Il periodo di comporto, periodo di tempo concesso a un lavoratore per assenza per malattia o infortunio, periodo durante il quale il lavoratore ha diritto a conservare il proprio posto di lavoro e il proprio stipendio e a ricevere una indennità giornaliera di malattia. Ogni Ccnl definisce regole specifiche sul periodi di comporto previsto.
Il periodo di comporto, periodo di tempo concesso a un lavoratore per assenza per malattia o infortunio, o per gravidanza o maternità, è regolato dai contratti collettivi nazionali di lavoro, e prevede il diritto per il lavoratore di conservare il proprio posto di lavoro e il proprio stipendio, e il diritto a ricevere una indennità giornaliera di malattia, a carico dell’Inps ma anticipata dal datore di lavoro. Vediamo come funziona il periodo di comporto.
Le regole che stabiliscono come comportarsi durante il periodo di comporto per assenza per malattia a lavoro, sia per lavoratori, sia per datori di lavoro, sono definite della legge italiana e precisate da ogni contratto nazionale di lavoro.
Considerando che l’articolo 32 della Costituzione prevede che la tutela della salute è uno dei diritti fondamentali della persona, il lavoratore dipendente che si ammala ha facoltà e diritto di assentarsi dal lavoro per tutto il tempo necessario per le cure.
Nel corso del periodo di assenza da lavoro per malattia, il lavoratore percepisce, stando a quanto stabilito dalla legge, un’indennità di malattia pari al 50% dello stipendio per i primi giorni di assenza, al 66,6% per quelli successivi, e ha il diritto a mantiene il posto di lavoro. Non esiste la possibilità per il datore di lavoro di licenziare un proprio dipendente in malattia, a meno che non si verifichino casi eccezionali.
Per quanto tempo durante la malattia si ha diritto a conservare il proprio posto di lavoro? Generalmente, il periodo di comporto per assenza per malattia ha durata di:
Durante questi periodi, il lavoratore percepisce l’indennità di malattia giornaliera spettante da parte dell’Inps. I contratti collettivi, nella maggior parte dei casi, prevedono una integrazione a carico dell’azienda, per evitare che il lavoratore in malattia percepisca uno stipendio netto superiore rispetto a quello della prestazione lavorativa. L’indennità di malattia durante il periodo di comporto per gli impiegati è, invece, a carico del datore.
Nel calcolo del periodo di comporto vengono considerati anche i giorni non lavorativi. Non rientrano, invece, nel calcolo del periodo di comporto:
A prescindere dai tempi di durata del periodo di comporto sopra riportati, sono i diversi contratti collettivi nazionali del lavoro a stabilire le proprie regole per il periodo di comporto. Ogni CCNL, infatti, prevede:
durata del periodo di comporto per assenza per malattia;
tempo di riferimento, se anno solare (365 giorni decorrenti dal primo evento di malattia o a ritroso dalla data di licenziamento) o di calendario (cioè dal primo gennaio al 31 dicembre);
modalità di calcolo.
I contratti collettivi nazionali prevedono poi due tipi di periodi malattia:
Se si supera il periodo di comporto, l’azienda può anche intimare subito al dipendente il licenziamento per superamento del periodo di comporto. Tuttavia, il licenziamento non è obbligatorio e certo che scatti se si supera il periodo di comporto. E’ il datore di lavoro che decide se licenziare (o meno) il dipendente, anche senza una giusta causa, ma, come detto, non sussiste obbligo di licenziamento. Per evitare eventuali problemi, è bene dunque accertarsi della durata del periodo di comporto previsto dal proprio contratto di lavoro.
Precisiamo che il licenziamento, diciamo obbligatorio, può scattare quando sussiste una giusta causa: se, per esempio, un lavoratore dipendente si assenta per un mese da lavoro per malattia ma poi posta o compare su foto sui social comodamente in vacanza, magari in spieggia al mare, ecco che si verifica la giusta causa per il licenziamento.