Fino a poco tempo fa, i guadagni derivanti da investimenti internazionali erano soggetti a una doppia imposizione fiscale: prima nel Paese di origine degli emittenti e poi in Italia.
Stop alla doppia imposizione fiscale sui dividendi e sugli interessi derivanti da titoli esteri nel portafoglio investimenti. Questo è quanto emerge da due recenti pronunce delle Corti di Giustizia Tributarie di Verona e Siena, che hanno stabilito un principio già sostenuto dalla Corte di Cassazione.
Queste sentenze si fondano su un principio giuridico che tutela i contribuenti italiani, ponendo fine alla pratica della doppia imposizione fiscale. Fino a ora i dividendi e gli interessi percepiti da titoli di emittenti esteri venivano tassati sia nel paese di origine degli emittenti sia in Italia, creando un doppio prelievo fiscale per gli investitori.
Le pronunce delle Corti Tributarie, ispirate dalle decisioni della Cassazione, segnano una svolta, obbligando l’Agenzia delle entrate a riconoscere il credito d’imposta ai contribuenti, evitando così che essi debbano pagare due volte le imposte sui redditi da capitale percepiti all’estero. Vediamo meglio:
In teoria, l'investitore aveva la possibilità di richiedere il rimborso parziale delle tasse versate all'estero, grazie alle convenzioni internazionali che solitamente fissano al 15% l'aliquota sui dividendi per i non residenti. Questa pratica era però raramente applicata, spesso a causa della mancanza di consulenza adeguata da parte delle banche.
In Italia, i dividendi esteri percepiti tramite una banca italiana erano soggetti a un'aliquota del 26%, calcolata sull'importo netto dopo la detrazione delle ritenute estere. Se invece il dividendo non veniva canalizzato attraverso un intermediario residente, il contribuente doveva dichiarare l'intero importo lordo, senza poter dedurre le ritenute subite all'estero, subendo così una tassazione aggiuntiva.
Tomaso de Simone, partner di KPMG Private Italia, ha spiegato al Sole 24 Ore come in molti casi il Fisco italiano negasse il credito d'imposta per le ritenute subite all'estero, rendendo la situazione ancora più gravosa per gli investitori. Con le recenti sentenze delle Corti di Giustizia, questa situazione sta finalmente cambiando, offrendo agli investitori la possibilità di richiedere il credito d'imposta e di evitare la doppia imposizione.
Un esempio concreto riguarda un residente fiscale in Italia che possiede una partecipazione in una società tedesca. In questo caso, la ritenuta applicata in Germania è del 26,375%, mentre, in base alla convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Germania, l'aliquota non dovrebbe superare il 15%. In Italia, se le azioni sono gestite da un intermediario locale, questi applica una ritenuta del 26% sull'importo netto percepito, portando la tassazione complessiva al 37,1%. In caso contrario, se non c'è intermediario, il contribuente deve gestire autonomamente la tassazione, che può arrivare al 41% e, in alcuni casi, persino al 52,375%.
Lo Stato italiano, per non perdere miliardi di euro di gettito fiscale, sta lavorando per modificare le convenzioni bilaterali con diversi Paesi, tra cui Arabia Saudita, Cipro, Malta e Singapore. Per gli investitori, questo è il momento di muoversi per richiedere il rimborso alle Entrate. Le famiglie italiane detengono infatti un patrimonio in azioni e obbligazioni estere, con oltre 100 miliardi di euro in azioni e oltre 70 miliardi in obbligazioni, che generano ogni anno grandi somme in termini di dividendi e interessi. Non c'è una procedura reale per chiedere il rimborso tassazione per dividendi esteri azioni, ma lo Stato italiano si sta muovendo per trovare una armonizzazione con gli altri Paesi europei.
Le sentenze delle Corti di Giustizia Tributarie di Verona e Siena, rispettivamente 423 del 2023 e 68 del 2024, hanno stabilito un punto fermo sulla questione della doppia imposizione fiscale applicata ai titoli di emittenti esteri. Queste decisioni si basano su precedenti orientamenti della Corte di Cassazione (sentenze 25698 del 2022 e 10204 del 2024) che hanno ribadito come i dividendi e gli interessi su titoli esteri non debbano essere soggetti a doppia tassazione.
Il principio in questione, già previsto teoricamente dalle convenzioni internazionali, dovrebbe consentire agli investitori di richiedere il rimborso di parte delle imposte pagate all'estero, laddove l'aliquota applicata superi quella convenzionale del 15% prevista per i non residenti. Nella pratica questa procedura è raramente realizzata, spesso a causa della complessità e della mancanza di supporto informativo da parte delle banche.
Con il nuovo orientamento giurisprudenziale, si apre la possibilità di richiedere all'Agenzia delle entrate il rimborso della differenza tra la ritenuta subita all'estero e quella prevista localmente in Italia. Lo Stato italiano sta già intervenendo per modificare le convenzioni bilaterali con alcuni Paesi, cercando di evitare un'ondata di richieste di rimborso che potrebbero minare le entrate fiscali.
Gli scenari per l'investitore italiano, come evidenziato da Tomaso De Simone sul Sole 24 Ore, possono essere due. Nel primo, al momento della distribuzione del dividendo, l'investitore comunica la propria residenza fiscale e chiede l'applicazione della ritenuta convenzionale del 15%. Nel secondo scenario, si subisce inizialmente la ritenuta locale (ad esempio, il 26,375% in Germania) e si richiede poi il rimborso della differenza all'amministrazione fiscale estera. L'importo rimborsato diventa imponibile in Italia.
Questi nuovi sviluppi permettono ora agli investitori di recuperare somme che prima non era possibile reclamare. Ad esempio, nel primo scenario illustrato, l'investitore potrebbe ottenere un rimborso di 15.000 euro, mentre nel secondo scenario, seppur più ridotto, il recupero si attesterebbe comunque su una cifra pari a 11.100 euro.