Le misure disciplinari non comportano solo la sospensione dal servizio o altre penali: risultano centrali anche le conseguenze a lungo termine sulla progressione di carriera.
Le ripercussioni di atteggiamenti aggressivi o inidonei da parte di chi svolge una professione non si limitano al solo perimetro dell’azienda. In particolare, quando si indaga la relazione tra promozione lavorativa e comportamento violento da parte del dipendente, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione fornisce una chiara configurazione dei limiti e delle conseguenze disciplinari legate anche a condotte avvenute al di fuori del contesto lavorativo.
La prospettiva del datore di lavoro non è confinata alle sole azioni compiute durante l’orario di lavoro. La dottrina più recente e la giurisprudenza consolidata considerano che il rispetto dei valori aziendali e dell’immagine del datore di lavoro debba estendersi anche al comportamento privato del dipendente, soprattutto quando questo sia connotato da episodi di violenza o mancanza di autocontrollo. Gli obblighi di correttezza, fedeltà e diligenza impongono al lavoratore di evitare azioni che possano compromettere gli interessi dell’azienda o incrinare il rapporto fiduciario (art. 2104, 2105 e 2087 c.c.).
Comportamento contestato |
Possibili conseguenze disciplinari |
Impatto sulla carriera |
Violenza fisica o psicologica, molestie |
Sospensione, licenziamento |
Esclusione da promozioni, decurtazione del punteggio, negazione di incarichi a responsabilità |
Comportamenti scorretti verso colleghi o clienti |
Richiamo scritto, sospensione |
Impressioni negative sulla valutazione dirigenziale, rallentamento dell’avanzamento |
L’applicazione pratica di questa logica è stata confermata dalla Cassazione con la sentenza n. 15027/2025, ove l’aggressività di un dipendente durante una trasferta è stata ritenuta legittima causa per la sospensione e la mancata attribuzione di punti utili ad una promozione, in coerenza con i regolamenti interni aziendali.
Un aspetto centrale emerso da recenti sentenze è il superamento del rischio di “bis in idem”, ovvero l’illegittima applicazione di due sanzioni per lo stesso comportamento. Secondo la Suprema Corte, la stessa condotta può generare sia una sanzione formale (ad esempio la sospensione), sia la riflessione su aspetti diversi del rapporto di lavoro come la valutazione della professionalità ai fini delle promozioni. In altre parole, la sanzione per comportamento scorretto e la perdita delle opportunità di crescita non violano il divieto di doppia sanzione. Questi principi tutelano la reputazione aziendale e rafforzano la fiducia negli assetti organizzativi.
Le azioni violente, le molestie e in generale i comportamenti intollerabili vanno letti su più livelli. Sotto il profilo penale, si fa riferimento a fattispecie come atti persecutori (art. 612-bis c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.) o violenza sessuale (art. 609-bis c.p.); a livello civile, il codice attribuisce al datore di lavoro spiccate responsabilità nella tutela della personalità morale e fisica dei dipendenti (art. 2087 c.c.). Non mancano casi in cui le molestie sul lavoro, siano esse a sfondo sessuale o meno, abbiano determinato sia il licenziamento sia l’obbligo risarcitorio. La proporzionalità della sanzione viene valutata in relazione alla posizione occupata dall’agente, alla gravità dell’offesa e al clima aziendale generatosi.
Esempi di rilievo disciplinare e civile includono:
La Cassazione ha fornito negli anni indicazioni decisive sulla legittimità e proporzione delle sanzioni: nei casi più gravi, la mera assenza di precedenti disciplinari non è motivo sufficiente per evitare il licenziamento per giusta causa. In particolare, la Suprema Corte richiama l’art. 2119 c.c. e il Codice delle pari opportunità, evidenziando che la priorità è la tutela della dignità e della sicurezza nel luogo di lavoro (D.Lgs. 198/2006). Le decisioni più recenti hanno sottolineato che la valutazione della gravita del fatto avviene considerando il contesto aziendale, la posizioni ricoperta e il danno all’immagine pubblica dell’organizzazione.