Dal 2006 il tuo sito imparziale su Lavoro, Fisco, Investimenti, Pensioni, Aziende ed Auto

La fibromialgia puņ essere riconosciuta come una malattia professionale nel 2025?

I sintomi comuni della fibromialgia includono dolore e stanchezza nei muscoli del viso e nei tessuti fibrosi adiacenti. Ma č riconosciuta anche come malattia professionale?

Autore: Chiara Compagnucci
pubblicato il
e aggiornato con informazioni attualizzate il
La fibromialgia puņ essere riconosciuta

La domanda relativa al riconoscimento della fibromialgia come malattia professionale suscita particolare attenzione e dibattito nel 2025, considerando sia l’evoluzione del quadro normativo che l’ampliarsi delle conoscenze cliniche sulla sindrome fibromialgica. La fibromialgia rappresenta una condizione caratterizzata da dolore muscoloscheletrico cronico e diffuso, severa stanchezza e una serie di altri sintomi neurovegetativi che impattano significativamente sulla qualità della vita e sulla capacità lavorativa. Sebbene in Italia la patologia non sia ancora inserita nelle tabelle INAIL delle malattie professionali, la pressione delle associazioni dei pazienti e le recenti discussioni parlamentari stanno mantenendo alta l’attenzione sul possibile riconoscimento della fibromialgia nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e sul suo impatto in ambito lavorativo e previdenziale.

L’evoluzione normativa e i tentativi di riconoscimento della fibromialgia come malattia professionale

Attualmente, secondo la normativa vigente e le direttive INAIL aggiornate al 2025, la fibromialgia non figura negli elenchi delle "malattie professionali tabellate". Tuttavia, è possibile avviare la procedura di riconoscimento individuale come malattia non tabellata, qualora si possa dimostrare uno specifico nesso causale tra l’attività lavorativa svolta e l’insorgenza della sindrome. Questo percorso richiede una documentazione accurata e una valutazione medica che attesti la correlazione tra le condizioni lavorative e le manifestazioni cliniche della fibromialgia.

Le recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno confermato che la responsabilità del datore di lavoro può essere coinvolta solo in presenza di prove solide riguardanti la relazione tra mansioni lavorative, esposizione a fattori di rischio specifici (quali posture forzate, attività ripetitive, microclima sfavorevole) e comparsa della sintomatologia fibromialgica. È importante sottolineare che la dimostrazione del nesso di causalità spetta integralmente al lavoratore, rendendo il riconoscimento di questa patologia come professionale particolarmente complesso nel contesto attuale.

Definizione, cause e diagnosi della fibromialgia

La fibromialgia, o sindrome fibromialgica, è una condizione cronica non infiammatoria caratterizzata da dolore diffuso, rigidità muscolare, ipoenergia e disturbi del sonno. La patologia colpisce principalmente le donne di età compresa tra i 30 e i 55 anni ma può manifestarsi in qualsiasi fascia d’età, anche negli uomini.

Le ipotesi eziologiche più accreditate fanno riferimento a alterazioni dei neurotrasmettitori (come serotonina e noradrenalina), predisposizione genetica, fattori ormonali e psicosociali, nonché a un’anomala risposta del sistema nervoso centrale agli stimoli dolorosi. Traumi fisici, stress cronico e infezioni sono considerati fattori predisponenti. La diagnosi è clinica, basata sui criteri proposti dall’American College of Rheumatology e dalla EULAR, e prevede l’esclusione di altre patologie reumatiche o neurologiche tramite esami laboratoristici e strumentali.

I sintomi della fibromialgia e loro impatto sul lavoro

Il quadro clinico della fibromialgia si presenta con dolore muscolare cronico e diffuso, spesso accompagnato da astenia, disturbi cognitivi (difficoltà di concentrazione, "fibro-fog"), rigidità mattutina, formicolii, cefalea, alterazioni del sonno e sindromi correlate come il colon irritabile. I pazienti riferiscono anche ipersensibilità al dolore (iperalgesia, allodinia) e alterazioni neurovegetative.

