Il rinnovo del Ccnl degli Statali non risulta poi così buono come si dice. Da un’analisi effettuata, emerge, infatti, che gli aumenti al 6% sono bassi considerando la reale inflazione registrata, gli ulteriori aumenti garantiti dal nuovo taglio del cuneo fiscale non sono propriamente solo per gli statali ma per tutti i lavoratori dipendenti e le poche risorse, decantate, disponibili per il rinnovo del Ccnl per gli statali in realtà c’erano ma sono state usate per la riduzione dell’Irpef.
Quali sono i punti di forza su cui rilanciano i sindacati per il rinnovo dei contratti degli Statali ma che risulterebbero falsi? Il rinnovo del Ccnl degli Statali ha fatto, finalmente, tirare un sospiro di sollievo sia ai dipendenti sia ai protagonisti dei tavoli delle trattative, che hanno chiuso una importante partita.
Tra aumenti di stipendi, novità per lo smart working e il debutto della settimana corta a lavoro, il rinnovo ha avuto il plauso da diverse parti. Ma è davvero così buono il nuovo contratto?
Secondo un’analisi effettuata da Mario Pomini, Docente di Economia, Università di Padova, e riportata su Ilfattoquotidiano, si tratta, invece, di una vera e propria delusione, sia da parte del governo e sia, e soprattutto, da parte dei sindacati. Ed ecco perché.
I rinnovi contrattuali servono per adeguare gli stipendi dei lavoratori all’andamento dell’inflazione e dell’economia, per garantir loro sempre un maggiore potere di acquisto senza il rischio di alcuna penalizzazione.
Il costo della vita aumenta, si lavora regolarmente e si deve percepire tanto quanto serve per vivere bene in linea con i costi che salgono. Questo è il principio.
Il rinnovo contrattuale degli statali non garantisce questo meccanismo.
Prevede, infatti, un aumento medio lordo di 165 euro e l’importo potrebbe sembrare alto e adeguato. Ma così in realtà non è.
Se, infatti, il precedente rinnovo garantiva un incremento del 4% per il periodo 2019-2021 con un’inflazione complessiva del 2%, rivelandosi un buon contratto, l’inflazione nell’ultimo triennio è arrivata al 15% e un rinnovo del 6% non è per niente un buon risultato.
E’ decisamente molto più basso non solo di ciò che ci si aspettava ma di ciò che dovrebbe essere.
Non bisogna, dunque, plaudire agli aumenti di quasi 170 euro, perché, pur sembrando molto, in realtà è, al contrario, molto poco.
Per assicurare ai dipendenti statali un buon tenore retributivo, gli aumenti avrebbero dovuto essere molto più alti.
Il secondo motivo, che per i sindacati è un punto di forza di quanto fatto dal governo per sostenere gli stipendi, ma che in realtà è una delusione è il nuovo taglio del cuneo fiscale sulle retribuzioni mensili che da gennaio 2025 sarà applicato come detrazione.
Secondo la Cisl, il nuovo sistema garantirebbe a molti lavoratori della P.A. che hanno redditi entro i 40mila euro annui di ricevere ulteriori aumenti.
Si tratta, però, di aumenti che non vengono riconosciuti solo ai dipendenti pubblici, ma anche a quelli privati, per cui non rientrano propriamente nella trattativa del singolo rinnovo contrattuale e, per di più, si usufruisce dei soldi della contrattazione pubblica per le misure per tutti.
Secondo i sindacati il rinnovo al 6% per gli statali è stato un buon risultato, considerando anche la mancanza di soldi. Ma anche questo risulta falso.
Le risorse economiche necessarie per garantire agli statali gli aumenti di stipendio adeguati non ci sono, hanno detto, ma è stata confermata la riduzione dell’Irpef a tre aliquote. Costo: più di cinque miliardi di euro.
E si tratta di soldi che, invece, si sarebbero potuti investire per rinnovare ‘realmente’, i contratti della Pubblica Amministrazione.
Ma si è preferito fare altre scelte.