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Cosa rischio sul lavoro se sono spesso malato? Posso essere anche licenziato?

Malattia frequente e lavoro: diritti, tutele e limiti tra assenze giustificate, periodo di comporto, rischi di licenziamento e responsabilitŕ. Focus su regole, comportamenti e implicazioni economiche.

Autore: Marcello Tansini
pubblicato il
Cosa rischio sul lavoro se sono spesso m

Ammalarsi è una condizione che coinvolge tutti e si riflette anche nella sfera lavorativa: un evento che nessuno può prevedere ma che richiede attenzione. A volte, basta un'influenza stagionale, un infortunio domestico, una situazione che costringe a fermarsi, a porsi subito due domande: la prima riguarda la propria salute, la seconda è legata alla sicurezza del posto di lavoro. Il diritto a curarsi è riconosciuto dall'ordinamento italiano, come sancito dalla Costituzione, ma le frequenti assenze sollevano dubbi legittimi: può il timore di perdere l'impiego aggiungersi alle preoccupazioni per la salute?

La legge cerca di equilibrare la necessaria tutela del dipendente e le esigenze di chi organizza il lavoro collettivo, in un percorso non sempre privo di ansie. Comprendere meglio le regole e i meccanismi di tutela significa affrontare con maggiore consapevolezza le domande e i timori di chi si trova spesso costretto a lasciare temporaneamente il proprio incarico professionale.

Che cos'è il periodo di comporto e come funziona la tutela

Quando si verifica un'assenza per malattia, il rapporto di lavoro viene sospeso ma non si interrompe. L'elemento principale a tutela del dipendente è rappresentato dal periodo di comporto, cioè il tempo massimo durante cui il lavoratore può assentarsi senza rischiare di perdere il posto. Il codice civile (art. 2110) e i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro regolano la durata di questa fase protettiva, variabile in base al settore e al contratto applicato, spesso compresa tra tre mesi e un anno. Il comporto può essere:

  • Secco: riguarda un solo episodio di assenza continuativa.

  • Per sommatoria: considera la somma di più eventi morbosi separati nei limiti temporali fissati dal CCNL, di solito nell'arco annuale.

Durante questo tempo, il licenziamento motivato dalla malattia è nullo, salvo ragioni estranee alla patologia (ad esempio, gravi violazioni disciplinari). La durata precisa del comporto include anche giorni non lavorativi, festivi e weekend, salvo casi particolari come malattie derivanti da infortuni sul lavoro. Alcuni contratti collettivi consentono di richiedere un periodo di aspettativa non retribuita una volta esaurito il comporto, offrendo una possibilità ulteriore di tutela. Un aspetto importante da considerare è la tutela delle persone con fragilità o disabilità: la normativa prevede che le assenze direttamente correlate a una disabilità certificata non siano conteggiate ai fini del comporto, per evitare discriminazioni indirette.

Quando le assenze per malattia possono portare al licenziamento

Nell'ambito del diritto del lavoro, il licenziamento legato alla malattia si verifica solo al superamento delle tutele garantite dalla legge o in presenza di comportamenti che minano gravemente il rapporto fiduciario. Se le giornate di assenza superano il periodo di comporto stabilito dal proprio CCNL, il datore di lavoro può recedere dal rapporto; in tal caso, la motivazione non è punitiva ma deriva dall'impossibilità organizzativa di mantenere una posizione che resta scoperta in modo prolungato, creando disservizi e costi insostenibili.

Oltre al superamento del comporto, esistono situazioni in cui il licenziamento può avvenire anche prima di raggiungere il limite massimo, ma la causa non deve essere la sola assenza, bensì comportamenti gravi come frode, insubordinazione, invio di certificazioni false o condotte che violano gli obblighi di diligenza e buona fede richiesti a ogni lavoratore. In tutti i casi è il datore a dover dimostrare, con elementi oggettivi e tracciabili, la fondatezza del recesso: ogni licenziamento per assenze legate a malattia viene valutato attentamente sulla base di prove concrete.

Rimane esclusa la possibilità di considerare le assenze giustificate come scarso rendimento, poiché la malattia è considerata un evento non imputabile al lavoratore. Tuttavia, la reiterata e strategica collocazione delle assenze in certi periodi (ad esempio, a ridosso di festività) o modalità di comunicazione poco corrette possono determinare danni significativi all'organizzazione aziendale e portare a una valutazione sulla permanenza del rapporto di lavoro.

Superamento del periodo di comporto: cosa succede e quali tutele esistono

L'eventuale superamento del comporto rappresenta il principale snodo per la conservazione del posto. In questa circostanza, il datore di lavoro può procedere al licenziamento, anche senza colpa del lavoratore. Il recesso, in questo caso, è per giustificato motivo oggettivo, legato all'impossibilità di garantire una continuità produttiva. Il datore deve comunicare tempestivamente il superamento del limite, motivando la scelta. Se la comunicazione è tardiva o non specifica i motivi, il licenziamento rischia di essere giudicato illegittimo in sede giudiziaria.

