Dal 2006 il tuo sito imparziale su Lavoro, Fisco, Investimenti, Pensioni, Aziende ed Auto

In che modo le aziende energetiche fanno profitti record danneggiando le regioni e tutto nel più totale silenzio

di Marcello Tansini pubblicato il
Aziende energetiche fanno profitti recor

Profitti record, concessioni storiche, privilegi, mancata concorrenza e scarsa trasparenza segnano l'ascesa delle aziende energetiche. Conseguenze economiche, sociali e politiche.

In un contesto segnato da prezzi dell'energia in crescita e una concorrenza spesso limitata, il tema della gestione delle risorse pubbliche, come l'acqua per la produzione idroelettrica, assume una nuova centralità. Aziende leader nel mercato nazionale, attraverso strumenti regolatori come le concessioni, riescono a massimizzare i propri ricavi minimizzando le ricadute positive sui territori che ospitano gli impianti.

Tale situazione genera tensioni tra interessi industriali, bisogni delle amministrazioni locali e aspettative dei cittadini, sempre più colpiti da costi energetici elevati e minore redistribuzione della ricchezza derivante dallo sfruttamento di risorse comuni. Questo scenario, caratterizzato da scarsa trasparenza e ridotti investimenti a livello regionale, ha contribuito a una visibile disparità tra utili record degli operatori e reali benefici ottenuti dalle comunità locali.

Le concessioni idroelettriche: storia, leggi e privilegi aziendali

Il settore idroelettrico rappresenta circa il 15% della produzione di energia elettrica in Italia e poggia le proprie basi su un sistema di concessioni pubbliche con una storia ultracentenaria. Le prime centrali idroelettriche sorgono nella penisola all'inizio del Novecento; nel 1933, attraverso una regolamentazione statale, furono introdotte concessioni della durata di 60 anni, con lo scopo dichiarato di permettere agli operatori di ammortizzare i consistenti investimenti sostenuti per dighe e infrastrutture.

Nel corso dei decenni, però, queste concessioni sono state oggetto di numerose proroghe legislative, come con la legge 529/1982 e il "decreto Bersani" del 1999. Le proroghe hanno allungato la durata media delle autorizzazioni fino a 70 anni, con casi che superano abbondantemente i cento anni. Solo nell'ultimo ventennio, ben otto interventi legislativi hanno evitato la scadenza naturale degli accordi, ponendo l'Italia in contrasto con le direttive europee che richiedono maggiore trasparenza e competizione nel settore.

Il sistema di remunerazione per le regioni si articola su canoni fissi e quote variabili legate ai ricavi della vendita. Tuttavia, i valori originari sono spesso rimasti ancorati a contesti storici ormai superati, nonostante la notevole crescita della domanda elettrica e il forte incremento dei profitti aziendali. Il risultato è stato un vantaggio competitivo per poche grandi aziende come Enel, Edison, Iren e A2A, che hanno potuto sfruttare beni pubblici su base esclusiva, con limitati obblighi di investimento aggiuntivo e canoni riconosciuti alle regioni spesso sottostimati rispetto agli utili generati. La poca trasparenza nei criteri di calcolo e la lentezza nel recepire le modifiche normative favoriscono la persistenza di rendite di posizione, nonostante le ripetute richieste di riforma provenienti sia dall'Unione Europea che dalle amministrazioni regionali.

Meccanismi di profitto: canoni, proroghe e concorrenza mancata

Alla base della lunga stagione di profitti per le aziende energetiche sta un sistema di concessioni che limita la competizione e perpetua nel tempo condizioni estremamente favorevoli per i concessionari storici. Le aziende pagano alle regioni un canone composto da una quota fissa e una variabile. In alcune aree, viene richiesto anche un quantitativo di energia gratuito o un compenso economico in sostituzione, ma la maggior parte degli accordi è poco aggiornata rispetto ai valori di mercato odierni.

Da decenni, la mancanza di gare pubbliche ha impedito l'ingresso di nuovi operatori e la valorizzazione economica delle concessioni. La prassi delle proroghe sistematiche ha di fatto cristallizzato il parterre dei titolari delle principali centrali, allontanando la prospettiva di un vero mercato concorrenziale.

Questa situazione ha prodotto la progressiva erosione del principio di equità nell'accesso e nella remunerazione dello sfruttamento di risorse pubbliche. Il continuo differimento delle gare, invocando motivazioni tecniche o difficoltà gestionali, ha generato rendite che avvantaggiano poche imprese a danno del tessuto economico locale e della concorrenza. In assenza di una revisione strutturale, i benefici per le regioni e la collettività risultano fortemente penalizzati rispetto ai giganteschi utili garantiti allo status quo aziendale.

Effetti sulle regioni e sui cittadini: mancati incassi, caro energia e investimenti bloccati

La gestione delle concessioni idroelettriche in Italia presenta effetti collaterali per le autonomie locali e soprattutto per i cittadini. I mancati aggiornamenti dei canoni e la proliferazione delle proroghe hanno determinato consistenti deficit di entrate per molte regioni. Emblematica è la situazione della Lombardia, dove le imprese concessionarie devono oltre 200 milioni di euro per componente fissa e monetizzazione dei consumi; il Piemonte sfiora i 100 milioni e la sola provincia di Belluno ne conta 30.

