La Banca di Asti si trova al centro di scelte strategiche tra grandi acquisizioni e tutela delle radici territoriali. Fondazione, governance locale, impatti occupazionali e futuro finanziario.
Negli ultimi mesi la Cassa di Risparmio di Asti è al centro di un confronto che coinvolge società, istituzioni e l'intera comunità piemontese. Il cuore del dibattito è la scelta tra integrare la banca in un grande gruppo nazionale o scegliere una via capace di preservare l'autonomia e la funzione di presidio territoriale. In questo scenario, la Fondazione Cassa di Risparmio di Asti assume un ruolo di primaria importanza: con il 31,8% delle quote, rappresenta il principale azionista dell'istituto e il garante di una missione che punta a sostenere iniziative sociali ed economiche locali.
La questione della riduzione della partecipazione azionaria, imposta dal protocollo Acri-Mef per una maggiore diversificazione degli investimenti delle fondazioni bancarie, rappresenta l'elemento scatenante della discussione. Diversi scenari sono in valutazione, tra cui l'ipotesi di aggregazione con gruppi come UniCredit, Banco Bpm e Credem. Tuttavia, Carlo Demartini, amministratore delegato della banca, sottolinea l'importanza di trovare una soluzione che salvaguardi il valore generato a livello locale e richiama l'attenzione sulle ricadute che una vendita potrebbe avere su occupazione, credito ed economia della provincia. La posta in gioco è decisamente alta: si tratta di mantenere una banca di prossimità capace di generare valore nel proprio territorio.
L'amministratore delegato Carlo Demartini ha costruito e rappresenta una visione orientata alla tutela del legame tra la banca e il tessuto economico piemontese. Proponendo un modello che valorizza la specializzazione territoriale, Demartini ritiene che la crescita dell'istituto debba essere funzionale alle esigenze di famiglie, imprese e associazioni della zona.
L'esperienza maturata in trent'anni di carriera interna, dalla cassa al vertice aziendale, è elemento distintivo della sua posizione. Uno dei punti centrali della strategia consiste nel consolidare la solidità patrimoniale della banca: la Cassa di Risparmio di Asti vanta un total capital ratio al 17,3%, ben al di sopra dei requisiti minimi regolamentari. La crescita continua degli utili e l'aumento del 30% dei dividendi nel 2024 dimostrano una gestione prudente ma redditizia, cui si affianca un ritorno medio sul capitale (roe) tra i più interessanti del settore locale.
Demartini punta ad accrescere ulteriormente la redditività attraverso nuove collaborazioni, tra cui l'inserimento di partner assicurativi specializzati nel ramo Vita e l'espansione degli sportelli in regioni limitrofe, come la Liguria.
L'insieme di queste strategie è pensato per rafforzare la banca dall'interno, confermandone la solidità e la capacità di produrre valore anche in un contesto competitivo. Per Demartini, mantenere l'autonomia della banca e scegliere partnership selettive con soggetti vicini al territorio resta la vera strada per continuare a sostenere l'occupazione e la coesione sociale nella provincia.
La necessità per la Fondazione di ridurre la concentrazione delle proprie partecipazioni nasce dal protocollo Acri-Mef, accordo siglato tra le fondazioni bancarie e il Ministero dell'Economia per mitigare i rischi di esposizione eccessiva su singole realtà creditizie.
Il protocollo non impone una vendita immediata, ma stabilisce che le fondazioni debbano gradualmente diversificare il proprio patrimonio, limitando la quota nei grandi istituti bancari per evitare dipendenze nocive, sia in termini finanziari sia di governance. Nel caso della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, ciò significa passare dall'attuale 31,8% a una quota inferiore nel prossimo triennio. Come sottolineato dallo stesso presidente Negro, la tempistica agevola una pianificazione equilibrata del processo, con attenzione alle ricadute per la città e la provincia.
Le scelte della Fondazione sono oggetto di confronto tra le istanze di sostenibilità economica locale e la prospettiva di maggiori dividendi, attesi da una eventuale partnership con un gruppo bancario nazionale. Tuttavia, il protocollo Acri-Mef lascia margini d'azione: le fondazioni possono optare per il progressivo ingresso di nuovi soci - preferibilmente in linea con le esigenze del territorio - invece di ricorrere necessariamente a fusioni o cessioni integrali. Questa possibilità è stata evidenziata anche da Demartini, che auspica una soluzione di continuità con il passato nella missione di banca di prossimità.
Il panorama delle potenziali aggregazioni comprende operatori come Banco Bpm, già azionista di minoranza, Credem e UniCredit, ciascuno interessato alla crescita nel Nord-Ovest. Tali gruppi porterebbero in dote capitali, piattaforme tecnologiche ed economie di scala, spesso considerate punti di forza nel sistema finanziario attuale.
Tuttavia, analizzando i dati e i pareri degli stakeholder coinvolti, emerge una valutazione complessa. L'inserimento in un gruppo di dimensioni maggiori potrebbe comportare la razionalizzazione delle filiali, una maggiore distanza tra centro decisionale e territorio, e la perdita progressiva di strumenti a supporto delle economie locali. Il confronto pubblico vede opinioni diversificate: da un lato, chi sostiene che i grandi gruppi sono in grado di garantire cedole più consistenti e rafforzare la funzione sociale della Fondazione; dall'altro, è diffusa la preoccupazione di vedere svanire l'identità territoriale della banca, riducendo la capacità di assicurare credito a famiglie e imprese locali. La tenuta occupazionale, la presenza bancaria nei centri minori e la rapidità delle decisioni creditizie rischiano di essere le prime vittime di una cessione verso realtà meno radicate.
L'ipotesi avanzata dal vertice della Cassa di Risparmio di Asti poggia su un modello di crescita che coinvolge partner prossimi al tessuto economico piemontese. Demartini suggerisce la strada dell'ingresso di soci locali come soluzione di equilibrio: «Sarebbe possibile un'altra via: alleggerire la partecipazione della Fondazione facendo entrare un socio locale». Questa prospettiva spedisce un chiaro messaggio: la terza via non è rappresentata dal solo rifiuto delle offerte dei grandi gruppi, ma dall'apertura a investitori interessati a mantenere la governance e la missione della banca saldamente ancorate al territorio. Tale assetto garantirebbe:
Il tema del lavoro rappresenta il punto più sensibile nel dibattito sulla futura proprietà della banca. CariAsti è attualmente il primo datore di lavoro privato della provincia con circa 2.000 dipendenti; una cifra che traduce la sua funzione in responsabilità sociale e motore economico.
Le organizzazioni sindacali hanno evidenziato come la scelta tra una grande banca e una soluzione locale non sia solo una questione finanziaria, ma riguardi la capacità di assicurare posti di lavoro stabili, mantenere una capillare rete di filiali e continuare ad offrire servizi personalizzati. I timori principali sono:
I prossimi mesi saranno determinanti per definire l'assetto proprietario e la missione dell'istituto piemontese. Diverse scadenze si intrecciano sullo sfondo: il rinnovo della governance previsto in primavera, la necessità di continuare a migliorare i risultati industriali e la pressione della Fondazione per rafforzare la sostenibilità del proprio patrimonio e dei dividendi distribuiti. Una tavola dati aiuta a comprendere meglio la situazione attuale:
|
Azionista principale |
Fondazione Cassa di Risparmio di Asti (31,8%) |
|
Dipendenti |
Circa 2.000 |
|
Total Capital Ratio (2024) |
17,3% |
|
Roe medio (2011-2024) |
6,5% |
|
Rete filiali |
210 |