Il dipendente deve garantire che qualsiasi attività svolta non interferisca con il processo di guarigione.
Il tema del lavoro durante il periodo di malattia è complesso e delicato, regolato da norme che tutelano sia il dipendente sia il datore di lavoro. Quando un dipendente è in malattia, dovrebbe astenersi da qualsiasi attività lavorativa, poiché il riposo è essenziale per una pronta guarigione.
Ci sono però situazioni in cui il lavoratore può svolgere un'attività, a patto che non ostacoli il recupero della propria salute. Vogliamo capire cosa prevede la normativa in vigore, anche tenendo conto di una importante sentenza della Corte di Cassazione:
Situazione più delicata è quella del dipendente che, durante l’assenza per malattia, decide di svolgere un’attività lavorativa per un altro datore di lavoro o per conto proprio. Qui, il rischio di violare il rapporto fiduciario con il proprio datore di lavoro è elevato. In questo caso, il dipendente deve dimostrare che l'attività svolta non è in contrasto con le esigenze di riposo e recupero stabilite dal medico. Se il datore di lavoro scopre che il dipendente sta svolgendo un’attività che potrebbe rallentare la guarigione, può avviare un procedimento disciplinare che potrebbe portare anche al licenziamento, poiché tale comportamento potrebbe essere interpretato come una violazione degli obblighi contrattuali.
Nel caso in cui l’attività lavorativa svolta durante la malattia comprometta la guarigione o risulti incompatibile con lo stato di salute dichiarato, il datore di lavoro ha il diritto di prendere provvedimenti disciplinari, fino al licenziamento per giusta causa. La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che il licenziamento è legittimo se il comportamento del dipendente è idoneo a compromettere la sua guarigione, indipendentemente dal fatto che l'attività lavorativa sia per lo stesso datore o per altri.
In pratica, sebbene la legge non vieti in modo assoluto di lavorare durante la malattia, le condizioni per farlo sono ben precise. Il dipendente deve garantire che qualsiasi attività svolta non interferisca con il processo di guarigione e deve essere sempre trasparente con il proprio datore di lavoro.
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 21766 del 2 agosto 2024, ha rafforzato la giurisprudenza in materia di licenziamento disciplinare, confermando la legittimità del licenziamento di un lavoratore che, durante la malattia, aveva ripreso attività lavorative compatibili con il proprio ruolo senza avvisare il datore di lavoro. La Suprema Corte ha ribadito l'importanza di rispettare i principi di correttezza, buona fede e degli obblighi contrattuali anche durante l'assenza per malattia.
Il caso in esame ha evidenziato la violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà da parte del lavoratore, che non aveva comunicato il miglioramento del proprio stato di salute né aveva informato il datore di lavoro dell'intenzione di svolgere attività compatibili con la propria mansione. Questa condotta è stata ritenuta in contrasto con i doveri contrattuali e sufficiente a giustificare il licenziamento per giusta causa.
La decisione si inserisce in un contesto giurisprudenziale che sottolinea il ruolo centrale degli obblighi di diligenza e fedeltà nel rapporto di lavoro. Il mancato rispetto di questi doveri, come dimostrato dal caso in questione, può compromettere il rapporto di fiducia tra lavoratore e datore di lavoro, giustificando così il licenziamento.
I giudici hanno confermato la legittimità dei controlli effettuati dal datore di lavoro per verificare la condotta del lavoratore in malattia. Questi controlli sono considerati strumenti leciti per garantire il rispetto degli obblighi contrattuali e tutelare gli interessi dell'azienda.