Dopo il superamento del comporto, alcuni contratti prevedono una richiesta di aspettativa non retribuita, offrendo al dipendente una possibilità aggiuntiva prima della risoluzione definitiva. Inoltre, in caso di licenziamento, il lavoratore ha diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, come previsto dal proprio contratto. È importante sottolineare che, per il personale disabile o con malattie collegate alla condizione di disabilità, le assenze direttamente riferibili a tale stato devono, per legge, essere escluse dal conteggio ai fini del comporto (come stabilito dalla Legge 68/1999 e dalle successive circolari INPS). Chi intende valutare una richiesta di aspettativa o altri strumenti alternativi al licenziamento deve fare riferimento sia al CCNL sia alle eventuali prassi aziendali consolidate.

Assenze ingiustificate, ritardi o comportamenti incompatibili

Le assenze dal lavoro non coperte da certificazione medica, o comunicate in ritardo rispetto ai termini stabiliti dalla legge e dal CCNL, rappresentano una violazione degli obblighi di correttezza e diligenza. Secondo la recente giurisprudenza della Cassazione (sentenza n. 13747/2025), il datore può procedere al licenziamento disciplinare anche se il lavoratore è realmente malato, ma invia il certificato tardivamente, specie se ciò si verifica in modo sistematico.

  • Assenza ingiustificata protratta oltre 15 giorni: può essere equiparata a dimissioni di fatto, con conseguente perdita di indennità o diritti previdenziali.

  • Comportamenti incompatibili con la guarigione: lo svolgimento di attività che ostacolano il recupero o che fanno dubitare dell'effettivo stato di malattia (ad esempio, lavorare altrove, praticare sport impegnativi, svolgere attività fisicamente incompatibili con la patologia conclamata) possono giustificare il licenziamento per giusta causa. In tali casi, non è necessario dimostrare la simulazione della malattia, basta la prova che il comportamento ritardi la guarigione o leda la fiducia.

  • Violazione dell'obbligo di tempestiva comunicazione: anche il ritardo nella trasmissione del certificato, senza valide giustificazioni oggettive, legittima l'intervento disciplinare fino alla risoluzione del rapporto.

La difesa del dipendente in simili casi può consistere solo nella prova di un impedimento oggettivo e non volontario a rispettare le regole (come un ricovero d'urgenza).

I limiti del licenziamento per frequenti malattie

Un tema spesso dibattuto riguarda il licenziamento per l'eccessiva ricorrenza di episodi morbosi anche se ogni assenza è coperta dal relativo certificato. La posizione consolidata della giurisprudenza è chiara: se il lavoratore non supera il periodo di comporto, non può essere licenziato solo per le frequenti malattie. Le frequenti assenze, di per sé, non possono essere considerate scarso rendimento, poiché la causa non è imputabile al dipendente (Cass. 903/2017). Fanno eccezione solo quei casi in cui la gestione strategica e reiterata delle assenze determina un grave danno all'organizzazione aziendale, tale da rendere la presenza del lavoratore incompatibile con la normale conduzione dell'attività produttiva.

La Corte Suprema riconosce comunque al datore il diritto di monitorare la veridicità delle assenze tramite i controlli previsti dalla legge, come le visite fiscali INPS.

Cosa succede in caso di attività lavorative o personali

Il semplice svolgimento di attività lavorative o personali in periodo di malattia non comporta automaticamente rischi di licenziamento. Ciò che rileva ai fini disciplinari è la compatibilità dell'attività con la guarigione: se le azioni svolte sono coerenti con la patologia dichiarata e non allungano la convalescenza, non si possono configurare mancanze gravi:

  • Sono considerati illeciti i comportamenti che, per entità e frequenza, aggravano il rischio di peggioramento della salute o manifestano una negligenza tale da mettere in dubbio l'affidabilità del dipendente.

  • La casistica della Cassazione comprende, ad esempio, operai che durante l'assenza per infortunio svolgevano lavori pesanti o sport impegnativi, danneggiando così la propria ripresa.

  • Al contrario, attività sporadiche di moderata intensità o commissioni ordinarie nell'interesse proprio o della famiglia non sono di norma sanzionabili.

Nel caso di assenze coperte dai permessi previsti dalla Legge 104/1992, va dimostrato che le attività siano effettivamente finalizzate all'assistenza del familiare disabile secondo la nozione estesa accolta dalla giurisprudenza (incluse mansioni pratiche fuori dall'abitazione, se utili al benessere della persona assistita).

I diritti economici e le responsabilità durante l'assenza per malattia

L'assenza per malattia comporta la sospensione temporanea dell'attività lavorativa ma non degli obblighi retributivi nel periodo protetto. L'art. 38 della Costituzione e le norme di legge assicurano la percezione di una prestazione economica durante la malattia:

Primi 3 giorni (carenza)

Di norma a carico del datore di lavoro

Dal 4° al 20° giorno

INPS copre una parte dello stipendio, spesso integrata dal datore

Dal 21° giorno

L'INPS corrisponde una quota maggiore, con eventuali integrazioni

Il lavoratore deve adempiere a specifici doveri:

  • Fornire tempestivamente la certificazione medica

  • Essere reperibile per le visite fiscali nei giorni e orari comunicati

  • Non svolgere attività che possano ritardare la guarigione

L'inosservanza di queste regole non solo mette a rischio il trattamento economico, ma può dar luogo a sanzioni disciplinari o all'avvio delle procedure di licenziamento, specie se si accerta dolo o negligenza grave da parte del dipendente.