Malattia e lavoro 2025 leggi, normative in vigore e contratti nazionali oltre che i riferimenti dati dalla giurispredenza
Un impianto normativo avanzato sul lavoro come quello italiano prevede disposizioni molto dettagliate sul trattamento della malattia del lavoratore, per garantire un equilibrio tra diritti e doveri di entrambe le parti coinvolte.
La normativa segue una duplice strada: da un lato tutela il dipendente assicurandogli il diritto a non perdere il posto di lavoro e a non subire un taglio dello stipendio in caso di malattia; dall'altro protegge anche il datore di lavoro dal rischio di penalizzazioni economiche e organizzative che l'assenza di uno o più dipendenti potrebbe causare.
La materia è particolarmente ampia e ogni passaggio, inclusi quelli burocratici, risulta fondamentale sia per il datore di lavoro sia per il lavoratore per il corretto riconoscimento e la fruizione della malattia.
Il primo aspetto da comprendere è cosa si intenda per malattia nel contesto lavorativo. La malattia viene definita come un'alterazione dello stato di salute per un periodo superiore a tre giorni che richiede l'assistenza di un medico o il ricorso a terapie per la guarigione. Questa condizione comporta l'obbligo per il lavoratore di informare tempestivamente il datore di lavoro dell'assenza.
L'esistenza della malattia viene dimostrata attraverso il certificato del medico curante, che deve contenere l'indicazione della causa e va trasmesso all'Inps per ottenere la copertura economica, ovvero l'indennità. La procedura di invio all'Istituto di previdenza deve avvenire esclusivamente per via telematica.
È importante evidenziare che il certificato medico è un atto pubblico che fa piena prova fino a querela di falso per quanto riguarda la provenienza del documento e i fatti attestati dal medico come avvenuti in sua presenza. Tuttavia, come chiarito dalla Cassazione con sentenza n. 30551 del 27 novembre 2024, la fede privilegiata del certificato non si estende ai giudizi valutativi espressi dal sanitario in ordine allo stato di malattia e all'impossibilità temporanea della prestazione lavorativa. Questo significa che il datore di lavoro può contestare lo stato di malattia senza necessariamente ricorrere alla querela di falso, presentando elementi probatori contrari.
A seguito della presentazione del certificato medico e della visita fiscale, il lavoratore ha diritto all'indennità di malattia a carico dell'Inps, che viene erogata a partire dal quarto giorno di assenza. Secondo la normativa vigente nel 2025, questa indennità spetta per periodi fino a 180 giorni e, per la maggior parte delle categorie (è consigliabile consultare il CCNL di appartenenza), è generalmente pari a:
Un elemento fondamentale nel rapporto tra malattia e lavoro è la visita medica fiscale di controllo. Il lavoratore ha l'obbligo di farsi trovare presso il proprio domicilio durante le fasce di reperibilità, che nel 2025 sono:
Non farsi trovare a una visita medica comporta specifiche sanzioni economiche. Secondo la normativa in vigore nel 2025, in caso di assenza ingiustificata alla visita fiscale sono previste le seguenti penalizzazioni:
Un aspetto particolarmente delicato riguarda le attività che il lavoratore può svolgere durante il periodo di malattia. La Corte di Cassazione, con diverse pronunce recenti, ha fornito importanti chiarimenti su questo tema.
Secondo l'orientamento giurisprudenziale consolidato, non esiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di prestare attività, anche a favore di terzi, durante il periodo di assenza per malattia. Come chiarito dalla Cassazione nell'ordinanza n. 22793 del 5 settembre 2024, la fede privilegiata del certificato non si estende ai giudizi valutativi espressi dal sanitario in ordine allo stato di malattia e all'impossibilità temporanea della prestazione lavorativa. Questo significa che il datore di lavoro può contestare lo stato di malattia senza necessariamente ricorrere alla querela di falso, presentando elementi probatori contrari.
