Il problema principale nasce dal fatto che le risposte generate artificialmente appaiono spesso impeccabili, ma non riflettono le competenze reali del candidato.
Negli ultimi anni i colloqui online erano diventati il simbolo della nuova era del lavoro, complice la pandemia che aveva accelerato l'adozione del remote working e la necessità delle imprese di ridurre tempi e costi nelle fasi di selezione. Videocall, piattaforme dedicate e test digitali avevano sostituito l'incontro faccia a faccia, dando l'impressione di una rivoluzione definitiva.
Tuttavia, l'avvento massiccio dell'intelligenza artificiale generativa ha svelato le fragilità di questo modello: i candidati hanno iniziato a servirsi di software in grado di fornire risposte in tempo reale, correggere errori linguistici e perfino suggerire argomentazioni complesse. Ciò che sembrava un progresso si è trasformato in un nuovo terreno di ambiguità, dove autenticità e trasparenza sono state messe in discussione.
Il problema principale nasce dal fatto che le risposte generate artificialmente appaiono spesso impeccabili, ma non riflettono le competenze reali del candidato. Molti recruiter si sono trovati a valutare aspiranti che mostravano un livello di preparazione altissimo solo sulla carta, salvo poi rivelarsi incapaci di affrontare situazioni pratiche. Alcune imprese hanno registrato casi di candidati che utilizzavano tool di AI conversazionale, da non confondere con l'AI agentica, durante prove di coding o assessment tecnici, ottenendo un vantaggio sleale rispetto a chi affrontava i test senza supporti. Questo ha minato la fiducia nei processi digitali e ha aperto la strada a un cambio di paradigma.
Di fronte a un simile scenario, colossi come Cisco, McKinsey e Google hanno scelto di reintrodurre i colloqui in presenza, almeno nelle fasi cruciali di selezione. Il contatto fisico riduce drasticamente il rischio di sostituzioni, frodi o supporti nascosti, permettendo di verificare le reali capacità tecniche e la spontaneità del comportamento. L'interazione vis a vis torna così a essere lo strumento più affidabile per garantire autenticità, e il mondo delle risorse umane scopre che, in un'epoca dominata dall'automazione, il volto umano resta l'elemento più difficile da replicare.
La questione non riguarda soltanto l'uso di AI a supporto delle risposte. Sempre più spesso emergono casi di deep fake video e audio utilizzati per impersonare candidati inesistenti o sostituire in tempo reale una persona con un'altra. L'FBI ha documentato episodi inquietanti: cittadini nordcoreani hanno ottenuto posizioni da remoto in aziende americane attraverso identità false, con l'obiettivo di rubare dati sensibili e trasferire fondi al proprio regime. L'inganno è stato possibile grazie alla credibilità delle tecnologie di manipolazione multimediale, capaci di ingannare perfino recruiter esperti.
Un sondaggio condotto da Gartner ha evidenziato che il 6% dei candidati ammette di aver partecipato ad attività fraudolente durante un colloquio, fingendosi qualcun altro o facendosi aiutare da un sostituto. Le previsioni sono ancora più allarmanti: entro il 2028 un candidato su quattro potrebbe presentare un profilo falso o manipolato. Questo trend mette in crisi la credibilità dei processi di selezione e costringe le aziende a rivedere radicalmente i protocolli di verifica, introducendo strumenti di controllo più sofisticati e richiedendo spesso la presenza fisica come deterrente.
L'assunzione di un candidato fraudolento non produce solo inefficienze operative, ma può tradursi in danni finanziari e compromissioni reputazionali gravissime. Le aziende che gestiscono dati sensibili o tecnologie avanzate rischiano di aprire le porte a infiltrazioni criminali capaci di minare la loro integrità. In questo contesto, il ritorno a un metodo tradizionale come il colloquio faccia a faccia appare meno come un retaggio del passato e più come una misura di sicurezza indispensabile.
Nonostante la diffidenza verso l'online, poche aziende sono disposte a rinunciare del tutto alla comodità del digitale. Si va affermando quindi un modello ibrido, in cui le prime fasi di screening rimangono virtuali, mentre le prove decisive vengono organizzate in sede. Questa formula consente di coniugare rapidità ed economicità con l'esigenza di autenticità, trasformando la tecnologia in strumento di supporto e non in sostituto del giudizio umano.
L'incontro fisico permette anche di valutare quelle dimensioni che nessuna piattaforma può replicare, come le soft skills, il linguaggio del corpo, la capacità di interazione e l'attitudine a inserirsi in un team. Aspetti che diventano cruciali in un mercato del lavoro dove le competenze tecniche possono essere apprese o aggiornate, ma le qualità relazionali rappresentano un elemento distintivo difficilmente manipolabile da un algoritmo.
Il ritorno dei colloqui in presenza può sembrare un paradosso in un mondo che corre verso la digitalizzazione, ma si tratta in realtà di una fase di adattamento. L'AI rimane un alleato prezioso per analizzare curricula, mappare competenze e gestire grandi volumi di candidature, ma non può sostituire del tutto l'autenticità del contatto umano. La vera sfida sarà integrare i due livelli: mantenere i benefici dell'automazione senza sacrificare la fiducia che nasce soltanto dall'incontro diretto.