Storie di eccellenze industriali e marchi simbolo del made in Italy che transitano sotto bandiere straniere sono ormai la norma. Questo processo riguarda in particolare le imprese medio-piccole, spesso motore della crescita nazionale, le quali si trovano spesso di fronte a scelte obbligate dettate da motivi finanziari, manageriali e regolamentari. L'impatto di queste acquisizioni è ampio: trasforma l'ecosistema produttivo, ridefinisce le dinamiche occupazionali e mette in discussione la sovranità economica del paese.
Il fenomeno delle acquisizioni straniere nelle imprese italiane
L'Italia viene descritta da molti come paradiso del private equity, in particolare nel mondo delle PMI innovative e tradizionali. Questo non è solo il riflesso di una simbiosi positiva con la finanza internazionale, ma soprattutto il prodotto della scarsità di capitale nazionale e di limiti strutturali che, nel tempo, hanno indebolito la capacità di crescita autonoma delle piccole e medie imprese:
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Secondo recenti dati oltre la metà delle acquisizioni di PMI italiane avviene da parte di operatori stranieri, soprattutto nell'ambito di settori chiave come alimentare, moda, farmaceutico, meccanica di precisione e tecnologia.
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La presenza di società di gestione del risparmio estere e di multinazionali ha portato, nel periodo 2019-2024, a operazioni per un controvalore che supera i 60 miliardi di euro l'anno, coinvolgendo centinaia di aziende leader nel proprio segmento.
I motivi sono molteplici. Tra essi,
l'insufficienza di capitali privati disponibili sul mercato domestico; la mancanza di una cultura matura di management e successione nelle imprese familiari; la scarsa attrattività della quotazione in borsa (dove i multipli riconosciuti restano bassi); la pressione normativa dovuta a continue aggiunte e revisioni fiscali, come la Tobin tax o le norme sulla doppia tassazione dei dividendi.
Tipicamente, il processo di internazionalizzazione azionaria inizia con l'ingresso di un private equity (anche nazionale), ma si conclude spesso con la vendita a operatori stranieri, che arrivano con risorse e strategie di consolidamento superiori rispetto alle dimensioni del tessuto imprenditoriale italiano.
Private equity e fondi d'investimento: opportunità e limiti per le aziende
Nel panorama italiano, l'intervento dei fondi è sempre più considerato una via inevitabile per finanziare la crescita, l'innovazione tecnologica e l'espansione internazionale delle PMI. Uno degli elementi distintivi è la capacità di questi attori di fornire:
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Capitale immediato per investimenti industriali o digitali;
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Competenze manageriali e managerializzazione delle imprese familiari;
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Accesso a reti internazionali di distribuzione e conoscenze su mercati esteri;
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Innovazione nell'uso di strumenti finanziari, come leveraged buyout e management buy-in.
Tuttavia,
la presenza del private equity comporta anche limiti:
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La temporaneità dell'investimento: i fondi, per natura, hanno un orizzonte temporale di medio periodo (spesso 5-7 anni). Al termine dell'investimento, devono vendere la propria partecipazione per realizzare un ritorno economico: spesso il nuovo acquirente è straniero.
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I fondi italiani disponibili sono piccoli rispetto ai grandi gruppi globali. Difficilmente riescono a contrastare l'offerta economica e le sinergie dei grandi gestori internazionali, con una “tonnara” normativa che spesso obbliga le imprese all'esodo verso l'estero.
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Il rischio di delocalizzazione delle fasi produttive, know-how e proprietà intellettuale, con un impatto sociale che si può riflettere su occupazione, ricerca e filiere di fornitura locali.
Così
le PMI più brillanti nel mirino dei ricchi fondi stranieri finiscono raramente per tornare sotto il controllo nazionale una volta completato il ciclo di private equity.
Le principali barriere finanziarie e normative al sostegno nazionale
Nell'analisi delle cause della perdita di sovranità aziendale, emerge che la combinazione di vincoli finanziari e normativi agisce come un'invisibile "gabbia a più stadi" intorno alle PMI. Tra le barriere più rilevanti si evidenziano:
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Fiscalità penalizzante: la presenza di regole come la Tobin tax sulle transazioni finanziarie e la doppia tassazione sui dividendi limita l'attrattività del mercato italiano rispetto a competitor europei (in particolare Germania e Paesi Bassi) e distoglie investimenti dai titoli quotati e illiquidi, tipicamente PMI.
