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Se L'Italia può essere attaccata, deve investire sulla difesa? I pro e contro in un contesto dove la pace è sempre più in bilico

di Marcello Tansini pubblicato il
Pro e contro investimenti difesa

In un contesto globale segnato da tensioni e crescente instabilità, l'Italia si trova a dover valutare nuovi investimenti nella difesa. Tra dati, pressioni internazionali, rischi economici e priorità strategiche, il dibattito si fa acceso.

Mutamenti geopolitici, crisi internazionali e la richiesta di una maggiore sicurezza individuano la difesa come uno dei temi centrali per il governo e l'opinione pubblica. L'interrogativo se l'Italia debba incrementare la spesa per la sicurezza nazionale si intreccia con la necessità di rispettare impegni internazionali e salvaguardare le esigenze interne.

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha lanciato un allarme: l’Italia non è oggi in grado di difendersi da un attacco, dopo vent’anni di tagli alla spesa militare. Con solo due batterie SAMP/T operative, flotte obsolete e scorte limitate, il Paese potrebbe sostenere un conflitto su larga scala solo per pochi mesi. Nel 2024 la spesa per la Difesa è stata di 25,6 miliardi di euro (1,4% del PIL), ben al di sotto del 2% richiesto dalla NATO.

Il governo ha avviato una corsa agli armamenti: nuovi carri Panther e Lynx, caccia Eurofighter e F-35, sottomarini U-212 e fregate FREMM Evo, oltre a missili e sistemi anti-drone. Questi programmi rafforzeranno lo strumento militare, ma richiederanno anni per essere completati e non risolveranno subito la carenza di munizioni e sistemi di difesa aerea.

Lo scudo a cui fa riferimento Crosetto è l’European Sky Shield Initiative, che mira a creare una difesa antimissile multilivello sul modello dell’Iron Dome. L’Italia vi partecipa, ma disporrà di un sistema nazionale efficace solo dal 2030-2031, quando le nuove batterie SAMP/T e l’integrazione con i sistemi alleati saranno pienamente operative. Nel frattempo, il Paese resta dipendente dalla protezione NATO, pur cercando di recuperare autonomia industriale e capacità militare.

D'altra parte c'è una posizione diversa che possiamo sintetizzare con il messaggio di Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia: senza pace non c’è prosperità né crescita economica. La guerra distrugge il capitale produttivo (infrastrutture, macchinari, materie prime) ed erode il capitale umano, colpendo le nuove generazioni, interrompendo istruzione e formazione e piegando le risorse a fini bellici. Risultato: minore disponibilità e qualità della forza lavoro qualificata e sviluppo compromesso.

L'evoluzione della spesa militare italiana: dati, tendenze e contesto internazionale

La spesa militare italiana ha mostrato un andamento altalenante negli ultimi due decenni, riflettendo cambiamenti economici, strategie politiche e pressioni internazionali. Nel 2024 le risorse previste per il Ministero della Difesa ammontano a circa 31,3 miliardi di euro, rappresentando il 3,4% della spesa pubblica nazionale. Di questa somma, circa il 30% è destinato a investimenti in innovazione, nuove tecnologie, mezzi ed infrastrutture, confermando una tendenza a sostenere la modernizzazione delle Forze Armate.

Tuttavia, se rapportata al PIL, la spesa nazionale si attesta all'1,57%, ancora distante dalla soglia del 2% richiesta dall'Alleanza Atlantica dal 2014. Il budget ha seguito una crescita lenta: da 20,2 miliardi di euro nel 2017 si prevede possa raggiungere i 31,7 miliardi nel 2027, senza superare il 3,5% della spesa statale. A questi dati occorre aggiungere circa 1,48 miliardi per missioni internazionali e quasi 3 miliardi provenienti dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy per progetti strategici nei settori aeronautico, navale e tecnologico.

