Lo spread è la differenza di rendimento tra due titoli di Stato della stessa durata, ma emessi da Paesi differenti, e serve a misurare quanto un investitore sia disposto a essere ricompensato per il rischio maggiore legato a un'emissione meno affidabile. In Europa, il riferimento canonico è il confronto tra il Btp italiano a 10 anni e il Bund tedesco della stessa durata, considerato il punto di riferimento per eccellenza grazie alla solidità finanziaria della Germania. Se, ad esempio, il Bund ha un rendimento dell'1,5% e il Btp offre un interesse del 4%, lo spread risulterà pari a 250 punti base, ossia una differenza del 2,5%.
Questo valore, espresso in centesimi di punto percentuale (100 punti base equivalgono a un punto percentuale), è un termometro della fiducia dei mercati internazionali verso un Paese. Tanto più lo spread si amplia, tanto maggiore è la percezione che quel Paese sia a rischio di insolvenza o di instabilità economica e politica. Al contrario, un restringimento del differenziale indica un avvicinamento alla fiducia accordata ai Paesi più virtuosi. In altre parole, lo spread racchiude il giudizio sintetico dell'intero mercato globale sulla salute finanziaria di uno Stato. Ci interessa approfondire:
Perché è importante lo spread per l'economia
Effetti su famiglie, imprese e sistema bancario
Lo spread come termometro della fiducia
Uno spread elevato si traduce in un aumento dei tassi d'interesse che lo Stato è costretto a offrire per vendere i propri titoli pubblici. In un contesto come quello italiano, dove il debito pubblico ha superato i 2.900 miliardi di euro, ogni punto percentuale in più di interessi comporta un onere aggiuntivo miliardario a carico dei contribuenti. Significa meno spazio per investimenti pubblici in settori come sanità, scuola, infrastrutture, ricerca e digitalizzazione poiché una quota sempre maggiore delle risorse statali viene assorbita dal servizio del debito.
Lo spread diventa così anche uno strumento politico perché influenza le decisioni di governo in materia di politica fiscale, riforme strutturali, spesa pubblica e gestione delle emergenze. Nei momenti di massima tensione finanziaria, come accadde nel 2011 in Italia o nel 2012 in Spagna, lo spread è stato il fattore scatenante di crisi istituzionali, dimissioni di premier e interventi straordinari da parte delle banche centrali. Quando il differenziale supera soglie critiche (oltre i 300 punti base per l'Italia), scatta una sorta di allarme rosso per i mercati, con conseguente fuga dei capitali, incremento delle coperture assicurative sul debito sovrano e pressioni sui rating delle agenzie internazionali.
Quando il differenziale dello spread si amplia in modo duraturo, il rischio si trasmette al costo del credito per imprese e cittadini. Le banche, che detengono ingenti quantità di titoli pubblici nei propri bilanci, vedono aumentare il rischio implicito dei loro attivi e diventano più caute nel concedere prestiti. La conseguenza è un innalzamento dei tassi di interesse sui mutui, sui prestiti alle aziende, sulle linee di credito e spesso anche una stretta creditizia.
Le piccole e medie imprese soffrono maggiormente in questi scenari perché hanno minori possibilità di accedere ai mercati obbligazionari per autofinanziarsi. La domanda interna cala, gli investimenti si contraggono, l'occupazione si indebolisce. Anche le famiglie vedono peggiorare le condizioni di accesso al credito.
La percezione generale del pubblico peggiora, generando un clima di incertezza che spinge al risparmio precauzionale e frena i consumi. Tutto questo mentre le aziende, costrette a pagare di più per finanziare il proprio debito, riducono margini e produttività.
Nel sistema euro, dove i singoli Paesi non possono stampare moneta né gestire una propria politica monetaria autonoma, lo spread è la valvola di sfogo dei timori degli investitori internazionali. Qualsiasi elemento di instabilità viene immediatamente prezzato attraverso il differenziale con il Bund tedesco.
La Banca Centrale Europea può intervenire per calmierare le tensioni, ma lo fa solo in presenza di una narrativa credibile da parte dei governi coinvolti. Altrimenti la spirale si autoalimenta. Anche le agenzie di rating hanno un ruolo determinante: un downgrade può far schizzare lo spread in poche ore, costringendo gli Stati a rivedere i propri piani di spesa.