Quando e come una condotta illecita fuori dall'orario di lavoro puņ comportare il licenziamento? Il ruolo delle condotte extra-lavorative nel rapporto di lavoro, il quadro normativo e gli orientamenti della Cassazione con esempi concreti e distinguendo le differenze tra pubblico e privato.
Attenzione ai comportamenti tenuti fuori dall'orario lavorativo e al possibile rilievo disciplinare anche a condotte estranee all'ambito professionale.
La questione, assai dibattuta, riguarda quando un illecito o un reato commesso nella sfera privata possa determinare la rottura del vincolo fiduciario, legittimando così il recesso immediato dal contratto. Questo tema assume un rilievo particolare nel contesto della complessa evoluzione giurisprudenziale, che tende a valutare la rilevanza di comportamenti extra-lavorativi in relazione alle qualità morali richieste dal ruolo svolto. Il diritto del lavoro riconosce, infatti, che anche le azioni poste in essere al di fuori dell'ambito operativo possano incidere sull'idoneità del dipendente a mantenere il posto di lavoro, specie se tali condotte sono in contrasto con gli interessi aziendali o compromettono la reputazione dell'impresa.
La normativa di riferimento in materia di comportamenti del lavoratore è delineata principalmente dagli articoli 2105 e 2119 del Codice Civile, che sanciscono rispettivamente l'obbligo di fedeltà e la possibilità di licenziamento per giusta causa. A questi si aggiungono i principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), fondamentali per la valutazione del comportamento anche al di fuori dell'orario di lavoro. L'obbligo di fedeltà non si esaurisce nel divieto di concorrenza, ma richiede la lealtà costante verso l'azienda, con l'astensione da atti che possano pregiudicare gli interessi imprenditoriali.
Tale principio esteso impone al dipendente di evitare ogni situazione di conflitto, sia reale che potenziale, anche nella sfera privata. Le disposizioni legislative e le recenti pronunce della Suprema Corte hanno consolidato l'orientamento secondo cui ogni condotta, se ritenuta idonea a minare la fiducia su cui si regge il rapporto di lavoro, può assumere rilievo disciplinare indipendentemente dal luogo e dal tempo in cui si realizza. È perciò richiesto un continuo rispetto delle regole aziendali, codici etici e delle aspettative connesse al ruolo ricoperto, a tutela del patrimonio materiale e morale dell'impresa.
Secondo la giurisprudenza, il dipendente non viene valutato solo per il rendimento durante l'orario di lavoro, ma anche per l'idoneità a mantenere la fiducia dell'azienda. Sentenze recenti hanno ribadito che anche comportamenti di grave disvalore sociale tenuti nella sfera privata possono incidere sulla permanenza del rapporto lavorativo, se si riflettono negativamente sull'affidabilità o sull'immagine della società. Il giudizio si basa sull'accertamento della proporzionalità tra la condotta e l'effetto sul rapporto fiduciario, valutando la gravità del fatto, il contesto di riferimento e il ruolo professionale del lavoratore, specie se a contatto con il pubblico o investito di responsabilità sensibili.
L'illecito extralavorativo può integrare giusta causa di licenziamento anche quando non produce direttamente un pregiudizio economico per l'azienda, purché sia tale da compromettere le aspettative di corretto adempimento futuro. Tale principio trova applicazione anche per reati commessi prima dell'assunzione o durante precedenti rapporti, se successivamente portati a conoscenza del nuovo datore. L'orientamento attuale mette quindi in evidenza la funzione di garanzia e tutela degli interessi aziendali anche rispetto all'agire del dipendente nel privato.
La giurisprudenza offre numerosi esempi di comportamenti extra-lavorativi che hanno portato al licenziamento per giusta causa. Tra questi si annoverano:
Non tutte le violazioni o i comportamenti discutibili rilevano automaticamente ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro. La giustizia ha chiarito che perché un fatto extralavorativo sia idoneo a fondare il licenziamento è necessario che esso incida effettivamente sulla fiducia nelle capacità professionali o nell'integrità morale del lavoratore. Caso esemplare è quello del condannato per maltrattamenti in famiglia, in cui i giudici hanno escluso la legittimità del recesso perché la condotta non presentava alcun legame concreto con le mansioni svolte o con l'ambiente lavorativo, né vi erano indicatori di rischio per la regolarità del servizio.
In situazioni analoghe, i giudici sottolineano come la sfera più intima e personale, in assenza di riflessi diretti o indiretti sulla prestazione lavorativa, debba essere tenuta distinta, a salvaguardia dei diritti individuali e della dignità della persona. Pertanto, il licenziamento per cause afferenti alla vita privata è soggetto a rigorosa valutazione della proporzionalità e della concretezza dell'impatto sul vincolo fiduciario.
Nel settore pubblico, il criterio di valutazione delle condotte extralavorative risulta particolarmente rigoroso. A differenza del settore privato, il dipendente statale è tenuto a rispettare principi sanciti dalla Costituzione, come l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97) e il dovere di disciplina e onore (art. 54, co. 2). Il personale pubblico, specie nei servizi di rilevanza collettiva, è soggetto a un'aspettativa elevata di specchiata condotta, e persino reati commessi nella sfera personale possono tradursi in una valutazione negativa per il mantenimento del posto.
Diversamente, nel settore privato, pur se il principio della fiducia resta centrale, la valutazione è più calibrata sulla concreta incidenza della condotta sul rapporto lavorativo. Ciò si riflette anche nelle decisioni relative a società che, sebbene formalmente private, operano per il perseguimento di fini pubblici. Il rigorismo maggiore nel pubblico trova fondamento nel dovere di rappresentare l'interesse collettivo e nell'esigenza di tutelare la credibilità dell'istituzione agli occhi dei cittadini.