La giornata di sciopero all'Ilva del 19 novembre si inserisce in un lungo e duraturo contesto di tensioni tra lavoratori, sindacati e governo. Al centro ci sono l'occupazione, la cassa integrazionem, il futuro industriale, decarbonizzazione e il destino dei poli produttivi.
Lo stabilimento di Genova Cornigliano si trova al centro dell’attenzione nazionale per una mobilitazione indetta a seguito della rottura tra governo e rappresentanze sindacali nel confronto sul destino produttivo e sociale dell’ex Ilva. La giornata di sciopero di 24 ore nasce dalla crescente preoccupazione fra i dipendenti per l’ipotesi di ridimensionamento delle attività e per la prospettiva di messa in cassa integrazione di migliaia di lavoratori.
L’opposizione sindacale non si limita a Genova: tutti gli stabilimenti del gruppo manifestano forte disagio di fronte a un piano annunciato dall’esecutivo che, pur vantando elementi di modernizzazione tramite la decarbonizzazione e la transizione verso forni elettrici, prevede un periodo di blocco produttivo e tagli all’occupazione. La tensione tra sindacati e istituzioni si è intensificata con il “ciclo corto”, ossia un percorso accelerato di fermo e riconversione degli impianti, che rischia però di lasciare scoperti numerosi posti di lavoro.
La composizione della situazione, già complessa a causa delle recenti difficoltà finanziarie e strategiche che hanno colpito il settore siderurgico italiano, si intreccia con un vuoto di nuovi investitori privati e una gestione pubblica che, secondo i sindacati, appare incerta. Questo scenario fa da sfondo allo sciopero odierno, interpretato dalle rappresentanze dei lavoratori come uno strumento necessario per richiamare l’attenzione delle istituzioni sul destino della produzione dell’acciaio e dell’occupazione.
I sindacati metalmeccanici – Fiom, Fim e Uilm – si sono espressi in modo compatto nel delineare le priorità che ritengono irrinunciabili per la tutela delle maestranze e del tessuto produttivo. Al centro delle richieste spicca la necessità di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali, che coinvolgono circa mille famiglie solo nell’area di Genova e molte altre a livello nazionale.
Le istanze dei rappresentanti dei lavoratori si articolano principalmente su:
Infine, si ribadisce la centralità di investimenti in formazione professionale solo se funzionali a un reale rafforzamento occupazionale e non come strumento surrogatorio alla perdita di posti di lavoro. I rappresentanti sindacali richiamano infine la necessità di trasparenza nei progetti di riconversione e nella destinazione delle risorse pubbliche stanziate, a tutela di tutte le parti coinvolte.
Il confronto avvenuto a Palazzo Chigi ha evidenziato la distanza tra le aspettative dei lavoratori e la linea dell’esecutivo. Il tavolo negoziale, presieduto dal sottosegretario Alfredo Mantovano e con la presenza dei ministri delle Imprese, del Lavoro e degli Affari europei, si è concluso senza un accordo concreto, segnando un punto di rottura che ha alimentato il clima di tensione tra le parti.
Durante la trattativa sono stati affrontati alcuni aspetti cruciali:
I sindacati hanno espresso dissenso rispetto alla strategia proposta, convocando lo sciopero nazionale perché il piano viene percepito come un processo di progressivo smantellamento piuttosto che di rilancio. I rappresentanti dei lavoratori hanno inoltre insistito per un coinvolgimento diretto della Presidenza del Consiglio, richiesta cui è stato dato riscontro negativo.
Permane inoltre una profonda perplessità in merito all’assenza di imprenditori privati realmente interessati a subentrare nella gestione della società, aspetto che complica ulteriormente la definizione di una strategia condivisa e stabile nel medio termine.
L’esecutivo ha sottoposto ai sindacati un piano industriale basato su tre pilastri fondamentali: la conversione green degli impianti, la formazione professionale e la riorganizzazione occupazionale.
Per quanto riguarda la decarbonizzazione, l’obiettivo dichiarato è quello di passare dagli altiforni tradizionali ai forni elettrici nell’arco di quattro anni, dimezzando così i tempi di attuazione rispetto ai progetti precedenti. Questo percorso richiederà un fermo tecnico strutturale degli impianti, necessario per adeguare la produzione alle tecnologie a basse emissioni. Durante tale periodo, parte dei lavoratori sarà coinvolta in attività di manutenzione straordinaria, principalmente sui forni e sulle cokerie.
Formazione e riqualificazione sono previsti come strumenti centrali durante la fase di transizione. Il governo ha proposto che 1.550 dipendenti vengano inseriti in programmi formativi, necessari per acquisire competenze nei nuovi processi produttivi. Sono previste circa 93.000 ore complessive di formazione, spalmate su 60 giorni, per garantire una riqualificazione mirata e sostenere l’occupabilità anche nel quadro di una riduzione temporanea delle attività.
Per quanto riguarda il versante occupazionale, l’approccio proposto mira a evitare l’estensione generalizzata degli ammortizzatori sociali, puntando a mantenere in servizio il personale attraverso la ricollocazione temporanea in mansioni legate alla formazione e alla manutenzione. La spesa stimata per tale operazione ammonterebbe a circa 20 milioni di euro, che la società avrebbe avuto modo di risparmiare ricorrendo alla cassa integrazione, ma che sono stati destinati in via straordinaria per salvaguardare il tessuto produttivo e sociale degli stabilimenti.
| Elemento | Dettaglio |
| Tecnologie previste | Installazione forni elettrici, chiusura graduale cokerie |
| Orizzonte temporale | Quattro anni (decarbonizzazione accelerata) |
| # dipendenti coinvolti | 1.550 in formazione |
| Risorse previste | 20 milioni € per formazione/manutenzione |
Nonostante gli sforzi illustrati dall’esecutivo, la distanza rispetto alle richieste sindacali resta ampia. Il timore dei rappresentanti dei lavoratori è che tale piano si traduca in uno svuotamento della produzione nazionale di acciaio a favore di importazioni dall’estero, con ripercussioni negative su know-how e livelli di occupazione.
Nella giornata dello sciopero, i lavoratori dell’area di Cornigliano hanno scelto la via della protesta diretta, occupando lo stabilimento e dando vita a un corteo verso la stazione ferroviaria di Genova Cornigliano. La mobilitazione sottolinea la precarietà vissuta dalle maestranze di fronte al rischio di chiusura degli impianti e all’incertezza sul futuro occupazionale.
I sindacati riportano che sono mille i posti a rischio a Genova, numero che secondo le stime potrebbe arrivare a 6.000 unità a livello nazionale. La protesta è stata organizzata all’indomani di una breve assemblea, seguita da un presidio a oltranza, dimostrando la determinazione dei lavoratori a non accettare senza confronto diretto le scelte provenienti dalle istituzioni.
Fra le motivazioni principali:
L’incertezza attorno al futuro della produzione dell’acciaio, sommata alla mancanza di investitori privati disposti a subentrare, alimenta preoccupazioni sia sull’assetto industriale che sul tessuto economico e sociale delle aree interessate.
Le proiezioni più critiche evidenziano i seguenti rischi: