Periodo di prova sul lavoro, le novità e le modifiche approvate in Decreto Trasparenza 2024
Le disposizioni introdotte dal decreto Trasparenza delineano un quadro dettagliato e preciso, soprattutto relativamente al periodo di prova, una fase cruciale sia per il datore di lavoro che per il lavoratore.
Il periodo di prova rappresenta un elemento fondamentale del contratto di lavoro, permettendo a entrambe le parti di valutare la reciproca convenienza prima di confermare l'assunzione in via definitiva. Le regole che lo disciplinano hanno subito importanti modifiche con l'introduzione del Decreto Trasparenza e ulteriori precisazioni con il successivo DDL collegato Lavoro 2024.
Il periodo di prova è un patto accessorio al contratto di lavoro subordinato che consente sia al datore di lavoro che al lavoratore di valutare la convenienza alla prosecuzione del rapporto lavorativo. Durante questo intervallo temporale, il datore può verificare le competenze professionali del dipendente, mentre quest'ultimo può valutare le condizioni di lavoro, le mansioni assegnate e l'ambiente lavorativo.
Per essere valido, il patto di prova deve possedere requisiti specifici:
Il Decreto Trasparenza ha stabilito che il periodo di prova sul lavoro può avere una durata massima di 6 mesi. Durante questo periodo, la durata della prova è soggetta alle norme della contrattazione collettiva, che può prevedere termini inferiori ma non superiori.
La normativa ha introdotto un principio di proporzionalità, specificando che la durata deve essere:
Per quanto riguarda i contratti a tempo determinato, il Collegato Lavoro ha introdotto criteri più precisi per determinare la durata del periodo di prova, stabilendo che questa è fissata in un giorno di effettiva prestazione lavorativa ogni 15 giorni di calendario, a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro.
Sono stati inoltre introdotti limiti minimi e massimi specifici:
Queste disposizioni si applicano salvo condizioni più favorevoli stabilite dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, lasciando quindi spazio alla contrattazione collettiva per adattare tali periodi alle specificità settoriali.
Un aspetto rilevante della normativa riguarda la possibilità di sospendere e prolungare il periodo di prova in determinate circostanze. Secondo il Decreto Trasparenza, la prova può essere sospesa e prolungata nei casi di:
Questa disposizione recepisce il cosiddetto principio di effettività del periodo di prova, già affermato dalla giurisprudenza (Cass. 4347/2015; Cass. 40404/2021), secondo cui il decorso del periodo di prova deve essere sospeso nei giorni in cui la prestazione lavorativa non si svolge a causa di eventi non prevedibili, per non compromettere la finalità stessa del patto di prova.
Durante il periodo di prova, sia il datore di lavoro che il lavoratore hanno la possibilità di terminare il contratto di lavoro in qualsiasi momento, senza la necessità di fornire una motivazione specifica e senza obbligo di preavviso o indennità, come stabilito dall'art. 2096, comma 3, del Codice Civile.
Tuttavia, esistono alcune limitazioni a questa facoltà di recesso:
Il dipendente che ha completato con successo il periodo di prova sul lavoro acquisisce alcuni diritti importanti. In particolare, il lavoratore può chiedere per iscritto il riconoscimento di una forma di lavoro con condizioni più stabili.
Il datore di lavoro è chiamato a fornire una risposta motivata entro un mese dalla richiesta del lavoratore. Questa disposizione mira a favorire la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, consentendo ai lavoratori che hanno dimostrato le proprie competenze durante il periodo di prova di aspirare a una condizione lavorativa più sicura.
Inoltre, il lavoratore che ha superato il periodo di prova è tutelato dalla normativa sui licenziamenti, che richiede una giusta causa o un giustificato motivo per la cessazione del rapporto di lavoro, con le relative tutele in caso di licenziamento illegittimo.
L'introduzione delle nuove regole sul periodo di prova nei contratti a tempo determinato ha sollevato diverse questioni interpretative, soprattutto in relazione alla contrattazione collettiva e ai parametri per stabilire cosa sia "più favorevole" per il lavoratore.
Un primo punto critico riguarda il rapporto tra la norma di legge e le previsioni dei contratti collettivi. La legge fa salve "le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva", ma non definisce parametri oggettivi per misurare cosa sia effettivamente più favorevole.
Ad esempio, non è sempre chiaro se un periodo di prova più breve sia necessariamente più vantaggioso per il lavoratore, considerando che il patto di prova serve anche a quest'ultimo per valutare la convenienza del rapporto e che, durante tale periodo, entrambe le parti possono recedere senza preavviso.
Un ulteriore aspetto problematico riguarda il calcolo della durata massima del periodo di prova. I limiti massimi stabiliti dalla legge (15 giorni per contratti fino a 6 mesi e 30 giorni per contratti tra 6 e 12 mesi) non sembrano allinearsi perfettamente con il criterio di calcolo proporzionale (un giorno ogni 15 di calendario), creando potenziali incongruenze.
Infine, rimangono dubbi sulla disciplina applicabile ai contratti di durata superiore ai 12 mesi, per i quali la normativa non stabilisce un limite massimo specifico del periodo di prova, lasciando aperte diverse interpretazioni possibili.