Il tasso di disoccupazione in Italia scende sotto il 6%, segnando un risultato positivo. Tuttavia, dati, disuguaglianze generazionali e di genere, riflessioni politiche e confronto europeo evidenziano criticità ancora irrisolte.
Il contesto occupazionale in Italia si trova nel 2025 a un punto di svolta: il tasso di disoccupazione nazionale registra una discesa attestandosi poco sotto il 6%. Questo valore rappresenta il minimo storico dal 2007 e si colloca in una posizione di favore rispetto alla media dell'Eurozona, segnalata al 6,2%, e dell'Unione Europea, stabile al 5,9% secondo le ultime rilevazioni Eurostat. Tali dati, che indicano una diminuzione sostanziale rispetto ai valori degli anni precedenti, sono stati acquisiti mediante le metodologie standard dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, rafforzandone la rilevanza e la comparabilità a livello europeo.
Parallelamente, il panorama continentale conferma andamenti analoghi, con un leggero calo della disoccupazione rispetto al 2024: segno di una ripresa congiunturale che interessa molte economie avanzate. In questo scenario, la performance italiana beneficia di una crescita trainata dal lavoro dipendente, sia a tempo indeterminato sia a termine, ma evidenzia anche delle criticità strutturali e delle aree di ombra, specialmente in relazione a inattività, differenze demografiche e disparità territoriali e di genere, come sarà approfondito nelle specifiche sezioni a seguire.
L'anno 2025 fa segnare aumenti vistosi sia del numero degli occupati sia del tasso di occupazione, raggiungendo livelli record: secondo i dati ISTAT, gli occupati salgono a quota 24 milioni e 217mila, con un incremento mensile di 13mila unità e una crescita annua di 218mila. Il tasso di occupazione si attesta al 62,8%, crescendo di 0,1 punti sul mese e di 0,4 punti su base annua.
Questa progressione interessa principalmente la componente dei lavoratori dipendenti, che evidenziano un'espansione sia nei contratti permanenti sia in quelli a termine, mentre la categoria degli autonomi mostra una lieve contrazione, fermandosi a circa 5,2 milioni.
Altro elemento di rilievo è la dinamica degli inattivi – persone tra i 15 e i 64 anni non occupate né in cerca attiva di lavoro – che aumentano leggermente (+0,2%, circa 30mila persone in più), particolarmente tra le donne, i giovani adulti tra i 25 e i 34 anni e tra gli over 50. Ne risulta che il tasso di inattività nazionale sale al 33,2%, dato che costituisce un'area di attenzione specifica in quanto riflesso di condizioni strutturali del mercato del lavoro italiano. La fotografia è la seguente:
Indicatori |
Italia (lug. 2025) |
EU (lug. 2025) |
Eurozona (lug. 2025) |
Tasso di disoccupazione |
6,0% |
5,9% |
6,2% |
Tasso di inattività |
33,2% |
- |
- |
Disoccupazione giovanile |
18,7% |
14,4% |
13,9% |
L'analisi congiunturale e tendenziale restituisce un quadro articolato: la forza lavoro si espande in alcuni segmenti mentre, contestualmente, permangono comparti sociali e demografici in cui la partecipazione al mercato del lavoro resta problematica.
I dati relativi al 2025 evidenziano nette variazioni nei diversi gruppi di popolazione. La forbice tra generazioni e quella tra uomini e donne continua a rappresentare una fonte di diseguaglianza persistente. In pratica:
Per ciò che concerne il divario di genere, la situazione italiana sconta ancora ritardi storici: la partecipazione femminile al mercato del lavoro resta una delle più basse d'Europa. Le cause sono molteplici: la carenza di servizi di conciliazione, le differenze retributive, oltre alle disparità di accesso e permanenza nel tempo sul lavoro stabile.
L'andamento favorevole degli ultimi dati ha stimolato un dibattito politico e istituzionale. Le istituzioni hanno accolto con ottimismo i risultati raggiunti. La presidenza del Consiglio ha sottolineato il carattere positivo delle riforme recenti, attribuendo alla stabilizzazione dei contratti di lavoro e allo sviluppo delle politiche attive la diminuzione dei disoccupati e l'aumento degli occupati.
Viceversa, le opposizioni hanno evidenziato aspetti meno favorevoli del quadro macroeconomico, come la stagnazione del PIL e il caro prezzi. Tali elementi, secondo alcune forze politiche, non stemperano le difficoltà quotidiane incontrate da molte famiglie, specie in relazione alla qualità e stabilità dei nuovi posti di lavoro.
Maggiore attenzione è richiesta sulle categorie a rischio, come lavoratrici e giovani in cerca del primo impiego. Le associazioni datoriali suggeriscono prudenza nell'interpretazione dei trend mensili, sottolineando la necessità di analisi a lungo termine.
Le organizzazioni sindacali continuano a richiamare l'urgenza di misure contro la precarietà e per una maggiore inclusione dei soggetti più deboli del mercato del lavoro.
Nel confronto con Eurostat, emerge un'Italia che migliora la propria posizione relativa nella UE, pur restando necessario un monitoraggio costante dei segmenti vulnerabili della forza lavoro e della qualità complessiva dell'occupazione generata.
Il miglioramento delle statistiche sull'occupazione non dissolve i nodi strutturali che attraversano il tessuto occupazionale italiano. Gli inattivi rappresentano ancora una quota consistente del potenziale produttivo inespressa, pari a oltre un terzo della popolazione in età lavorativa.
Questo segmento si compone principalmente di:
Le disparità di genere e generazione sono manifestate anche dai dati annuali: la crescita degli occupati è positiva, ma la ripartizione non è omogenea. Gli uomini, i giovani e le fasce d'età tra i 35 e i 49 anni sono quelli che hanno beneficiato maggiormente della ripresa occupazionale. Le donne e le altre fasce d'età, invece, restano spesso ai margini, complice anche la minore incidenza di contratti stabili e la maggiore esposizione a situazioni precarie.
Gruppo |
Quota inattivi |
Donne |
Oltre 50% |
Giovani (25-34 anni) |
Circa 30% |
Over 50 |
In crescita |
Si rendono necessarie politiche strutturali per stimolare l'occupabilità, migliorare i servizi di incontro domanda/offerta e favorire la piena inclusione di tutte le categorie nel mercato del lavoro.
L'Italia si distingue nel 2025 per aver raggiunto un tasso di disoccupazione al di sotto della media dell'Eurozona e poco inferiore a quella della UE. Questo posizionamento riflette lo sforzo compiuto nella riduzione della disoccupazione tradizionalmente elevata e indica un recupero della competitività nel contesto continentale.
Tuttavia il confronto evidenzia anche aree di svantaggio: la quota di inattivi e quella di giovani fuori dal mercato restano superiori alle corrispettive medie europee, mentre la disparità di genere nell'accesso al lavoro penalizza ancora il nostro Paese rispetto alle migliori prassi del Nord Europa. Ne deriva che, per consolidare i risultati ottenuti e avvicinarsi agli standard di eccellenza di Paesi come Malta, Repubblica Ceca e Polonia (con tassi di disoccupazione inferiori al 3%), è necessario puntare su riforme inclusive e incentivi all'occupazione stabile, mantenendo come obiettivo sia la quantità sia la qualità del lavoro generato.