La sindrome di burnout sul lavoro è considerata oggi una delle principali emergenze psicologiche della forza lavoro in Italia. Si tratta di una condizione in costante crescita, attestata dai più recenti dati nazionali che evidenziano come quasi un lavoratore su tre abbia vissuto sintomi riferibili a questa sindrome nel corso della carriera. In un mercato del lavoro segnato da pressione crescente, carichi emotivi e richieste performative spesso insostenibili, la consapevolezza delle conseguenze del burnout ha assunto una centralità inedita sia per la salute dei lavoratori che per la produttività aziendale. In parallelo, la normativa italiana e le istituzioni europee riconoscono lo stress lavoro-correlato tra i rischi psicosociali da monitorare attentamente, sottolineando l'urgenza di tutela e prevenzione.
Il termine burnout indica uno stato di esaurimento psicofisico che si manifesta quando lo stress occupazionale da cronico e gestibile diviene patologico e duraturo. Formalmente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha incluso questa sindrome nell’ICD-11 come fenomeno associato esclusivamente al contesto lavorativo, distinto dalle patologie mediche vere e proprie. Burnout significa letteralmente “bruciato”, a sottolineare la perdita progressiva delle energie fisiche ed emotive causata da condizioni lavorative logoranti.
La storia scientifica del burnout affonda le radici negli studi americani degli anni ‘70: le psicologhe Christina Maslach e Susan Jackson individuarono tre dimensioni tipiche del fenomeno:
È fondamentale distinguere burnout da normale stress lavorativo. Lo stress infatti può essere episodico, legato a particolari periodi di pressione, spesso risolutore e, entro limiti fisiologici, anche utile alla crescita professionale. Il burnout, invece, si sviluppa quando lo stress è continuo, non adeguatamente gestito o maturato in un ambiente lavorativo privo di supporti e risorse adeguate. A differenza dello stress reversibile, il burnout compromette motivazione, performance e soprattutto il benessere psicofisico globale. Lo stress tende a risolversi quando le pressioni diminuiscono; il burnout persiste e si aggrava anche dopo periodi di riposo, intaccando la sfera personale e sociale dell’individuo.
Stress lavorativo | Burnout |
Temporaneo, legato a specifiche situazioni | Cronico, si sviluppa gradualmente |
Motivazione generalmente presente | Apatia, distacco e perdita di senso |
Tende a risolversi col recupero | Persistenza della stanchezza e sintomi psico-fisici |
La sindrome da burnout evolve progressivamente e riconoscere tempestivamente i suoi segnali caratteristici risulta imprescindibile per arginarne gli effetti.
I campanelli d’allarme del burnout si esprimono su diversi livelli:
Non tutti i sintomi compaiono insieme: spesso la progressione è subdola, con segni lievi e transitori seguiti dal peggioramento progressivo. Una parte dei soggetti riferisce la sensazione, che non si attenua con il riposo, di essere “svuotato” e di non riuscire più a provare motivazione né a ricavare soddisfazione lavorativa.
Le origini del burnout sul lavoro riflettono una combinazione di fattori ambientali e personali. Le cause organizzative principali comprendono:
Fattori individuali di vulnerabilità sono il perfezionismo, la bassa resilienza allo stress, la tendenza all’autocritica, le aspettative irrealistiche e l’assenza di adeguate reti di supporto fuori dall’ambiente professionale. Non si tratta mai di “debolezza individuale”: la genesi del burnout è multifattoriale e spesso riflette squilibri oggettivi tra richieste e risorse a disposizione dei lavoratori.
Le ripercussioni del burnout si manifestano su vari livelli. A livello fisico si riscontrano disturbi del sonno, indebolimento immunitario, cefalee, disturbi gastrointestinali, tensioni muscolari e maggiore vulnerabilità a patologie croniche (ad esempio, ipertensione o diabete tipo 2). Sulla salute mentale la sindrome si accompagna a quadri di ansia e depressione, senso di fallimento, perdita di fiducia in sé e crisi di identità professionale. Si rileva anche una maggiore incidenza di comportamenti auto-lesivi o dipendenze da sostanze.
Sul piano relazionale, chi soffre di burnout tende a ritirarsi dalla vita familiare e sociale, con peggioramento della qualità delle relazioni, esplosioni emotive apparentemente immotivate e sensazione di isolamento. Nell’ambito lavorativo, aumentano conflittualità, insoddisfazione, errori operativi e presenteismo inefficace. L'assenteismo, per malattia o demotivazione, risulta molto più frequente rispetto ai lavoratori non colpiti dalla sindrome.
Gli effetti sul sistema-azienda includono il calo della produttività, perdita di innovazione, aumento di turnover e costi diretti o indiretti (malattie, sostituzioni temporanee, formazione di nuovo personale). Secondo studi nazionali recenti, i costi complessivi associati a questa sindrome raggiungono 81 miliardi di euro annui in termini di assenteismo e riduzione di produttività.
L’incidenza del burnout in Italia mostra differenze rilevanti in base al settore, all’età e alla collocazione geografica. Secondo gli ultimi rapporti Censis e indagini cliniche, il 29-32% dei lavoratori italiani dichiara di aver vissuto sintomi compatibili con la sindrome, con picchi superiori tra le donne (fino al 51%) e nella fascia 25-34 anni.
I settori maggiormente esposti sono quelli in cui la pressione e la richiesta di coinvolgimento umano sono elevate:
Sul piano territoriale, metropoli come Bologna, Genova e Milano registrano livelli tra i più alti, rispettivamente con il 36%, 35% e 32% di lavoratori esposti. In generale, insoddisfazione per l’equilibro vita-lavoro, mancanza di supporto aziendale e precarietà risultano più marcati nelle grandi aree urbane.
Dalla prospettiva giuridica, burnout e stress lavoro-correlato rientrano tra i rischi psicosociali soggetti a valutazione obbligatoria e monitoraggio secondo il D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro), art. 28. Il datore di lavoro è obbligato a identificare, prevenire e ridurre i rischi, comprese le condizioni organizzative e ambientali che possono favorire l’insorgere di situazioni patologiche come il burnout. L’assenza di prevenzione configura responsabilità diretta del datore di lavoro sia civile che penale.
Sul piano assicurativo, la Circolare INAIL n. 71/2003 ha esteso la tutela alle “malattie da costrittività organizzativa”, riconoscendo, in casi specifici e documentati, il burnout come malattia professionale suscettibile di indennizzo, previo accertamento clinico e valutazione dell’occorrenza di nesso causale tra condizioni lavorative e sintomi riferiti dal lavoratore.
I lavoratori hanno diritto, se colpiti da burnout certificato, a periodo di astensione retribuita (malattia), tutele su postazione e orario, accesso prioritario a misure di supporto psicologico aziendale e, nei casi più gravi, al riconoscimento di inabilità temporanea o permanente. Le aziende sono obbligate a favorire la rieducazione professionale e il reinserimento del lavoratore.