In ambito lavorativo, il dolore persistente e la stanchezza hanno ripercussioni sulla produttività e sulla capacità di mantenere uno standard costante di performance. Studi italiani e internazionali evidenziano che la fibromialgia comporta un aumento dell’assenteismo, perdita di giornate lavorative (in media superiore rispetto ad altre condizioni croniche), ricorso a permessi e, nei casi più gravi, perdita del posto di lavoro o richiesta di agevolazioni previdenziali come l’assegno ordinario di invalidità.

Riconoscimento dell’invalidità lavorativa e tutele previdenziali

Sebbene la fibromialgia non sia inserita nelle tabelle delle malattie professionali, può determinare una significativa riduzione della capacità lavorativa. In presenza di una riduzione superiore a 2/3 (67%), il lavoratore può presentare istanza per l’assegno ordinario di invalidità all’INPS, purché siano soddisfatti i requisiti contributivi e sanitari previsti dalla legge. È prevista anche la possibilità di accedere a procedure di collocamento mirato – qualora la Commissione medica accerti un’invalidità riconosciuta almeno del 46% ai sensi della legge 68/1999 – beneficiando così di percorsi specifici per il reinserimento e la tutela occupazionale (liste delle "categorie protette").

Per ottenere questi riconoscimenti è necessario che la diagnosi sia supportata da idonea documentazione clinica e che il decorso della sindrome limiti stabilmente le mansioni lavorative ordinarie, con possibili adattamenti posturali e orari flessibili. È importante ricordare che il riconoscimento come malattia professionale INAIL resta subordinato alla prova del nesso causale, mentre per l’invalidità civile e le agevolazioni lavorative fa fede la valutazione della Commissione Medica.

L’impatto sociale e lavorativo della fibromialgia

Oltre agli aspetti strettamente clinici, la fibromialgia comporta importanti conseguenze in ambito psicosociale, lavorativo e assistenziale. La patologia incide sulla capacità produttiva, genera spesso mancanza di comprensione e discriminazione negli ambienti di lavoro e talvolta isola il paziente dal tessuto sociale e familiare.

Sono emersi dati significativi riguardo alle richieste dei pazienti di maggiore formazione del personale sanitario, flessibilità lavorativa (smart working, orari ridotti), formazione sui rischi ergonomici e supporto psicologico. Le associazioni pazienti, come AISF, sono impegnate nel promuovere informazione, tutela dei diritti e parità di accesso alle cure innovative e ai servizi specialistici.

Percorso di riconoscimento ai fini previdenziali: invalidità civile e collocamento mirato

Le persone affette da fibromialgia possono rivolgersi alle Commissioni mediche per il riconoscimento dell’invalidità civile, secondo quanto previsto dalla legge 104/1992 e dalla legge 68/1999 per l’inserimento nelle "categorie protette" e per l’accesso al collocamento mirato. La condizione di invalidità riconosciuta almeno al 46% permette di accedere a facilitazioni lavorative e a misure di sostegno, mentre una riduzione della capacità lavorativa superiore al 67% consente di richiedere assegno ordinario di invalidità.

Ai fini dell’inserimento nelle liste di collocamento mirato, l’accertamento è svolto dalle Commissioni medico-legali integrate, che elaborano una diagnosi funzionale, un profilo socio-lavorativo e una relazione sulle necessità di adattamento dell’ambiente lavorativo e sulle eventuali forme di sostegno.

La richiesta di riconoscimento della fibromialgia come malattia invalidante e i LEA

L’inserimento della fibromialgia tra le malattie invalidanti e nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) è sostenuto da diverse proposte di legge e dal lavoro delle associazioni dei pazienti. La crescente sensibilità politica e sociale sul tema potrebbe favorire entro l’anno una definizione più chiara delle tutele sanitarie e previdenziali riconosciute alle persone con sindrome fibromialgica.

In sintesi, la fibromialgia nel 2025 non è ancora riconosciuta sistematicamente come malattia professionale, ma può accedere a tutele e riconoscimenti di invalidità civile e lavorativa tramite percorsi specifici, a condizione che sussistano una diagnosi chiara, un impatto funzionale documentato e – solo in ambito INAIL – un nesso causale provato con l’attività lavorativa. Resta cruciale mantenere aggiornata la documentazione specialistica e seguire l’evoluzione normativa, affidandosi anche al supporto delle associazioni di riferimento e dei servizi territoriali di patronato.

Leggi anche
Puoi Approfondire