Il confronto internazionale mette in luce alcune criticità: malgrado l'impegno a rafforzare la propria capacità difensiva, l'Italia resta tra i Paesi NATO che meno investono in proporzione al PIL. D'altro canto, l'Unione Europea si muove verso un rafforzamento della politica di difesa comune con il piano ReArm e progetti da centinaia di miliardi di euro, aprendo opportunità ma anche introducendo nuovi vincoli, in particolare per paesi con un debito pubblico elevato:

Anno

Spesa Difesa (Mld €)

Spesa % su PIL

2016

19,9

~1,2

2023

27,7

~1,5

2024 (stima)

31,3

1,57

Obiettivo 2027

31,7

~2,0 (NATO)

Le pressioni della NATO e le dinamiche europee: tra vincoli e opportunità

L'adesione agli impegni dell'Alleanza Atlantica rappresenta uno dei fattori principali nella definizione della politica di spesa militare italiana. Dal 2014, tutti i membri NATO sono chiamati a destinare almeno il 2% del PIL per la difesa: un obiettivo che per Roma si scontra con la realtà del bilancio pubblico e la necessità di mediare tra diversi interessi nazionali.

L'attuale contesto internazionale, caratterizzato da rischi crescenti e da una diminuzione della stabilità globale, ha intensificato le pressioni affinché l'Italia aumenti rapidamente la propria spesa. Le recenti posizioni espresse da Stati Uniti ed altri alleati hanno accentuato questa richiesta, sottolineando come una maggiore autonomia europea in materia di sicurezza sia indispensabile, specie in un panorama segnato dall'incertezza dei rapporti transatlantici.

A livello europeo, la Commissione ha promosso il piano ReArm, uno strumento finanziario che favorirebbe l'incremento degli investimenti nel settore attraverso l'uso di fondi comunitari. Per l'Italia, ciò significherebbe poter accedere a prestiti tra i 20 e i 30 miliardi, da destinare a personale, sistemi di difesa aerea, modernizzazione dei mezzi e sviluppo tecnologico. Tra i vincoli principali figurano la conciliazione con le regole del Patto di Stabilità e la difficoltà di integrare pienamente le diverse strategie di difesa dei Paesi membri. In definitiva:

  • Vincolo 2% NATO: Sfida per il bilancio nazionale e confronto con opinione pubblica spesso scettica.
  • ReArm UE: Opportunità per ottenere risorse aggiuntive, ma anche rischio di nuovo debito comune e divergenze su priorità di spesa tra partner europei.
  • Pressioni geopolitiche: Crisi russo-ucraina, riarmo di altri Paesi e instabilità nei rapporti transatlantici rendono urgenti decisioni condivise e investimenti mirati.

Priorità strategiche: quali investimenti sono essenziali per la sicurezza nazionale?

L'analisi delle priorità in materia di sicurezza nazionale richiede una valutazione accurata e selettiva delle aree su cui concentrare le risorse disponibili. Alla luce dei nuovi scenari e delle direttive europee, tra le principali direttrici di investimento si segnalano:
  • Personale militare: L'aumento delle risorse pone la necessità di implementare gli effettivi delle Forze Armate, attualmente circa 160mila unità, al fine di garantire prontezza ed efficienza operativa.
  • Sistemi di difesa aerea: Potenziamento della sicurezza dei cieli mediante tecnologie di difesa antiaerea avanzata, compresi radar, satelliti e strumenti per il contrasto a minacce come droni o missili.
  • Modernizzazione dei mezzi: Sostituzione ed aggiornamento di carri armati e veicoli blindati, con progetti congiunti tra Leonardo e Rheinmetall, oltre a investimenti nel settore spaziale e nella ricerca per applicazioni dual use.
  • Sviluppo tecnologico: Risorse indirizzate verso la trasformazione digitale, l'intelligenza artificiale applicata alla difesa, la cyber-sicurezza e l'integrazione dei sistemi informativi tra comparti nazionali e alleati.
Le scelte di investimento dovranno quindi rispecchiare non solo le necessità immediate, come una reazione pronta ad eventuali crisi future, ma anche la coerenza con gli indirizzi internazionali e la competitività strategica dell'Italia nell'ambito industriale e tecnologico della difesa.

