L’Unione Europea affronta una delle prove più significative della sua storia recente: la questione del finanziamento a favore dell’Ucraina intreccia sopravvivenza del paese invaso e credibilità internazionale dell’Europa stessa. Sul tavolo dei leader UE si confrontano visioni diverse su come gestire le risorse necessarie: l’ipotesi di emissione di eurobond destinati alla sicurezza ucraina, alimentati dagli asset russi congelati, appare come uno snodo potenzialmente storico per l’approccio europeo al debito comune. Il dibattito si sviluppa tra esigenze geopolitiche, rigorosi vincoli di bilancio e le nuove sfide legate all’equilibrio tra solidarietà fra Stati membri e rispetto delle regole finanziarie, in un contesto reso ancora più delicato dall’incertezza sulle future relazioni fra Occidente e Russia.
Le opzioni sul tavolo: asset russi congelati, eurobond e prestito di riparazione
Tra le strade esplorate per sostenere Kiev, risaltano almeno tre soluzioni prioritarie:
- Utilizzo diretto degli asset russi congelati: sono circa 210 miliardi di euro bloccati in Europa, in particolare presso Euroclear (Belgio). Questa opzione è segnata da forti incertezze giuridiche internazionali e dal rischio di azioni legali da parte di Mosca, nonché da possibili ritorsioni su aziende europee presenti in Russia.
- Emissione di debito comune europeo (eurobond): questa soluzione richiederebbe l’unanimità dei Paesi membri. Allo stato attuale, i Paesi cosiddetti "frugali" - in particolare Germania, Olanda, Danimarca e Svezia - hanno respinto l’idea, temendo un precedente permanente e un impatto sulla loro credibilità fiscale.
- Prestito di riparazione garantito dagli asset congelati: è la proposta promossa dalla Commissione europea e prevede l’emissione di nuovi titoli senza cedola, garantiti proprio dagli asset russi. Si tratterebbe di prestiti a lungo termine che verrebbero ripagati solo in caso di accordo di pace con risarcimento da parte della Russia. Questo strumento consentirebbe di non pesare immediatamente sui bilanci nazionali, ma solleva dubbi sulla solidità delle garanzie legali e finanziarie.
Queste opzioni non sono nate oggi: già con il piano Next Generation EU per la pandemia l’Unione aveva superato tabù sull’emissione di debito comune, e ora il contesto bellico riporta la questione sotto una prospettiva diversa. L’uso diretto degli asset suscita, però, preoccupazioni nell’opinione pubblica, tanto per le possibili ripercussioni sul sistema finanziario quanto per le accuse di violazione del diritto internazionale. Alcuni leader, tra cui la presidente della BCE Christine Lagarde, sottolineano invece il potenziale
messaggio politico che l’Europa manderebbe, mostrando autonomia strategica e capacità di risposta alle minacce alla sicurezza.
Se il prestito di riparazione risponde all’urgenza di sostenere l’Ucraina senza gravare subito sui contribuenti, resta comunque subordinato all’accordo politico tra i Ventisette. A fianco, si discute di soluzioni intermedie—come prestiti-ponte o una parziale apertura agli eurobond—ma nessuna opzione è priva di rischi o di passi complessi sul piano giuridico e finanziario.
Divisioni politiche tra i Paesi UE e le richieste di garanzie
Il confronto tra i leader UE è segnato da profonde divisioni politiche, spesso riconducibili non solo a logiche economico-finanziarie, ma anche a differenti percezioni della minaccia russa e posizione rispetto al concetto di debito comune europeo.
- Belgio: paese più esposto, dato che Euroclear custodisce la maggior parte degli asset congelati, chiede garanzie vincolanti dagli altri Stati membri per non essere l’unico a rispondere in caso di soccombenza giudiziaria e conseguente obbligo di restituzione dei fondi a Mosca.
- Italia, Francia: timori più pragmatici che politici, legati al rischio di ritorsioni su aziende attive in Russia e alla necessità di coperture parlamentari per fornire garanzie solidali—vale a dire, assumersi un rischio futuro senza onere immediato ma con potenziali effetti politici di vasta portata.
- Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca: contrarietà sia all’uso degli asset sia al debito comune, posizioni ricorrenti nelle dinamiche di veto e di minaccia alla coesione UE.
- Stati baltici e Polonia: contrari a ogni ipotesi di rinuncia al sostegno militare a Kiev, sostengono invece soluzioni che rafforzino il fronte orientale, anche a costo di una maggiore condivisione del rischio finanziario.
A queste divergenze si aggiungono le esigenze del sistema giuridico europeo: un utilizzo disinvolto degli asset congelati porterebbe forti tensioni interne e con i mercati finanziari, immettendo uno scenario in cui il rischio è che i titoli emessi siano considerati meno sicuri causa la fragile garanzia giuridica sottostante. La richiesta di garanzie open-ended, soprattutto da parte del Belgio, riflette il timore che eventuali contenziosi o condanne legali ricadano in modo sproporzionato su singoli Stati membri, con inevitabili ripercussioni sulla fiducia nell’Unione stessa.
