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Under 35 italiani, perché ben il 63% vive ancora con i genitori? Una percentuale impressionante

di Marcello Tansini pubblicato il
Percentuale under 35 con genitori

Il 63% degli under 35 italiani vive ancora con i genitori, un dato che rivela dinamiche complesse: fragilità economica, mercato immobiliare difficile, trasformazioni sociali e psicologiche, differenze.

È sempre più diffuso il fenomeno di giovani adulti che rimandano l'uscita dalla casa d'origine, vivendo una fase di prolungata dipendenza dalla famiglia. Il dato che colpisce maggiormente è rappresentato dal fatto che il 63% dei maggiorenni sotto i 35 anni resta con i genitori. Questo valore, tra i più alti in Europa, solleva interrogativi sulle condizioni strutturali che lo alimentano.

Dalla difficoltà di accedere a un'occupazione stabile fino agli effetti di una crisi demografica senza precedenti, la permanenza a casa appare non solo una scelta spesso obbligata, ma anche sintomo di un sistema che fatica ad accompagnare i giovani verso una piena indipendenza.

Analisi demografica: perché la fascia giovanile si sta riducendo

L'impatto della crisi demografica in Italia è verificabile osservando i numeri relativi alla popolazione giovane. Nel giro di vent'anni, la fascia tra i 25 e i 34 anni si è ridotta drasticamente, passando da 8,5 milioni di residenti nel 2005 a 6,2 milioni, con un calo del 26,6%. Questa contrazione è molto più accentuata rispetto ad altre fasce di età: nello stesso arco di tempo, il gruppo 15-24 anni è diminuito solo del 2,5%, mentre la popolazione totale italiana è addirittura cresciuta dell'1,6%.

Le cause di questa riduzione sono molteplici e includono la diminuzione delle nascite, l'aumento dell'emigrazione giovanile e la difficoltà strutturale nel trattenere sul territorio risorse umane qualificate. La componente migratoria gioca un peso rilevante: dal 2016 al 2024 il paese ha visto l'esodo continuo di giovani tra 25 e 44 anni, con una quota significativa composta da laureati. Più di 156.000 italiani hanno lasciato l'Italia nel solo 2024, cifra che accentua la perdita di capitale umano e la progressiva riduzione della base demografica necessaria per il ricambio generazionale. 
L'impatto si riflette anche nella composizione familiare, con un numero crescente di famiglie composte da una sola persona e una rarefazione delle classiche famiglie numerose. Questo scenario demografico condiziona direttamente le possibilità di autonomia per i giovani, rendendo ancora più complesso il percorso verso l'indipendenza abitativa.

Crisi economica, salari bassi e precarietà: ostacoli all'indipendenza dei giovani

Le condizioni del mercato del lavoro rappresentano un ostacolo significativo per chi vorrebbe avviare una vita indipendente. Il tasso di disoccupazione tra i 15 e i 34 anni tocca il 12,3%, con picchi superiori al 22% nel Sud. Non meno preoccupante è la qualità dell'occupazione: una quota importante dei giovani intervistati dichiara di non trovare impiego a causa di offerte salariali inadeguate o di proposte caratterizzate da contratti instabili e mal retribuiti.

L'indagine Inapp-Plus 2024 rivela che il 76,4% degli under 30 insoddisfatti del proprio lavoro lamenta uno stipendio troppo basso rispetto alle proprie aspettative e competenze. Questo gap retributivo si riscontra a ogni livello di istruzione, accentuando la frustrazione anche di chi, dopo una lunga formazione, si vede costretto a rinunciare ai traguardi personali per ragioni economiche.

Un altro aspetto critico è la precarietà contrattuale. Se da un lato cresce la percentuale di giovani occupati (il 68,7% nella fascia 25-34 anni), dall'altro solo una minoranza riesce a creare una famiglia: appena il 22,7% degli occupati in questa fascia è anche genitore. Le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro stabile si ripercuotono su tutte le fasi del percorso verso l'autonomia, posticipando i progetti a lungo termine.

La condizione di dipendenza dalla famiglia d'origine emerge quindi come il prodotto di meccanismi economici strutturali che limitano le possibilità di costruire una vita autonoma su basi solide e durature.