Il mancato incasso di risorse è aggravato dalla difficile esigibilità e dagli innumerevoli ricorsi amministrativi promossi dalle aziende. La situazione di incertezza legale e normativa ha inoltre generato un blocco degli investimenti stimato in circa 15 miliardi di euro su scala nazionale, con la conseguenza di ritardare profondamente gli interventi di ammodernamento su centrali e dighe, molte delle quali risalgono al secolo scorso e necessiterebbero di manutenzione straordinaria.

L'effetto più sentito dai cittadini si riflette comunque sul prezzo dell'energia, sostanzialmente superiore alla media europea e penalizzante per famiglie e imprese locali. Le utilities che gestiscono le reti e la produzione vantano margini elevati, mentre la competitività industriale risente delle tariffe altissime: secondo dati recenti, le imprese italiane pagano fino a 110 €/MWh, molto di più dei 65 €/MWh pagati dai concorrenti tedeschi.

Le ricadute si estendono anche al tessuto produttivo, con particolare impatto su settori energivori come la ceramica, la chimica e la siderurgia. Mancanza di investimenti, spese energetiche gonfiate e perdite nelle entrate pubbliche si traducono in uno sviluppo regionale rallentato, in un contesto in cui aree una volta strategiche per l'industria italiana vedono aumentare il rischio di deindustrializzazione e fuga dei giovani verso l'estero. In parallelo, mentre i bilanci aziendali delle principali utilities mostrano spesso utili netti elevati, nei territori si registrano peggioramenti nelle infrastrutture e diminuzione della qualità dei servizi.

Il ruolo della politica e dell'Unione Europea: tentativi di riforma e resistenze

Le istituzioni politiche italiane hanno affrontato il tema delle concessioni idroelettriche in modo spesso conflittuale, oscillando tra pressioni nazionali e richiami dell'Unione Europea. Nonostante la legge sulla concorrenza e gli impegni presi con il PNRR, finalizzati a liberalizzare il settore e favorire l'assegnazione delle concessioni tramite gara, i governi succedutisi hanno ripetutamente adottato proroghe, evitando scadenze e rinviando interventi strutturali.

La Commissione Europea ha più volte aperto procedure di infrazione contro l'Italia per il mancato rispetto delle regole sulla concorrenza e sulla trasparenza nelle procedure di assegnazione. L'obiettivo, esplicitato nelle direttive comunitarie, è garantire la libera concorrenza e un'adeguata remunerazione per l'utilizzo dei beni pubblici. Tuttavia, la resistenza delle principali aziende concessionarie, unita a una diffusa riluttanza politica ha rallentato l'attuazione delle riforme.

Solo pochi consiglieri regionali hanno sollevato con forza il tema, sottolineando il conflitto di interessi tra la politica e aziende partecipate da enti pubblici. Finché prevarranno logiche di tutela degli operatori esistenti sulla trasparenza e l'apertura del mercato, le possibilità di riforma effettiva resteranno limitate.

Come le aziende difendono il privilegio: ricorsi, lobbying e narrazioni sul rischio occupazionale

Le aziende energetiche che detengono le principali concessioni idroelettriche da decenni hanno adottato una strategia articolata per difendere i propri interessi. Da un lato fanno ricorso sistematicamente contro ogni tentativo di modifica dei canoni o introduzione di gare, rallentando il processo decisionale e mantenendo le condizioni più vantaggiose il più a lungo possibile:

  • L'attività di lobbying sulle istituzioni regionali e centrali è intensa, spesso sostenuta dalla partecipazione delle stesse amministrazioni nel capitale delle aziende concessionarie.
  • Le narrazioni prevalenti puntano sul rischio occupazionale e sulla presunta perdita di sovranità industriale nazionale in caso di apertura delle gare a operatori stranieri; queste argomentazioni sono sostenute anche da associazioni di categoria, sindacati e portatori di interesse locali.
  • Le aziende promuovono inoltre proposte di compromesso simili a quelle adottate in Francia, sottolineando gli investimenti futuri e la difficoltà nel garantire la continuità produttiva in un quadro di incertezza normativa.
La pressione sulla politica, i ricorsi amministrativi e la comunicazione mirata a difendere la stabilità occupazionale hanno contribuito a mantenere un equilibrio che privilegia lo status quo rispetto all'interesse generale, ritardando cambiamenti necessari per un sistema più aperto e trasparente.

L'Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) ha pubblicato indagini che evidenziano pratiche anomale nel mercato dell'energia. Tra queste, la strategia del withholding ha portato ad extra-profitti stimati in oltre 5 miliardi di euro negli ultimi anni.

Nel Mercato del Giorno Prima, il prezzo viene stabilito in base all'offerta più cara necessaria a soddisfare la domanda. Alcuni operatori, limitando volontariamente la capacità offerta (pur avendone di più disponibile), hanno aumentato il prezzo di mercato e tratto enormi vantaggi anche dalla produzione a basso costo. Secondo ARERA, tali pratiche sono state riscontrate in oltre il 30% delle ore di mercato nel biennio 2023-2024 e hanno causato un aumento dei prezzi di circa 0,25 centesimi per kWh per i consumatori finali:

Anno

Pratiche di withholding gas

Impatto sul prezzo (€/MWh)

2023

30% delle ore

+17/22

2024

25% delle ore

+15/24

Tali comportamenti sono considerati manipolazione di mercato e sono oggetto di indagini approfondite da parte delle autorità regolatorie, che prevedono sanzioni in assenza di motivazioni tecniche valide. Queste strategie speculative, insieme al modello tariffario esistente, contribuiscono a garantire alle aziende di settore profitti nettamente superiori alla media europea, con ricadute negative sui costi per cittadini e imprese.