Tuttavia, lo svolgimento di altre attività durante la malattia può costituire giustificato motivo di recesso da parte del datore di lavoro in due specifiche ipotesi:
È importante sottolineare che, come stabilito dalla Cassazione nell'ordinanza n. 13063 del 26 aprile 2025, spetta al datore di lavoro l'onere di dimostrare che l'attività svolta dal dipendente in malattia sia incompatibile con il processo di guarigione o indichi una simulazione della patologia. Il datore non può limitarsi a provare che il lavoratore abbia svolto un'altra attività in costanza di malattia, ma deve dimostrare che la malattia era simulata o che la diversa attività svolta fosse potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio.
Il periodo di comporto rappresenta il limite temporale entro il quale il lavoratore malato ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. Questo periodo è stabilito dai contratti collettivi e può variare in base al settore di appartenenza e all'anzianità di servizio.
Una questione rilevante riguarda quali assenze debbano essere conteggiate nel periodo di comporto. Secondo la giurisprudenza consolidata, confermata dalla Cassazione con la sentenza n. 2071 del 29 gennaio 2025, le assenze dovute a infortunio sul lavoro o a malattia professionale non vanno computate nel periodo di comporto quando sussiste una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c., ovvero quando il datore non ha adottato tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
Inoltre, è importante considerare che, come stabilito dalla Cassazione con l'ordinanza n. 9831 del 15 aprile 2025, il lavoratore non ha diritto a modificare retroattivamente il titolo dell'assenza da malattia a ferie per evitare il superamento del periodo di comporto. Tale richiesta non può avvenire né prima, quando lo stato patologico non esiste, né dopo, quando il comporto è stato superato, con la pretesa di sottrarre a consuntivo i giorni di ferie non goduti.
Un aspetto interessante della disciplina riguarda il rapporto tra la malattia e altre cause di sospensione del rapporto di lavoro, come la carcerazione preventiva o la sospensione cautelare dal servizio. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 7479 del 20 marzo 2025, ha affrontato il tema degli effetti sul piano del trattamento economico, nell'ambito del procedimento disciplinare, della sospensione cautelare dal servizio intervenuta quando già vi era uno stato di malattia del dipendente.
Secondo la Suprema Corte, lo stato di carcerazione preventiva (o di custodia cautelare) del lavoratore non rientra tra le ipotesi tutelate dalla legge di impossibilità temporanea della prestazione, quali la malattia e le altre situazioni contemplate dall'art. 2110 c.c., e comporta la perdita del diritto alla retribuzione per tutto il tempo in cui si protrae la carcerazione stessa.
In questi casi non può essere invocato il principio della cosiddetta priorità della causa sospensiva della prestazione lavorativa (secondo il quale si considera prevalente ai fini del trattamento retributivo la causa verificatasi prima), atteso che esso si riferisce unicamente alle cause legali di sospensione con diritto alla retribuzione.
Il datore di lavoro ha il diritto di verificare l'effettiva sussistenza della malattia e che il lavoratore non tenga comportamenti che possano ostacolare o ritardare la guarigione. A tal fine, può ricorrere sia alle visite fiscali sia, in determinate circostanze, a investigatori privati.
La Cassazione, con l'ordinanza n. 21766 del 2 agosto 2024, ha chiarito che, sebbene l'articolo 5 dello Statuto dei Lavoratori proibisca al datore di lavoro di condurre accertamenti diretti sulle condizioni di salute del dipendente, ciò non esclude la possibilità di affidare indagini a terzi per verificare l'effettiva sussistenza della malattia.
Gli accertamenti privati possono essere utilizzati per ottenere elementi di fatto che provino la simulazione della patologia o l'inidoneità dello stato di malattia a giustificare l'assenza. Tuttavia, come precisato dalla giurisprudenza, tali controlli non possono riguardare direttamente lo stato di salute del lavoratore, ma solo comportamenti esterni che possano far presumere l'insussistenza della malattia o la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede.
Per una corretta gestione della malattia, è necessario seguire una precisa procedura che coinvolge il lavoratore, il medico e il datore di lavoro: