La vendita di IP a investitori stranieri, dopo quella di Esso, scuote il settore carburanti italiano: motivazioni, attori coinvolti, rischi per cittadini e dipendenti, impatti su economia, lavoro e ambiente
La cessione di IP (Italiana Petroli) a investitori stranieri segna un nuovo capitolo critico per il settore energetico italiano, arrivando dopo la già complessa vendita delle attività Esso nel nostro Paese. Questa operazione, che coinvolge uno dei principali operatori nella distribuzione e raffinazione di carburanti, solleva interrogativi profondi sulla tenuta del sistema nazionale dei combustibili e sulla sua capacità di garantire continuità operativa e sostenibilità economica. La transizione verso una proprietà estera porta con sé non solo questioni strategiche legate all'approvvigionamento energetico, ma anche concrete preoccupazioni per le migliaia di lavoratori del settore e per i cittadini che quotidianamente dipendono da questi servizi
Italiana Petroli (IP), fondata nel 1933 dalla famiglia Brachetti Peretti, ha giocato una posizione prioritaria nello sviluppo del comparto petrolifero nazionale. Nel tempo la società ha saputo consolidare la propria presenza, fino a diventare uno dei maggiori operatori privati nel mercato italiano dei carburanti. Il portafoglio asset comprende due raffinerie, Falconara Marittima e Trecate, capaci di trattare fino a 10 milioni di tonnellate di greggio l’anno, un’infrastruttura di stoccaggio che supera i 5 milioni di metri cubi e una vasta rete di circa 4.500 stazioni di servizio distribuite capillarmente.
Negli ultimi anni, IP ha intrapreso una strategia di modernizzazione che ha incluso l’acquisizione di distributori Esso e la nascita di joint venture rilevanti, come quella con Macquarie per l’elettrificazione delle aree di servizio. Questo contesto ha permesso alla società di affrontare la transizione verso forme di mobilità più sostenibili, integrando la distribuzione tradizionale di carburanti con le nuove tecnologie di ricarica elettrica.
L’impatto di IP sulla sicurezza energetica italiana è stato rilevante, grazie alla gestione di oltre 1.600 dipendenti diretti e fino a 16.000 addetti dell’indotto. La centralità della società si riflette anche nella sua capacità di garantire approvvigionamenti stabili in un settore sensibile a oscillazioni geopolitiche e di mercato.
Il processo che porta alla vendita della totalità delle azioni di IP Italiana Petroli spa coinvolge diversi attori rilevanti. La compagnia di bandiera azera Socar, sostenuta da istituzioni finanziarie come Intesa Sanpaolo, ha prevalso su altre società internazionali tra cui Gunvor e Bin Zayed. Secondo fonti di mercato, il valore concordato per l’operazione oscilla tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro, comprendendo circa 500 milioni di liquidità presente in azienda.
La cessione arriva dopo una fase di notevole volatilità dei mercati energetici, caratterizzata da incertezze legate a eventi globali e da una crescente competizione internazionale. In questo scenario, la famiglia venditrice ritiene strategico l’ingresso di un partner dalle solide basi finanziarie e operative, come Socar, per rilanciare gli investimenti e rafforzare l’intera filiera industriale. Il Governo italiano esercita il golden power, strumento di controllo sulle operazioni in asset strategici, per garantire continuità nei servizi, tutela occupazionale e salvaguardia degli interessi nazionali.
L’acquisizione comporta una serie di conseguenze e potenziali rischi, a partire dall’effetto sulle condizioni di lavoro dei circa 1.600 dipendenti, cui la proprietà attuale e Socar hanno promesso tutela e continuità contrattuale. Tuttavia, in un contesto di passaggio di controllo a investitori extra-europei, l’efficacia di tali promesse sarà garantita solo da monitoraggi e interventi istituzionali continui.
Le possibili ripercussioni su prezzi e disponibilità di carburanti sono oggetto di particolare attenzione. Il mercato italiano, in transizione verso l’elettrificazione della mobilità, resta comunque fortemente dipendente dalle fonti fossili e da dinamiche di approvvigionamento globali. Eventuali politiche aziendali votate alla massimizzazione del profitto potrebbero incidere sulla concorrenza e, di conseguenza, sugli oneri a carico dell’utenza.