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Normative sull'esenzione di partecipazione (Participation Exemption), che sono state recentemente riviste abbassando la soglia minima, ma che restano stringenti e con continue modifiche imprevedibili, alimentando l'incertezza strategica.
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Norme Ucits e preferenza alle large cap: il rispetto di limiti di liquidità indirizza il risparmio italiano verso poche grandi società, prevalentemente estere, e riduce la platea di potenziali investitori istituzionali per le imprese italiane non quotate o di media capitalizzazione.
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Difficoltà di accesso al credito e carenza di strumenti patient capital, cioè finanziamenti a lungo termine che non impongano rendimento immediato ma consentano la costruzione di progetti industriali e innovativi.
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Iter e tempistiche sanzionatorie lente e duplicate: il rischio di essere penalizzati più volte per lo stesso reato e la lentezza dei procedimenti impediscono la fluidità operativa e scoraggiano la quotazione su mercati regolamentati o lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali.
Tutto ciò si traduce in un restringimento dei margini di manovra per la competitività e la sopravvivenza delle eccellenze italiane, che risultano meno protette rispetto alle imprese tedesche, francesi o anche spagnole.
Gli effetti delle acquisizioni straniere su economia e società italiana
Le principali conseguenze dell'imponente transito proprietario delle Pmi verso capitali stranieri non riguardano solamente la perdita di marchi identitari, ma anche modifiche profonde dell'assetto produttivo ed occupazionale nazionale:
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Diminuzione del controllo strategico: la proprietà straniera può decidere di trasferire all'estero ricerca, sviluppo, produzione, o di ridefinire la catena del valore con impatti a cascata su fornitori, territori e filiere tradizionali.
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Depauperamento delle competenze locali: la cessione di società leader comporta spesso la perdita di know-how gestionale, brevetti, competenze manifatturiere e fidelizzazione di dipendenti chiave; i centri di decisione non sono più in Italia e le scelte chiave vengono prese altrove.
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Possibile crescita nel breve termine: l'arrivo di capitali e di nuovi manager può portare all'aumento temporaneo degli investimenti e dell'occupazione, ma nel medio-lungo termine le strategie globali prevalgono sul radicamento territoriale.
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Effetto sistemico sull'indotto: molte aziende subfornitrici rischiano di perdere contratti se la casa madre viene integrata in un gruppo multinazionale estraneo alla rete locale.
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Trasferimento degli utili e minore reinvestimento: i profitti vengono spesso reinvestiti nelle sedi estere o distribuiti agli azionisti internazionali, riducendo la ricaduta fiscale e finanziaria per il tessuto nazionale.
Solo in rari casi, le operazioni si traducono in un rafforzamento della presenza tricolore su mercati globali, come avvenuto per pochi grandi gruppi o per aziende che conservano forti headquarters e centri decisionali in Italia.
Proposte e riforme per rafforzare la competitività delle aziende italiane
Per rispondere efficacemente alla continua erosione di sovranità e valore industriale, il sistema Paese si trova di fronte alla necessità di una riforma coerente e sistemica:
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Semplificazione normativa e fiscale: stabilità delle regole, eliminazione della doppia tassazione ed estensione della participation exemption a investitori e family office domestici, riducendo i cambi di controllo dovuti a normative svantaggiose. Serve il superamento o un fortissimo ridimensionamento della Tobin tax e delle altre imposte penalizzanti per il mercato interno.
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Potenziare i fondi nazionali: il rafforzamento del Fondo di Fondi gestito da CDP, la promozione di fondi di pazienza dedicati alle PMI, e forme di finanziamento a lungo termine per favorire la crescita e il consolidamento in mani italiane.
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Valorizzazione della quotazione e supporto al ritorno in Borsa: incentivi chiari per la quotazione delle mid cap e meno burocrazia per il delisting e il downlisting, con mercati più flessibili e accessibili.
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Apertura a capitali privati domestici (family office industriali italiani), sviluppando strumenti di co-investimento incentivati e favorendo alleanze tra soggetti pubblici, privati e territoriali.
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Sviluppare una cultura manageriale e della successione: programmi formativi mirati e consulenza alle aziende familiari per agevolare il passaggio generazionale e l'apertura a talenti esterni, rafforzando la resilienza e l'innovazione.
L'obiettivo è creare le condizioni per cui
le pmi più dinamiche rilancino la loro crescita senza essere costrette all'uscita dal sistema Italia, invertendo la rotta di una tonnara che rischia di svuotare il tessuto produttivo e sociale nazionale dei suoi asset migliori.