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Coinvolgimento sul lavoro e attaccamento all'azienda degli italiani: dati, statistiche e trend emergenti

di Marcello Tansini pubblicato il
Dati, statistiche e trend emergenti

Lo stato del coinvolgimento lavorativo degli italiani, tra dati attuali, differenze generazionali, perdita di centralità del lavoro, leve motivazionali, conseguenze su produttività e strategie.

Il rapporto del Censis, realizzato su commissione di Philip Morris Italia, offre una fotografia aggiornata e precisa sullo stato d’animo dei lavoratori italiani, evidenziando differenze marcate tra generazioni ed evoluzioni strutturali nei valori attribuiti all’impiego.

Quasi l’80% degli occupati si considera motivato, ma scendendo nei dettagli emergono forti divergenze: tra under 45, solo uno su quattro si sente coinvolto. Il senso di appartenenza e di attaccamento all’azienda sembra quindi attraversare una fase di ripensamento, dettata da fattori sociali, economici e culturali che riflettono anche un profondo mutamento delle aspettative personali e collettive.

I livelli di motivazione e coinvolgimento: dati attuali e differenze generazionali

I numeri dell’indagine offrono una panoramica sulle dinamiche interne alle aziende italiane in termini di motivazione lavorativa. Il tasso di lavoratori che si percepisce motivato si attesta al 79,3%, sebbene il grado di coinvolgimento effettivo sia molto più vario. È tra gli over 55 che si registra la percentuale più elevata di persone che si dichiarano "molto motivate" (37,5%), a conferma di una generazione formatasi intorno all’idea del posto di lavoro come identità sociale. Al contrario, tra i giovani adulti di età compresa tra 18 e 44 anni, solo il 24,3% mostra reale interesse verso la propria professione, evidenziando un distacco crescente.

Il disallineamento tra competenze personali e richieste del ruolo rappresenta un’altra variabile cruciale: solo il 27,2% dei lavoratori intervistati ritiene di possedere skill completamente in linea con quanto richiesto, mentre la percezione di forte scostamento tocca il 16,8% tra i più giovani (contro il 6,3% degli over 55). Questo divario impatta negativamente sul senso di engagement e sulla fiducia nel percorso di crescita interna. Nelle recenti dinamiche aziendali, emerge anche la tendenza a valutare più attentamente gli aspetti qualitativi dell’esperienza lavorativa soprattutto da parte delle nuove generazioni.

La perdita di centralità del lavoro: cause, numeri e impatti sulle scelte degli italiani

Quasi la metà degli italiani (47,8%) ritiene che il lavoro abbia perso centralità o non sia mai stato una priorità all’interno del proprio progetto di vita. Questo cambiamento di prospettiva si riflette in particolare nella fascia dei 18-44enni, dove il dato sale al 54,1%, mentre tra i senior oltre il 66% continua a vedere l’occupazione come valore identitario. Tale propensione si interseca con una crescente esigenza di riequilibrio tra gli impegni professionali e la sfera privata, rafforzata dal diffondersi di modelli familiari plurali e dall’evoluzione delle forme di partecipazione sociale. Alla base della perdita di centralità vanno individuate diverse cause di natura strutturale e culturale:

  • Incremento dell’instabilità lavorativa e contratti a tempo determinato;
  • Peso del disallineamento tra aspirazioni personali e realtà delle organizzazioni;
  • Aumento dell’importanza attribuita al benessere e alla qualità della vita;
  • Sviluppo delle tecnologie digitali e possibilità di remote working;
  • Valori sociali meno orientati al sacrificio e più all’autorealizzazione.
Il fenomeno si traduce concretamente nel vissuto quotidiano: il 53,9% dei giovani si percepisce regolarmente o sporadicamente distante dalle mansioni affidate, a fronte del 34,4% degli over 55. La minore centralità del lavoro influenza anche le scelte in termini di formazione continua e percorso di carriera; chi non trova motivazione piena tende ad escludere l’azienda dal centro delle proprie priorità e cerca alternative più coerenti con il proprio stile di vita.

