La recente pronuncia della Cassazione solleva interrogativi sulla privacy dei lavoratori: è legittimo leggere le chat interne? Analisi delle norme, motivazioni dei giudici e possibili conseguenze per chi utilizza questi strumenti in azienda.
La tutela della privacy nei luoghi di lavoro, soprattutto in relazione alle comunicazioni digitali interne tra lavoratori, rappresenta da sempre un tema di grande rilevanza nel diritto del lavoro. L’evoluzione tecnologica ha portato le aziende ad adottare strumenti informatici sempre più sofisticati, tra cui le chat interne utilizzate da dipendenti per scopi lavorativi e, talvolta, anche personali. Negli ultimi anni si è sviluppato un intenso dibattito giuridico circa la possibilità per il datore di lavoro di accedere e leggere tali conversazioni, soprattutto alla luce degli obblighi di tutela della riservatezza previsti dallo Statuto dei lavoratori e dalla normativa europea in materia di protezione dei dati personali. Recenti pronunce della Corte di Cassazione hanno contribuito a fare chiarezza sul tema, ridefinendo i confini tra il legittimo esercizio dei poteri di controllo dell’azienda e i diritti inviolabili dei lavoratori. Questi aspetti toccano questioni di importanza centrale, come il rispetto della dignità delle persone, la necessità di assicurare un ambiente di lavoro sereno e la prevenzione di condotte illecite.
L’orientamento più recente della Corte di Cassazione ha offerto una lettura aggiornata delle regole sui controlli a distanza nei confronti dei lavoratori, coinvolgendo anche strumenti quali le chat aziendali. La Suprema Corte richiama esplicitamente le disposizioni dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970), il quale vieta controlli diretti sull’attività dei dipendenti tramite strumenti dai quali possa derivare anche la possibilità di monitorare a distanza. Tuttavia, la Cassazione ribadisce che, quando l’accesso alle conversazioni digitali avviene per la tutela di un interesse legittimo dell’azienda — come la protezione del patrimonio aziendale o la prevenzione di comportamenti illeciti — è possibile un uso mirato e proporzionato di tali controlli. Risulta imprescindibile il rispetto dei principi di trasparenza e necessità previsti dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR): i dipendenti devono essere informati preliminarmente sulle modalità di utilizzo degli strumenti informatici e sulle eventuali possibilità di controllo.
Nel dettaglio, secondo la più recente giurisprudenza, la legittimità dell’accesso alle chat aziendali è subordinata a specifiche condizioni:
L’accesso alle chat interne può esporre i dipendenti a una serie di rischi rilevanti, che vanno valutati con attenzione dal punto di vista sia giuridico sia personale. In primo luogo, quando il controllo si rivela conforme ai criteri di legittimità illustrati dalla giurisprudenza, il contenuto delle conversazioni può costituire elemento di prova in procedimenti disciplinari o giudiziari. Ne consegue che eventuali condotte illecite o contrarie ai doveri di fedeltà e correttezza possono essere accertate anche attraverso l’analisi delle chat, con la possibilità per l’azienda di procedere a contestazioni formali o di richiedere sanzioni, tra cui il licenziamento per giusta causa.
Nel caso in cui il datore di lavoro ecceda i limiti imposti dalla normativa, possono emergere profili di responsabilità, sia in sede civile sia penale, oltre al significativo rischio reputazionale. Tuttavia, per il lavoratore, le conseguenze variano a seconda della natura delle comunicazioni intercettate e della gravità degli addebiti. Si possono elencare, a titolo esemplificativo, le seguenti conseguenze: