riduzione dei tempi, rischi di sovraccaricare la Corte con un numero abnorme di richieste di pareri, a scapito della qualità dell’analisi e della profondità dei controlli. L’insufficienza di risorse e personale, infatti, non permette l’aumento degli organici indispensabile per garantire risposte puntuali e informate nei tempi previsti. In questo scenario, si teme un indebolimento strutturale della funzione di garanzia costituzionalmente affidata alla Corte dei Conti, e la possibilità di scivolare verso una mera formalità degli adempimenti anziché un controllo sostanziale ed efficace.
La riforma ha catalizzato un confronto particolarmente acceso sia tra le forze politiche che presso gli organi istituzionali. Dalla maggioranza sono giunti ripetuti appelli all’innovazione e all’efficienza nella gestione pubblica, sostenendo che la nuova legge rappresenti un passaggio chiave per liberare la pubblica amministrazione da vincoli percepiti come eccessivamente penalizzanti. "Sburocratizzare, velocizzare le decisioni e garantire un’amministrazione al passo coi tempi è un punto imprescindibile per il futuro del Paese", hanno dichiarato più volte esponenti come Tommaso Foti e Andrea Delmastro.
All’opposto, le opposizioni hanno parlato di un "arretramento gravissimo" della tutela dei conti pubblici e delle prerogative della Corte dei Conti. "Questo disegno di legge smantella i controlli pubblici e mette a rischio l’equilibrio tra i poteri costituzionali", secondo dichiarazioni di rilievo pronunciate in Aula da rappresentanti del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle. Non sono mancati neanche accenti sulla presunta strumentalità della riforma, apparentemente legata a precedenti attriti tra magistratura contabile e governo, come nel caso del Ponte sullo Stretto.
Ampliando lo scenario, anche figure storiche del panorama istituzionale hanno espresso le proprie riflessioni, invitando a una maggiore attenzione nell’equilibrio tra efficienza amministrativa e forza deterrente dei controlli. Alcuni ex ministri, come Franco Bassanini, pur riconoscendo la necessità di innovazione e una maggiore chiarezza sulla colpa grave, hanno sottolineato la fragilità di un sistema sottratto agli strumenti deterrenti tradizionali della responsabilità amministrativa. Il dibattito resta quindi marcato dalla polarizzazione, rimarcando la forte divisività del provvedimento nella società italiana.
Le obiezioni sul nuovo impianto normativo vanno ben oltre la semplice dialettica politica. Giudici contabili, associazioni e professionisti della legalità ritengono che la riforma possa compromettere profondamente la funzione di garanzia attribuita alla Corte dei Conti. In particolare, le principali criticità avanzate sono:
I riflessi della riforma sulla gestione dei fondi pubblici e sull’amministrazione dello Stato potrebbero essere molteplici. La riduzione dei controlli incisivi e la nuova disciplina in materia di responsabilità amministrativa e danno erariale potrebbero determinare una maggiore facilità d’azione per amministratori e funzionari, specialmente nel breve periodo e nei casi di bandi PNRR o di opere programmate da lungo tempo.
Alcuni scenari futuri includono:
L’impatto delle modifiche legislative sulla Corte dei Conti coinvolge la collettività in modo diretto. Riducendo l’efficacia e la portata dei controlli su amministrazione e spesa pubblica, il rischio che si aprano nuove stagioni di sprechi e che i danni patrimoniali non vengano più recuperati integralmente si riflette sulle finanze dello Stato e, indirettamente, sulle tasche di ogni cittadino.
L’indebolimento dei meccanismi di responsabilità amministrativa, come anche ribadito dalle voci della magistratura contabile, comporta una potenziale deresponsabilizzazione e una minor deterrenza contro comportamenti scorretti o illeciti. Il principio della legalità e il buon governo, inseriti tra i capisaldi costituzionali, risultano messi a dura prova. Nel tempo, il rischio concreto è che la qualità dei servizi pubblici e degli investimenti subisca un peggioramento, mentre a farsi carico delle eventuali perdite saranno ancora una volta i cittadini.