Il contratto a chiamata, noto anche come lavoro intermittente, rappresenta una soluzione contrattuale particolarmente flessibile che consente alle aziende di rispondere a esigenze produttive temporanee, intermittenti o discontinue. L’utilizzo di questa formula, disciplinata in modo organico dall’articolo 13 e seguenti del Decreto Legislativo n. 81/2015, si afferma in ambiti dove non è prevista una continuità della prestazione lavorativa, risultando particolarmente diffusa nei settori turismo, pubblici esercizi e spettacolo, ma anche in altri contesti caratterizzati da ciclicità operativa.
Il lavoro intermittente si configura come rapporto “a chiamata”, in cui il lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro, che può richiederne la prestazione in funzione delle necessità aziendali, senza obbligo di continuità. Questa soluzione contrattuale può essere adottata sia a tempo determinato che a tempo indeterminato, sempre previa stesura in forma scritta. La legge prevede precisi requisiti soggettivi e oggettivi per la stipula:
Il CCNL applicato può ulteriormente disciplinare le casistiche di ricorso, indicando periodi prestabiliti (es. week-end, stagioni turistiche, festività). In mancanza di specifiche previsioni contrattuali, si fa riferimento alle tipologie di attività classificate come discontinue.
Il legislatore ha fissato la durata massima del contratto a chiamata: per ciascun lavoratore e per lo stesso datore di lavoro, non può superare 400 giornate di prestazione effettiva nell’arco di tre anni solari. Questo limite non è applicabile ai settori del turismo, pubblici esercizi e spettacolo, individuati anche per codice ATECO e aderenza contrattuale. Se il conteggio delle giornate supera tale soglia, il rapporto si trasforma ex lege in un contratto subordinato a tempo pieno e indeterminato.
Il computo delle 400 giornate segue il principio del periodo mobile—cioè è effettuato contando a ritroso tre anni a partire dalla data della chiamata stessa. Ai fini del raggiungimento del limite, si considerano solo le giornate di lavoro effettivo prestate dopo il 29 giugno 2013 (con le specifiche fornite da Circolare Ministero del Lavoro n. 35/2013 e successive interpretazioni).
Non è prevista una durata minima per il contratto a chiamata; la flessibilità massima è garantita, salvo il rispetto dei limiti sopramenzionati. Tutte le ulteriori disposizioni relative alla durata sono rimesse a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva oppure, in mancanza, dalla disciplina legislativa generale.
In caso di superamento del limite delle 400 giornate, si realizza la conversione automatica del contratto a tempo indeterminato e a tempo pieno, con effetto dalla giornata lavorativa che determina lo sforamento del tetto normativo. L’unica eccezione, come già precisato, è rappresentata dai settori turistico, pubblici esercizi e spettacolo.
Nel contratto a chiamata a tempo determinato, proroghe e rinnovi non sono soggetti ai limiti quantitativi previsti dalla disciplina generale del contratto a tempo determinato (D.Lgs. 81/2015, art. 19 ss.), come confermato da svariate circolari ministeriali. Non si applicano, quindi, né lo stop and go né il vincolo sulle quattro proroghe massime tipico dei contratti a termine classici.
La normativa prevede che la proroga nel contratto intermittente possa intervenire senza limiti sul numero massimo, ma resta il divieto di abuso del diritto: reiterate e ingiustificate proroghe potrebbero essere impugnate come frode alla legge (art. 1344 c.c.), con rischio di conversione in contratto subordinato ordinario. Ogni stipula o rinnovo, comunque, deve risultare da atto scritto e comunicazione UNILAV, sempre con l’indicazione delle motivazioni—specie se imposte da CCNL o esigenze aziendali particolari.
Il lavoro intermittente può essere:
Il contratto deve dettagliatamente specificare modalità e luogo della prestazione, preavviso di chiamata (in genere non inferiore a un giorno lavorativo) e trattamento economico (salari, indennità, maggiorazioni per straordinari e festivi, tutele normative e previdenziali). Il trattamento deve essere non inferiore a quello dei lavoratori di pari livello e mansioni, in analogia con le altre forme di lavoro subordinato.
Il lavoratore intermittente, quando attivo, matura tutte le spettanze di legge e contratto collettivo in proporzione al lavoro svolto: ferie, TFR, ratei di mensilità aggiuntive, permessi, malattia e maternità secondo le regole per il part time verticale, oltre alle regole previdenziali (consultare le circolari INPS per i dettagli sulle tutele). Se percepisce indennità di disponibilità, tale somma è assoggettabile a tassazione e contribuzione, ma esclusa dal computo per altri istituti collettivi.
Il datore di lavoro è tenuto a eseguire la comunicazione preventiva di assunzione (Unilav); per ogni singola prestazione (o ciclo di massimo 30 giorni) va inoltre inviata una comunicazione di chiamata prima dell’inizio dell’attività, secondo le modalità previste: portale ClicLavoro, PEC, SMS, App Lavoro Intermittente. La mancata comunicazione comporta sanzioni amministrative da 400 a 2.400 euro per ciascun lavoratore coinvolto.
Oltre agli obblighi di comunicazione preventiva, il datore deve aggiornare annualmente le RSA o RSU sull’utilizzo del lavoro intermittente. È inoltre necessaria la regolarità in materia di sicurezza: in mancanza del Documento di Valutazione dei Rischi, il contratto è considerato nullo secondo l’interpretazione INL e la più recente giurisprudenza civile.
Il ricorso al contratto a chiamata è espressamente vietato nei seguenti casi:
La violazione dei divieti comporta la conversione automatica del rapporto in contratto subordinato a tempo pieno e indeterminato, con decorrenza dalla violazione accertata.