I pro dell'aumento degli investimenti nella difesa: autonomia, sicurezza e crescita industriale

L'incremento delle risorse destinate alla difesa produce effetti positivi che si riflettono su diverse dimensioni:

  • Maggior autonomia nazionale: Investire nella sicurezza consente di ridurre la dipendenza dall'estero e dagli alleati, rafforzando il posizionamento dell'Italia sia nella NATO che nell'Unione Europea.
  • Sicurezza collettiva: Una difesa efficiente è precondizione per la stabilità dei confini e la salvaguardia degli interessi nel Mediterraneo, soprattutto in un contesto di nuove minacce ibride e cyber.
  • Crescita industriale: Il settore della difesa coinvolge filiere avanzate che generano occupazione, innovazione e export; progetti come quelli nel comparto aeronautico o elettronico fungono da volano per lo sviluppo tecnologico nazionale.
  • Partecipazione ai programmi multilaterali: Un aumento qualitativo e quantitativo degli investimenti consente all'Italia di incidere nelle decisioni a livello europeo e internazionale, assicurando ritorni economici e strategici sul territorio.
La capacità di cogliere queste opportunità dipende dalla tempestività con cui i progetti vengono attuati e dall'efficienza delle procedure amministrative che ne regolano l'attuazione.

I contro: costi economici, opinione pubblica e rischio di riduzione dei servizi essenziali

Nel 2024 i Paesi dell’Unione europea hanno speso 343 miliardi di euro per la Difesa, pari all’1,9% del PIL con l’obiettivo di raggiungere il 2% entro il 2025. Le risorse sono state destinate soprattutto all’acquisto di armamenti, mentre ricerca, sviluppo e infrastrutture hanno ricevuto meno attenzione.

Uno studio citato nel dossier Europa a mano armata mostra che la spesa militare genera meno occupazione rispetto a investimenti in sanità, istruzione o ambiente, che avrebbero effetti più ampi sull’economia e sulle filiere locali. Il settore della Difesa, infatti, è ad alta intensità tecnologica ma impiega pochi lavoratori e, poiché il 70% delle armi è acquistato fuori dall’Europa, l’impatto moltiplicatore sul territorio è limitato.

La crescita delle aziende belliche si riflette soprattutto in Borsa, dove i titoli aumentano di valore seguendo l’andamento dei conflitti, senza corrispondenti benefici occupazionali. Rheinmetall, ad esempio, ha visto il suo valore crescere del 300% tra il 2022 e il 2024, ma l’occupazione è salita solo del 15%. In Italia, lo stabilimento di Domusnovas ha risposto alla domanda con turni di lavoro continui e più contratti interinali, senza incrementare i dipendenti stabili.

Ecco allora che la crescita della spesa nel settore difensivo espone a una serie di controindicazioni da valutare attentamente:

  • Impatti sul bilancio pubblico: L'aumento degli stanziamenti richiede, in assenza di incremento complessivo delle entrate, possibili tagli in altri ambiti, come sanità o scuola, incidendo sui servizi per i cittadini.
  • Debito statale: Un ulteriore incremento degli investimenti potrebbe tradursi in un aggravamento del debito pubblico, già ai massimi tra i membri UE.
  • Resistenza sociale: In Italia sussiste una diffusa reticenza rispetto ad aumenti sensibili delle risorse destinate alla difesa, specie in contesti di difficoltà socio-economica.
  • Questioni etiche e politiche: L'incremento delle capacità belliche può essere percepito come una scelta in contrasto con i principi di pace e demilitarizzazione sostenuti da parte dell'opinione pubblica e delle forze politiche.
Il rischio concreto è una polarizzazione delle posizioni, con conseguente riduzione del consenso sulle scelte di indirizzo e sulle priorità strategiche del Paese.