Lo stato del coinvolgimento lavorativo degli italiani, tra dati attuali, differenze generazionali, perdita di centralità del lavoro, leve motivazionali, conseguenze su produttività e strategie.
Il rapporto del Censis, realizzato su commissione di Philip Morris Italia, offre una fotografia aggiornata e precisa sullo stato d’animo dei lavoratori italiani, evidenziando differenze marcate tra generazioni ed evoluzioni strutturali nei valori attribuiti all’impiego.
Quasi l’80% degli occupati si considera motivato, ma scendendo nei dettagli emergono forti divergenze: tra under 45, solo uno su quattro si sente coinvolto. Il senso di appartenenza e di attaccamento all’azienda sembra quindi attraversare una fase di ripensamento, dettata da fattori sociali, economici e culturali che riflettono anche un profondo mutamento delle aspettative personali e collettive.
I numeri dell’indagine offrono una panoramica sulle dinamiche interne alle aziende italiane in termini di motivazione lavorativa. Il tasso di lavoratori che si percepisce motivato si attesta al 79,3%, sebbene il grado di coinvolgimento effettivo sia molto più vario. È tra gli over 55 che si registra la percentuale più elevata di persone che si dichiarano "molto motivate" (37,5%), a conferma di una generazione formatasi intorno all’idea del posto di lavoro come identità sociale. Al contrario, tra i giovani adulti di età compresa tra 18 e 44 anni, solo il 24,3% mostra reale interesse verso la propria professione, evidenziando un distacco crescente.
Il disallineamento tra competenze personali e richieste del ruolo rappresenta un’altra variabile cruciale: solo il 27,2% dei lavoratori intervistati ritiene di possedere skill completamente in linea con quanto richiesto, mentre la percezione di forte scostamento tocca il 16,8% tra i più giovani (contro il 6,3% degli over 55). Questo divario impatta negativamente sul senso di engagement e sulla fiducia nel percorso di crescita interna. Nelle recenti dinamiche aziendali, emerge anche la tendenza a valutare più attentamente gli aspetti qualitativi dell’esperienza lavorativa soprattutto da parte delle nuove generazioni.
Quasi la metà degli italiani (47,8%) ritiene che il lavoro abbia perso centralità o non sia mai stato una priorità all’interno del proprio progetto di vita. Questo cambiamento di prospettiva si riflette in particolare nella fascia dei 18-44enni, dove il dato sale al 54,1%, mentre tra i senior oltre il 66% continua a vedere l’occupazione come valore identitario. Tale propensione si interseca con una crescente esigenza di riequilibrio tra gli impegni professionali e la sfera privata, rafforzata dal diffondersi di modelli familiari plurali e dall’evoluzione delle forme di partecipazione sociale. Alla base della perdita di centralità vanno individuate diverse cause di natura strutturale e culturale:
L’analisi condotta dal Censis rivela in maniera chiara le aspettative degli italiani rispetto a ciò che motiva davvero nel contesto occupazionale. Tra le leve indicate con maggiore frequenza:
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Leva dell’engagement |
% lavoratori |
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Retribuzione competitiva |
54,0% |
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Benessere e condizioni di lavoro |
40,0% |
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Benefit aziendali |
32,0% |
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Flessibilità e smartworking |
26,9% |
Queste richieste dimostrano come la motivazione lavoratori Censis sia fortemente legata a elementi misurabili e percepiti come direttamente migliorabili dalle politiche interne all’impresa. Le aziende chiamate ad aumentare il proprio appeal sono spinte ad andare oltre i classici incentivi economici, abbracciando una visione più ampia della gestione del capitale umano.
Il disimpegno lavorativo rappresenta una criticità per il tessuto produttivo nazionale e ha risvolti diretti sulle persone e sulle aziende. Quasi un lavoratore dipendente su due (44,3%) ha valutato o valuta l’ipotesi di cambiare impiego, tra i giovani la quota sale al 64,6%. L’insoddisfazione trova tra le cause principali la ricerca di un aumento di reddito (39,5%), la necessità di ridurre stress o carichi di lavoro eccessivi (28,7%) e il desiderio di maggiore soddisfazione professionale (21,5%). Il "disengagement" si riflette in maniera palese sulla produttività aziendale: secondo il 33,3% degli intervistati, la scarsa motivazione impatta negativamente sui risultati ottenuti, causando un calo della performance.
Questo fenomeno è particolarmente sentito tra i lavoratori di maggiore esperienza (45,2% degli over 55), ma anche le nuove generazioni (25,4% under 45) riconoscono i rischi connessi all’assenza di coinvolgimento. Ne consegue che il tasso di turnover aumenta significativamente: più persone sono attratte dalla possibilità di cambiare impiego, meno consolidato risulta il legame tra risorse e azienda, più alto è il rischio di dispersione delle competenze chiave. Le conseguenze personali non sono meno rilevanti: il distacco emotivo dal lavoro può comportare crescente insoddisfazione, difficoltà a raggiungere obiettivi di carriera e perdita di identità professionale. In definitiva, la scarsa "motivazione lavoratori Censis" rappresenta sia il sintomo che la causa di una produttività meno dinamica e difficilmente sostenibile nel medio periodo.
Alla luce delle evidenze raccolte, sono emersi numerosi approcci orientati ad aumentare il coinvolgimento e il senso di appartenenza dei collaboratori. Aziende innovative stanno predisponendo politiche integrate che contemplano formazione continua, parità retributiva, valorizzazione dei talenti, equilibrio tra responsabilità lavorative e personali e adozione dello smartworking su larga scala. Alcuni esempi di best practice includono: