La regolamentazione italiana in ambito lavorativo prevede una serie di strumenti normativi per garantire alle lavoratrici uno specifico livello di tutela durante la gravidanza e dopo il parto. Il riferimento principale è rappresentato dal Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, noto come Testo Unico sulla maternità e paternità, a cui si affiancano ulteriori normative, tra cui la Costituzione Italiana (art. 37) e il Codice Civile (art. 2110).
Queste disposizioni si pongono l’obiettivo di evitare discriminazioni, garantire il benessere della madre e del minore, e determinare criteri certi e trasparenti in merito ai periodi di assenza, stipendio, flessibilità e protezione sul luogo di lavoro. In particolare, la legge tutela l’intero periodo gestazionale e il puerperio, ma prevede anche diritti specifici per il padre lavoratore e per chi si trova in situazioni particolari, come l’adozione e l’affidamento.
Il quadro normativo si arricchisce, inoltre, di aggiornamenti periodici che adeguano gli strumenti di tutela alle nuove esigenze sociali, promuovendo una conciliazione tra sfera privata e responsibilità occupazionali, e rafforzando strumenti come il congedo parentale.
Il congedo di maternità viene definito come il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro riconosciuto a favore delle lavoratrici in gravidanza e dopo il parto, finalizzato a tutelare sia la salute della madre sia quella del neonato. Tale diritto si innesta in una cornice normativa che mira a offrire una protezione adeguata nei confronti delle condizioni fisiche e psicologiche derivanti dallo stato di gravidanza, evitando che l’esperienza parentale possa costituire motivo di discriminazione lavorativa.
I principi alla base della tutela della genitorialità discendono dalla necessità di promuovere pari opportunità tra i generi e una concreta conciliazione tra vita familiare e lavoro. La normativa si esprime, dunque, nella previsione sia di strumenti obbligatori sia facoltativi di astensione dal lavoro:
L’obiettivo è assicurare che il percorso che accompagna la nascita di un figlio e la gestione delle prime fasi della vita familiare possa avvenire senza ripercussioni negative sulla posizione lavorativa o sul sostentamento economico.
L’accesso al congedo di maternità è disciplinato per diverse categorie di lavoratrici e tiene conto della tipologia di rapporto lavorativo e della situazione contributiva. I criteri di ammissibilità sono specifici e variano a seconda della posizione previdenziale e della natura dell’attività professionale svolta.
Ai padri lavoratori dipendenti spettano le stesse tutele solo in condizioni specifiche quali morte, grave patologia o abbandono da parte della madre, oltre ai casi di affidamento esclusivo del minore.
Categoria lavorativa | Requisito contributivo o di servizio |
Dipendenti (pubblico/privato) | Rapporto attivo oppure in ammortizzatore entro termini di legge |
Agricole | 51 giornate lavorative nell’anno |
Colf/badanti | 26 settimane l’anno precedente o 52 nei due precedenti |
Disoccupate | Entro 60 o 180 gg e 26 contributi biennali |
Autonome/parasubordinate | Regolarità contributiva INPS |
Libere professioniste | Regolarità contributiva presso cassa di categoria |
Il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità in Italia prevede, in via generale, una durata complessiva di cinque mesi che si articolano tra la gravidanza e il puerperio. Le modalità di fruizione offrono diverse soluzioni, consentendo alle lavoratrici di scegliere la distribuzione più consona alle proprie esigenze, sempre nel rispetto dei parametri di tutela della salute.
Non esistono differenze di durata in caso di parto gemellare: la sospensione dal lavoro è sempre di cinque mesi. Se il parto interviene prima della data prevista, i giorni di congedo non fruiti anticipatamente vengono aggiunti alla parte post-parto. In casi eccezionali, come ad esempio un’attività lavorativa giudicata incompatibile con il periodo successivo alla nascita, il periodo di congedo può essere prorogato da parte degli organi competenti.
Alle lavoratrici adottive o affidatarie sono riconosciuti i medesimi diritti in quanto il periodo si attiva all’ingresso del minore in famiglia. In caso di interruzione di gravidanza avvenuta dopo 180 giorni, la normativa consente di beneficiare comunque dell’intero periodo di congedo, lasciando però facoltà di riprendere il lavoro anticipatamente se vi è una richiesta espressa in tal senso e compatibilità clinica.
La normativa vigente considera prioritario il principio della salvaguardia della salute della madre e del figlio per ogni modalità applicativa e per tutti i casi particolari.
Durante la gravidanza e la fase di maternità, la legislazione italiana pone precisi vincoli e garanzie a tutela della lavoratrice. Esiste un divieto assoluto di licenziamento dalla comunicazione dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di vita del bambino (salvo eccezioni specifiche come la cessazione dell’attività aziendale). È prevista la conservazione del posto di lavoro, incluse la mansione e l’anzianità maturata.
Le disposizioni normative impongono la massima attenzione alla salute della lavoratrice e alla continuità della tutela economica, includendo il diritto al mantenimento delle ferie e dei ratei di mensilità aggiuntiva maturati durante il periodo di assenza.
