Dai vestiti che indossiamo ogni giorno possono liberarsi microfibre sintetiche come poliestere e nylon, portando rischi per la salute tra allergie, tossicità; chimica e impatti ambientali.
Materiali come poliestere, nylon, acrilico, elastan e lycra sono ormai diffusissimi. Tuttavia, questa scelta ha evidenziato importanti criticità dal punto di vista ambientale e sanitario. Ad ogni ciclo di lavaggio, miliardi di particelle di microfibre sintetiche vengono rilasciate nell'ambiente, penetrando nei sistemi idrici e raggiungendo mari e oceani. Secondo l'Agenzia europea per l'ambiente, ogni anno tra le 200.000 e le 500.000 tonnellate di microplastiche da tessuti finiscono nell'ambiente marino.
Oltre a contribuire all'inquinamento globale, queste particelle possono essere inalate o ingerite dagli esseri umani, ponendo rischi ancora in gran parte inesplorati per la salute. L'uso sistematico di vestiti di plastica impone una riflessione sulle conseguenze a lungo termine di questa tendenza, non solo per il pianeta, ma anche per il nostro benessere quotidiano, in linea con l'esigenza crescente di un approccio sostenibile e consapevole nella moda.
Le microfibre sintetiche sonno minuscole fibre derivate dalla lavorazione di polimeri plastici come PET (polietilene tereftalato), nylon, acrilico ed elastan, materiali noti per le prestazioni ma anche per i rischi ambientali. Queste fibre, spesso invisibili a occhio nudo, misurano meno di 5 millimetri e vengono prodotte attraverso sofisticati processi industriali di sintesi chimica usando composti estratti da petrolio e gas naturale. Resistenti, leggere e flessibili, vengono preferite per molteplici motivi: costi bassi, durabilità e facilità di manutenzione:
Il percorso delle microplastiche dal processo industriale ai guardaroba è complesso e impattante. La produzione di fibre sintetiche implica l'uso di sostanze chimiche e processi ad alto consumo energetico, che generano emissioni e rifiuti. Una volta trasformate in tessuto, queste fibre entrano nella grande catena globale della moda, dove il fast fashion e l'ultra fast fashion accelerano la circolazione e l'obsolescenza del prodotto.
Durante l'utilizzo e i cicli di lavaggio domestico, ogni singolo indumento rilascia migliaia di microfibre, soprattutto nei primi lavaggi. I frammenti raggiungono i sistemi fognari, e solo una parte viene trattenuta dai filtri degli impianti di depurazione. Il resto si accumula nei fanghi di depurazione o si riversa in fiumi, laghi e mari. Secondo i dati UNEP, il 16% delle microplastiche marine globali deriva proprio dal lavaggio di vestiti sintetici.
Queste particelle sono state riscontrate non solo negli organismi acquatici ma anche in alimenti e bevande di uso quotidiano come frutti di mare, acqua e sale. La tabella seguente evidenzia alcuni dati chiave:
Fibre sintetiche prodotte ogni anno |
~60 milioni di tonnellate |
Percentuale di poliestere nella produzione globale di fibre |
57% |
Microfibre tessili rilasciate in Europa (annue) |
13.000 tonnellate |
Durata media dei capi fast fashion |
2-5 anni |
Alla diffusione delle microplastiche contribuisce anche la scarsa gestione a fine vita degli abiti e il deterioramento durante l'uso intensivo, tipico delle produzioni low cost. I rifiuti tessili finiscono spesso in discarica o vengono esportati in Paesi privi di sistemi adeguati, perpetuando la dispersione di microfibre nell'ambiente.
L'impatto sulla salute legato all'esposizione frequente a microfibre sintetiche in abbigliamento è ancora sottostimato. Numerosi studi evidenziano come le particelle possano penetrare nella pelle o essere inalate e ingerite durante l'uso quotidiano, specialmente attraverso capi a diretto contatto con l'epidermide o utilizzati in ambienti polverosi. Una volta nel corpo, le microfibre possono comportarsi come vettori di composti tossici e innescare reazioni immunitarie, con rischi che vanno dalle reazioni cutanee alle potenziali conseguenze sistemiche:
L'uso di vestiti di plastica può provocare una serie di disturbi dermatologici, dovuti sia alle microfibre che agli agenti chimici di finissaggio. Le reazioni più comuni includono dermatiti da contatto e dermatiti allergiche, soprattutto in presenza di coloranti e additivi potenzialmente irritanti, come il nichel:
L'accumulo di microfibre dai tessuti sintetici solleva timori per la tossicità sistemica, non sempre immediatamente percepibile. L'inalazione di microplastiche, favorita dallo sfregamento degli indumenti vicino alle vie respiratorie, può causare irritazioni alle mucose e problemi respiratori, in particolare in ambienti chiusi e per lavoratori del settore tessile:
L'industria tessile fa largo uso di sostanze chimiche durante la produzione, la tintura e i finissaggi dei capi sintetici. Metalli pesanti, solventi, coloranti e composti come i Pfas sono spesso utilizzati per conferire particolari proprietà al tessuto (idrorepellenza, resistenza, elasticità) o per migliorarne l'aspetto. Sebbene la normativa europea - come il regolamento REACH - stabilisca limiti su molte di queste sostanze, i controlli non sono sempre efficaci, soprattutto per capi importati o prodotti all'estero.
L'etichetta riporta la composizione tessile, ma la presenza e la quantità di additivi chimici spesso resta ignota ai consumatori. In alcuni casi, soggetti allergici possono trovare indicazioni “nickel free”, ma la trasparenza resta limitata:
Tra le sostanze più preoccupanti figurano i Pfas, metalli pesanti e determinati coloranti utilizzati nella filiera tessile. I Pfas sono una famiglia di composti altamente persistenti, detti “chimici per sempre” perché rimangono nell'ambiente per millenni e possono accumularsi nel sangue umano. Numerose ricerche documentano effetti su immunità, sviluppo, metabolismo e salute cardiovascolare: