Tra i soggetti piů influenti rientrano i grandi gruppi industriali e le associazioni di categoria, che dispongono di risorse, strutture di lobbying e relazioni consolidate con la politica.
In Italia l'attività di lobbying non ha un quadro normativo omogeneo e trasparente, e spesso si svolge in zone grigie tra consulenza, relazioni istituzionali e pressione politica. I rappresentanti di interessi frequentano i corridoi di Camera, Senato e ministeri, partecipano a tavoli tecnici, collaborano nella stesura di emendamenti e raccolgono informazioni privilegiate.
Molti attori organizzati operano dietro la dimensione ufficiale: aziende, associazioni industriali, ordini professionali, consorzi settoriali, fondazioni, reti religiose. Pur non essendo deputati o decisori diretti, influenzano la definizione delle politiche pubbliche attraverso studi, dossier, interlocuzioni personali, contatti con i gruppi di parlamentari e uffici ministeriali. In ambienti come l'energia, la sanità, il farmaceutico o l'agroalimentare, le lobby settoriali sono talmente radicate che gli assi tecnici delle leggi spesso riflettono testi che esse stesse hanno preparato.
La scarsità di vincoli normativi favorisce la persistenza di canali informali. In Italia non esiste ancora una legge organica sul lobbying che imponga registri obbligatori, limiti di rotazione fra pubblica amministrazione e lobby, o trasparenza sistematica sugli incontri.
Tra i soggetti più influenti rientrano i grandi gruppi industriali e le associazioni di categoria, che dispongono di risorse, strutture di lobbying e relazioni consolidate con la politica. Confindustria, per esempio, ha un ruolo centrale nel dibattito su fiscalità, lavoro, infrastrutture e politica industriale, partecipando a audizioni ministeriali, consultazioni con la Commissione UE e interfacce con governi locali.
Nei settori regolamentati, come energia e utilities, emergono lobby forti e strutturate. Le imprese energetiche, i concessionari delle reti, gli operatori del gas e dell'elettricità, nonché le aziende coinvolte nelle fonti rinnovabili, esercitano pressione su norme ambientali, incentivi, tariffe e regolazioni del mercato. Queste lobby usano competenze tecniche e dati agili per incidere su decisioni che spaziano dalla liberalizzazione alla transizione green.
Il settore farmaceutico è un altro campo di influenza cruciale. Le aziende del comparto e le associazioni della sanità interagiscono con ministeri e agenzie regolatorie su temi come prezzi dei farmaci, registrazioni, brevetti e accordi con regioni. La scarsità del sistema sanitario pubblico rende più facili le interlocuzioni che collegano interessi industriali e politiche pubbliche.
Un altro soggetto potente è quello delle reti religiose e movimenti cattolici, che dispongono di canali culturali, militanza capillare, strutture associative e diffusione territoriale. Comunione e Liberazione è un esempio spesso citato: con la Compagnia delle Opere e network di imprese, il movimento ecclesiale ha influenze che superano il confine religioso e si estendono al sociale, all'economia e alla politica.
I think tank e centri studi costituiscono una forma meno visibile di “soft power”. L'Istituto Affari Internazionali (IAI), ad esempio, è un hub riconosciuto nelle relazioni internazionali e nella sicurezza, con capacità di dialogo con il governo, appoggi esteri e visibilità mediatica.
In Italia non è possibile ignorare il ruolo delle organizzazioni criminali infiltrate nell'economia legittima, che agiscono come poteri locali paralleli o cooptati. Le mafie investono in imprese attive nei settori più vulnerabili (edilizia, rifiuti, trasporti, subforniture), ottenendo contratti pubblici, appalti e compatibilità istituzionale. Studi mostrano che settori a centralità economica e con poche imprese sono i più sensibili all'influenza criminale.
La finanza opaca e l'evasione fiscale sono anch'esse leve di potere. Strutture societarie offshore, trust, fondazioni “invisibili” e meccanismi contabili sofisticati permettono a soggetti privati di esercitare influenza economica e politica senza trasparenza, contribuendo a disallineare le decisioni pubbliche dai bisogni collettivi.
Accanto agli attori settoriali e criminali, esistono reti trasversali che legano politica, media, finanza e territori. Le alleanze tra imprenditori che finanziano media locali, giornalisti influenti, amministratori territoriali e parlamentari consentono forme di egemonia locale che si riverberano sulla scala nazionale. In certi casi, la capacità di orientare l'informazione locale e i meccanismi di finanziamento politico creano un rapporto di dipendenza che rafforza il potere stabilito.
Le lobby e i centri di potere che oggi contano guardano spesso ai grandi temi strategici: transizione energetica, difesa e aerospazio, digitalizzazione, infrastrutture, politiche europee e appalti pubblici. Sono queste le arene in cui le decisioni politiche si traducono in contratti dal valore miliardario.
Importante osservare come le reti della difesa e dual use si allargheranno, con i segmenti dell'economia coinvolti nella produzione militare, nella sicurezza e nell'innovazione tecnologica, attratti da fondi europei, commesse strategiche e politiche nazionali che spingono in quella direzione.
Altro fronte caldo è la governance UE: molte lobby italiane operano direttamente a Bruxelles ed esercitano influenza sulle normative europee, regolamenti digitali, leggi ambientali e strumenti di finanziamento (PNRR, Horizon, fondi della coesione). Le relazioni tra rappresentanze italiane ed europee offrono canali esterni tramite i quali determinati interessi nazionali possono pesare sugli indirizzi comunitari.
Infine, la crescente importanza dei big data, piattaforme digitali e intelligenza artificiale sposta l'asse del potere verso chi possiede infrastrutture digitali, capacità di analytics e mezzi informatici. Le grandi aziende tecnologiche e gli operatori della rete diventano attori rilevanti anche nella politica italiana, con lobby emergenti che agiscono per regolamentazioni, interoperabilità e controllo dei dati.