L’indennità economica spettante durante il periodo di maternità rappresenta una delle principali forme di tutela per consentire alle lavoratrici di mantenere un livello di reddito adeguato nei mesi di astensione dal lavoro. L’ammontare del trattamento dipende dalla categoria lavorativa e dalle condizioni specifiche del rapporto di lavoro. Per le dipendenti, in generale, l’indennità prevista è pari all’80% della retribuzione media giornaliera percepita nei mesi immediatamente precedenti all’inizio della sospensione, calcolata secondo criteri definiti dal Testo Unico.
Categoria | Calcolo della retribuzione |
Impiegate | Media mensile del mese precedente + rateo mensilità aggiuntive, diviso 30 |
Operai retribuiti a ore | Retribuzione del mese precedente divisa per giorni lavorati, rateo mensilità aggiuntive diviso 25 |
Operai a retribuzione fissa mensile | Retribuzione mese precedente divisa per 26, rateo mensilità aggiuntive diviso 25 |
La corresponsione dell’indennità avviene di norma tramite il datore di lavoro, che anticipa la somma nella busta paga e procede al conguaglio con l’ente previdenziale. In alcune situazioni tipiche (lavoratrici stagionali, agricole, dello spettacolo saltuarie, domestiche, disoccupate o sospese), il pagamento avviene direttamente dall’INPS tramite bonifico o accredito bancario.
Categorie prive dei requisiti per l’indennità centrale possono accedere ad assegni di maternità corrisposti dal Comune o dallo Stato, a seconda della casistica individuale e dei requisiti reddituali e contributivi.
Il congedo parentale, precedentemente denominato maternità facoltativa, rappresenta una misura di sostegno per i genitori lavoratori volta a facilitare la cura del figlio nei primi anni di vita e a promuovere l’equilibrio tra impegni familiari e professionali. Può essere fruito sia dalla madre sia dal padre, anche in modo frazionato e alternato, ed è riconosciuto entro il compimento dei 12 anni del minore.
Nel dettaglio, il numero di mesi può essere suddiviso in periodi anche non continuativi, secondo le esigenze del nucleo familiare. Nei casi di adozione o affidamento, il termine decorre dall’ingresso del minore nella famiglia.
Retribuzione e novità 2025: L’indennità prevista durante il congedo parentale è pari al 30% della retribuzione media giornaliera. Con la legge di Bilancio 2025 sono previsti importanti adeguamenti: per i genitori che terminano il congedo obbligatorio dopo il 31 dicembre 2024, sono assicurati 3 mesi totali (tra mamma e papà) indennizzabili all’80% della retribuzione, da fruire entro i primi 6 anni di vita del figlio; ulteriori mesi restano retribuiti al 30%.
L’accesso al congedo e la fruizione vanno richiesti all’INPS secondo procedure telematiche, con obbligo di comunicazione al datore di lavoro nel rispetto dei termini previsti dalla contrattazione collettiva.
Il congedo di paternità si configura come il diritto riconosciuto al padre lavoratore dipendente ad astenersi dal lavoro per un periodo determinato in occasione della nascita, adozione o affidamento di un figlio. Attualmente la fruizione copre 10 giorni lavorativi retribuiti al 100%, da utilizzare tra due mesi prima e cinque mesi dopo l’evento, anche in maniera non continuativa e in costanza di congedo della madre. Vi è poi la possibilità di un ulteriore giorno facoltativo, in sostituzione della madre qualora questa vi rinunci.
I permessi per allattamento, invece, spettano principalmente alla madre lavoratrice dipendente fino al compimento del primo anno di vita del figlio: da una a due ore giornaliere retribuite sulla base dell’orario di lavoro. Tali permessi possono essere richiesti anche dal padre in specifici casi:
Le regole sono applicabili senza discriminazione anche ai genitori adottivi o affidatari.
La disciplina sull’astensione anticipata dal lavoro si applica quando la gravidanza o il lavoro stesso presentano rischi concreti per la salute della gestante o del nascituro. L’accesso all’astensione anticipata richiede una valutazione sanitaria che attesti una delle seguenti condizioni: gravidanza patologica, complicazioni ostetriche, situazioni sanitarie che impediscono l’espletamento della mansione, oppure attività lavorativa ritenuta potenzialmente dannosa.
Tutte le misure rispondono al principio di massima protezione della salute, in conformità con gli obblighi imposti al datore di lavoro in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro.
La procedura per accedere al congedo di maternità è organizzata secondo modalità telematiche e prevede specifici adempimenti documentali. La domanda deve essere trasmessa all’INPS, preferibilmente prima dell’inizio del periodo di astensione e non oltre un anno dalla fine dello stesso. È possibile utilizzare i servizi online dell’ente previdenziale, il Contact Center oppure affidarsi a strutture di patronato.
Il datore di lavoro deve essere informato tempestivamente dell’avvio del congedo, fornendo tutta la documentazione richiesta. Entro 30 giorni dal parto è obbligatoria la comunicazione dei dati anagrafici del neonato all’INPS, completando così la pratica amministrativa per tutta la durata del beneficio.