Rischi finanziari, legali e sistemici dell’uso degli asset russi
L’ipotesi di mobilitare i beni russi congelati solleva una vasta gamma di rischi, alcuni dei quali potenzialmente sistemici:
- Rischi finanziari: Il prestito di riparazione prevede titoli infruttiferi, cioè privi di interesse, che limitano fortemente la trattabilità degli stessi presso la BCE. In caso di imprevisti (es. obbligo di restituzione dei fondi alla Russia o forte volatilità dei mercati), piattaforme come Euroclear rischierebbero il default, per l’impossibilità di ottenere liquidità immediata utilizzando questi titoli come garanzia.
- Rischi legali: L’operazione si muove sul confine fra immobilizzazione e confisca vera e propria, col pericolo che Mosca avvii contenziosi internazionali per violazione della proprietà sovrana. Un esito sfavorevole esporrebbe la UE a richieste miliardarie di risarcimento e incrinerebbe la fiducia degli investitori che assimilano il mercato dei capitali europeo a contesti meno protetti dal diritto internazionale.
- Rischi sistemici: Euroclear gestisce volumi di titoli giganteschi; una sua crisi avrebbe impatti traumatici sulla liquidità e la stabilità finanziaria europea, superiore perfino al fallimento di Lehman Brothers. I grandi rating internazionali già osservano con attenzione la solidità della piattaforma.
- Rischi geopolitici: Si teme che la Russia risponda con misure di ritorsione verso le aziende europee operanti nel proprio territorio, bloccando utili o prendendo di mira settori strategici come energia e agroalimentare.
Alla luce di tali rischi, molti giuristi ed esperti ricordano la necessità di una
architettura giuridica inattaccabile e di comunicare in modo chiaro l’eccezionalità del provvedimento, per ridurre i danni in caso di escalation giudiziaria o diplomatica.
Ruolo della Germania, del Belgio e delle grandi economie: interessi e cautele
Le posizioni delle grandi economie condizionano in modo decisivo la trattativa UE sullo schema di finanziamento all’Ucraina:
- Germania: Sostiene formalmente l’utilizzo degli asset congelati, ma pone limiti stringenti: i titoli dovrebbero essere infruttiferi e non negoziabili, così da non assimilare la misura agli eurobond, considerati un tabù politico interno. Il cancelliere Merz sottolinea che la credibilità europea dipenda dalla capacità di dimostrare coesione tra i partner.
- Belgio: Chiede garanzie vincolanti contro il rischio di un’esposizione eccessiva, visto il peso preponderante degli asset detenuti da Euroclear. Il premier De Wever è stato chiaro nel voler condividere il rischio con tutto il blocco europeo, non solo per ragioni economiche ma anche per questioni di equità e solidarietà.
- Francia e Italia: Pur non contrarie sul piano dei principi, premono perché sia evitata ogni soluzione che possa comportare rischi politici o economici sproporzionati. Le imprese nazionali ancora presenti in Russia rafforzano la richiesta di garanzie e dilazioni nelle decisioni.
Gli Stati cosiddetti frugali restano cauti. L’Olanda, insieme ai Paesi nordici e alla Danimarca, vede l’emissione di eurobond come una minaccia all’ortodossia di bilancio. Di contro, i Paesi baltici e la Polonia fanno pressione per un fronte coeso e solidale a tutela della sicurezza comune, considerata indivisibile rispetto alla sorte dell’Ucraina.
Che cosa cambierebbe per il debito comune europeo: precedenti, criticità e prospettive future
L’introduzione di una nuova forma di debito comune per sostenere la sicurezza collettiva europea rappresenterebbe un punto di svolta, ma anche un momento di esposizione inedita ai rischi propri di una governance a 27.
| Precedenti |
Caratteristiche |
| Next Generation EU |
Emissione di debito comune per la ripresa post-pandemia, con ampio consenso ma carattere emergenziale e limitato nel tempo |
| Sure |
Prestiti comuni per finanziare misure di protezione sociale, con garanzia del bilancio UE; partecipazione su base volontaria |
| ReArm Europe |
Emissione di obbligazioni comunitarie per il riarmo europeo (strumento previsto ma ancora in fase iniziale di implementazione) |
L’eventuale ricorso a nuovi titoli garantiti dagli asset russi avrebbe effetti dirompenti sul precedente della temporaneità: molti Stati membri temono un effetto-alone, in cui il ricorso al debito comune emergenziale rischia di diventare la norma, e non più l’eccezione.
Tra le criticità principali spiccano:
- la difficoltà di garantire la stessa sicurezza giuridica e creditizia dei bond Next Generation EU
- l’impossibilità, per ora, di dare una scadenza certa alle nuove emissioni
- la necessità di un voto unanime per accedere a soluzioni di debito condiviso più strutturali, tallone d’Achille delle istituzioni europee
In prospettiva, l’eventuale svolta verso il finanziamento condiviso della difesa comporterebbe una
ridefinizione delle regole fiscali, della politica di garanzia tra Stati membri e della natura stessa dell’unione monetaria. L’integrazione finanziaria si scontra con la permanenza di una frammentazione normativa e con la resistenza di alcune capitali a cedere ulteriore sovranità in ambito fiscale e di politica estera.