Dal 2006 il tuo sito imparziale su Lavoro, Fisco, Investimenti, Pensioni, Aziende ed Auto

Quando un patto di prova sul lavoro nullo? E se viene provato come tale, si ha sempre diritto al reintegro per Cassazione

Quando il lavoratore ha diritto al reintegro nel caso di un patto di prova sul lavoro dichiarato nullo: cosa hanno stabilito i giudici della Cassazione

Autore: Marcello Tansini
pubblicato il
Quando un patto di prova sul lavoro  nu

Il patto di prova rappresenta un elemento cardine nei rapporti di lavoro subordinato in Italia, consentendo a datore e lavoratore di valutare in via sperimentale la reciproca idoneità all’esecuzione delle mansioni.

La sua regolamentazione dipende da specifiche disposizioni del Codice Civile e della normativa speciale e recenti sviluppi giurisprudenziali, tra cui la pronuncia Cassazione 24201/2024, hanno ridefinito il quadro delle tutele riconosciute in caso di nullità della clausola di prova.

Cos’è il patto di prova: definizione e funzione nel contratto di lavoro

Nel diritto del lavoro, il patto di prova è una clausola apposta al contratto individuale che attribuisce alle parti la facoltà di valutare, in un periodo definito, la convenienza del rapporto lavorativo.

Durante il periodo di prova, ciascuna delle parti può recedere dal rapporto in qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso né di motivazione. 

La funzione principale di questa clausola è di tutelare tanto il datore di lavoro, che può verificare la rispondenza dell’attività lavorativa alle esigenze aziendali, quanto il lavoratore, che può valutare se le condizioni proposte sono realmente vantaggiose e conformi alle sue aspettative. Inoltre:

  • La durata del patto di prova è normalmente stabilita dal contratto collettivo.
  • Il patto di prova consente un recesso ad nutum, ossia privo di giustificazioni, entro i limiti prefissati dalla legge o dal contratto.
  • Con il superamento della prova, il rapporto si consolida a tempo determinato o indeterminato secondo l’accordo.

Quando il patto di prova è nullo: casi ricorrenti e motivi di nullità

La nullità del patto di prova può derivare da una pluralità di fattori, ciascuno con rilevanti conseguenze giuridiche per il rapporto di lavoro. Affinché sia valido, il patto di prova sul lavoro deve rispettare requisiti formali e sostanziali tassativi. Tra i motivi principali che determinano la nullità si segnalano:

  • Mancanza di forma scritta: il patto deve risultare da atto scritto, pena inefficacia.
  • Imprecisione, genericità o difetto di specificità delle mansioni: le attività oggetto di valutazione devono essere indicate con sufficiente dettaglio – in caso contrario, la clausola è priva di causa.
  • Reiterata applicazione: un nuovo patto di prova non può essere stipulato per le stesse mansioni già svolte dal lavoratore nella stessa azienda.
  • Durata eccessiva o superiore ai limiti di legge/CCNL: la durata deve essere congrua rispetto alla mansione. In caso di “prova” sproporzionata o eccessiva rispetto al ruolo, la clausola può essere dichiarata invalida.
  • Sottoscrizione successiva all’inizio del rapporto: il patto deve essere firmato prima dell’inizio dell’attività lavorativa. Diversamente, viene meno la facoltà delle parti di valutare il rapporto sin dal principio.

Motivi ulteriori possono derivare dall’inserimento del patto in contesti contrari a norme imperative o da vizi del consenso, inclusa la simulazione. L’accertamento della nullità comporta rilevanti effetti sull’applicazione delle regole del recesso e sulle tutele assicurate al lavoratore.

Le conseguenze della nullità del patto di prova: licenziamento e tutele applicabili

Stando a quanto stabilito dalla normativa vigente, il recesso dal rapporto di lavoro intimato sulla base di un patto nullo non può essere considerato come scioglimento legittimo ad nutum bensì come ordinario licenziamento, soggetto a tutte le garanzie e limitazioni previste dalla normativa del lavoro. Le principali implicazioni sono:

  • Necessità di motivazione: il datore è tenuto a indicare la causa del licenziamento, salvo i casi di giusta causa.
  • Applicabilità delle tutele ordinarie contro i licenziamenti illegittimi: il lavoratore, se il recesso non risulta giustificato, può ottenere le stesse protezioni garantite agli assunti privi di clausola di prova valida.
  • Rettifica della data di assunzione/anzianità: ai fini giuridici, il rapporto si intende stabilito fin dall’inizio senza soluzione di continuità.

Le tutele possono essere di natura reintegratoria o indennitaria, in funzione della disciplina applicabile, del tipo di vizio riscontrato e delle dimensioni aziendali. Le controversie più attuali riguardano l’identificazione del rimedio più adeguato: reintegra piena, reintegra attenuata o sola indennità risarcitoria. 

La Corte di Cassazione, con la sentenza 24201/2024, è intervenuta sul tema del diritto al reintegro in caso di recesso basato su patto di prova nullo. L’orientamento attuale si svolge secondo questi filoni interpretativi:

  • Se la nullità del patto di prova deriva dalla violazione di una norma a carattere imperativo, come l’obbligo di motivazione del licenziamento, si configura una nullità “virtuale” con conseguente applicabilità della tutela reintegratoria piena.
  • Laddove il vizio riguardi profili più formali o non incida su norme imperative, può restare applicabile la sola tutela indennitaria.