La donazione, come definita dal Codice Civile, è un atto con cui una parte, definita donante, decide, per puro spirito di liberalità, di arricchire un’altra parte (il donatario), senza alcuna costrizione e senza chiedere nulla in cambio, ma solo per la semplice volontà di ‘dare’.
E’ un atto relativamente semplice, nel senso che, quando il donante decide, basta che venga scritto, ma bisogna sempre stare attenti a redigere in maniera corretta il documento per evitare di incorrere in problemi ed eventuali rischi. Vediamo nel dettaglio di seguito quali potrebbero essere.
Per evitare problemi di validità legale e rischiare che la donazione risulti nulla, ci si deve sempre rivolgere ad un notaio per redigere un atto pubblico, a meno che non abbia ad oggetto beni mobili di modico valore.
Il contratto di donazione deve, dunque, essere redatto da un notaio e, al momento della stipula, devono essere obbligatoriamente presenti anche due testimoni, che non devono essere parenti stretti del donante o del donatario, né essere interessati all’atto.
Se la donazione ha per oggetto beni mobili, per esempio un’elevata somma di denaro, o quote di società, ecc, devono essere tutti, specificatamente, indicati nell’atto stesso di donazione, riportando anche precisamente il loro valore economico.
Una volta formalizzata la volontà del donante di donare, è necessario che il donatario proceda alla sua accettazione.
Quest’ultima può avvenire sia nello stesso atto pubblico di donazione, contestualmente alla dichiarazione del donante, e sia con un atto pubblico posteriore e separato ma, in questo secondo caso, la donazione non si considera perfezionata, e quindi non ha alcun valore legale, fino a quando non viene formalmente firmata da chi la riceve.
Un altro problema che potrebbe prospettarsi con una donazione, se non fatta bene, è quello della lesione delle quote legittime di eredità destinate agli altri eredi, una volta morto il donante, con la conseguenza della restituzione della donazione ricevuta.
Stando, infatti, a quanto previsto dalla normativa vigente, se le donazioni fatte in vita dal de cuius ledono o riducono la quota di legittima spettante agli altri legittimari, questi ultimi, alla morte del donante, possono agire in diversi modi per riprendersi ciò che il defunto aveva già donato in vita ad un altro parente, per esempio un figlio, o un genitore.
In particolare, è possibile contestare la donazione con:
Le donazioni fatte in vita dal defunto ai figli o al coniuge rappresentano, infatti, in alcuni casi, una sorta di anticipo dell’eredità, e quindi al momento della divisione finale del patrimonio ereditario devono essere considerate interamente da dividere poi tra tutti, per evitare che chi ha già ricevuto in vita qualcosa sia abbia di più dopo rispetto agli altri.
Le donazioni sono soggette all’Imposta sulle donazioni che, però, per legge, non si applica sempre e prevede aliquote e franchigie diverse che dipendono sia dal valore complessivo dei beni che dal grado di parentela o di affinità tra il donante e il soggetto beneficiario.
Entrando più nel dettaglio, l’imposta è del:
Se il donatario è un portatore di grave handicap titolare di Legge 104, la franchigia di esenzione è di 1.500.000 euro.
Oltre all’imposta sulle donazioni si devono anche pagare sia l’imposta di registro tutte le volte in cui la donazione ha ad oggetto un immobile o comunque avviene tramite atto notarile e che è del 9% sul valore catastale del bene (al 4% se si tratta di prima casa); e sia l’imposta ipotecaria e catastale, pari rispettivamente al 2% e all’1%, che diventa di 50 euro nel caso di prima casa.