Le leve dell’engagement secondo i lavoratori italiani: retribuzione, benessere, benefit e flessibilità

L’analisi condotta dal Censis rivela in maniera chiara le aspettative degli italiani rispetto a ciò che motiva davvero nel contesto occupazionale. Tra le leve indicate con maggiore frequenza:

  • Una retribuzione più competitiva viene individuata dal 54,0% come la premessa essenziale per generare coinvolgimento;
  • Il 40% auspica miglioramenti significativi nelle condizioni di benessere organizzativo e nella vivibilità degli spazi di lavoro;
  • Il 32% valuta come importante il sistema dei benefit aziendali aggiuntivi (welfare, assicurazioni salute, spese per la famiglia, ecc.);
  • Più di un lavoratore su quattro (26,9%) punta su una maggiore flessibilità oraria e sulle opportunità offerte dallo smartworking.
La riflessione va quindi oltre la dimensione economica, toccando le tematiche dell’equilibrio tra vita e lavoro, la valorizzazione delle persone e la crescita professionale. Il desiderio di flessibilità, in particolare, rappresenta una risposta concreta alla domanda, in crescita, di adattare le proprie energie e capacità non solo agli obiettivi aziendali ma anche ai bisogni personali e familiari. Nella tabella seguente vengono riassunte le principali richieste dei lavoratori per favorire l’engagement:

Leva dell’engagement

% lavoratori

Retribuzione competitiva

54,0%

Benessere e condizioni di lavoro

40,0%

Benefit aziendali

32,0%

Flessibilità e smartworking

26,9%

Queste richieste dimostrano come la motivazione lavoratori Censis sia fortemente legata a elementi misurabili e percepiti come direttamente migliorabili dalle politiche interne all’impresa. Le aziende chiamate ad aumentare il proprio appeal sono spinte ad andare oltre i classici incentivi economici, abbracciando una visione più ampia della gestione del capitale umano.

Disengagement, turnover e produttività: le conseguenze aziendali e personali

Il disimpegno lavorativo rappresenta una criticità per il tessuto produttivo nazionale e ha risvolti diretti sulle persone e sulle aziende. Quasi un lavoratore dipendente su due (44,3%) ha valutato o valuta l’ipotesi di cambiare impiego, tra i giovani la quota sale al 64,6%. L’insoddisfazione trova tra le cause principali la ricerca di un aumento di reddito (39,5%), la necessità di ridurre stress o carichi di lavoro eccessivi (28,7%) e il desiderio di maggiore soddisfazione professionale (21,5%). Il "disengagement" si riflette in maniera palese sulla produttività aziendale: secondo il 33,3% degli intervistati, la scarsa motivazione impatta negativamente sui risultati ottenuti, causando un calo della performance.

Questo fenomeno è particolarmente sentito tra i lavoratori di maggiore esperienza (45,2% degli over 55), ma anche le nuove generazioni (25,4% under 45) riconoscono i rischi connessi all’assenza di coinvolgimento. Ne consegue che il tasso di turnover aumenta significativamente: più persone sono attratte dalla possibilità di cambiare impiego, meno consolidato risulta il legame tra risorse e azienda, più alto è il rischio di dispersione delle competenze chiave. Le conseguenze personali non sono meno rilevanti: il distacco emotivo dal lavoro può comportare crescente insoddisfazione, difficoltà a raggiungere obiettivi di carriera e perdita di identità professionale. In definitiva, la scarsa "motivazione lavoratori Censis" rappresenta sia il sintomo che la causa di una produttività meno dinamica e difficilmente sostenibile nel medio periodo.

Strategie e proposte per favorire il coinvolgimento in azienda: modelli, esperienze e best practice

Alla luce delle evidenze raccolte, sono emersi numerosi approcci orientati ad aumentare il coinvolgimento e il senso di appartenenza dei collaboratori. Aziende innovative stanno predisponendo politiche integrate che contemplano formazione continua, parità retributiva, valorizzazione dei talenti, equilibrio tra responsabilità lavorative e personali e adozione dello smartworking su larga scala. Alcuni esempi di best practice includono:

  • Attivazione di percorsi di crescita personalizzati e sistemi di riconoscimento dei risultati;
  • Promozione di ambienti di lavoro orientati all’inclusione e al benessere psicofisico;
  • Investimento in strumenti di welfare aziendale flessibili e aderenti alle esigenze di diverse generazioni;
  • Sviluppo di politiche di ascolto attivo e di partecipazione alla definizione delle strategie aziendali;
  • Supporto concreto alla genitorialità, politiche di work-life balance e tutele per situazioni familiari;
  • Innovazione continua nella gestione degli orari e dei modelli lavorativi, con attenzione alle richieste di autonomia e responsabilizzazione.
La collaborazione tra le organizzazioni e le rappresentanze del lavoro, tanto a livello nazionale quanto aziendale, offre terreno fertile per la costruzione di ambienti sostenibili, in cui la motivazione dei lavoratori - come rilevato dal Censis - non venga meno, ma rappresenti il driver strategico del successo aziendale. L’adozione di questi modelli, supportata da una leadership riconosciuta e orientata al dialogo, costituisce una delle principali risposte alle trasformazioni del mondo produttivo italiano e alle nuove sfide poste dall’evoluzione delle aspettative generazionali.