Il ritardo nell'autonomia: educazione prolungata e crollo dei matrimoni

La propensione a restare più a lungo nella casa dei genitori trova spiegazione anche nei cambiamenti nei percorsi formativi e nei costumi sociali. Da un lato si assiste a un allungamento dei tempi di permanenza nel sistema educativo: la percentuale di laureati tra i 25 e i 34 anni è passata dal 16,2% nel 2005 al 31,6% odierno. L'età media di conseguimento della laurea è attorno ai 25 anni per la triennale, e oltre i 26 per la magistrale.

Questo fenomeno, in linea con quanto avviene in altri contesti europei, tende a ritardare l'ingresso nel mondo del lavoro e, di conseguenza, tutte le tappe dell'autonomia personale. Tuttavia, un numero crescente di studenti lavora già prima di terminare gli studi, segno della necessità di anticipare l'indipendenza economica dove possibile.

Contestualmente, si riduce drasticamente il numero dei matrimoni e aumenta l'età in cui essi vengono celebrati. Nel 2024, l'età media al primo matrimonio si assesta a quasi 37 anni. Negli ultimi vent'anni il tasso di nuzialità è diminuito costantemente sia tra uomini che tra donne under 35. Il matrimonio non rappresenta più il passaggio tradizionale verso la vita autonoma e la formazione di una nuova famiglia.

L'influsso di questi trend contribuisce a posticipare le scelte di emancipazione, ridefinendo il concetto stesso di età adulta per le nuove generazioni.

Le difficoltà del mercato immobiliare e la generazione ‘boomerang'

Le difficoltà di accesso al mercato della casa costituiscono una barriera aggiuntiva per chi desidera compiere il passo verso l'indipendenza. Negli ultimi anni, i prezzi degli affitti e degli immobili hanno subito un incremento considerevole: tra il 2015 e il 2023 l'aumento ha sfiorato il 50% nell'Unione Europea, con una crescita particolarmente accentuata nelle principali città italiane.

A ciò si aggiunge una ridotta disponibilità di soluzioni abitative accessibili, soprattutto per chi non può contare su redditi stabili. Secondo le più recenti indagini, solo il 16,5% dei giovani italiani vive da solo, mentre quasi la metà condivide casa con altri coinquilini e il resto resta nell'abitazione dei genitori.

Un fenomeno ormai stabile è quello della generazione boomerang, composta da giovani adulti che, dopo un primo tentativo di autonomia, tornano a vivere nell'abitazione dei genitori. In Italia questa quota raggiunge il 21% tra chi aveva già lasciato il nido. Le motivazioni? Nel 44% dei casi ragioni economiche (infatti, l'aumento del costo della vita e della casa sono le cause principali), mentre il 34% rientra per motivi emotivi: dalla solitudine alle difficoltà incontrate dopo la pandemia.

Analizzare il dato delle uscite dal nido familiare permette di osservare differenze significative sia tra uomini e donne, sia tra Paesi europei. In Italia, ad esempio, l'età media per lasciare la casa dei genitori è di 30,1 anni, tra le più alte del continente e ben superiore ai 26,6 anni della media europea.

Il divario di genere è netto: gli uomini lasciano la casa a 30,9 anni, le donne a 29,2. Questo gap si ripresenta in quasi tutti i Paesi, anche se le differenze si stanno progressivamente attenuando. Il confronto con il Nord Europa mostra come in Finlandia, Danimarca e Svezia l'uscita di casa avvenga quasi dieci anni prima rispetto all'Italia: qui prevalgono un sistema di welfare più efficiente, alloggi più accessibili e una cultura che promuove l'indipendenza fin dalla giovane età.

Le motivazioni della permanenza prolungata in Italia sono quindi legate non solo a fattori economici ma anche a norme sociali e culturali che normalizzano la convivenza multigenerazionale. Oltre il 46% degli italiani intervistati considera socialmente accettabile vivere a lungo con i genitori, una tendenza meno pronunciata in altre nazioni europee.

Le conseguenze psicologiche della permanenza in famiglia

Rimanere a lungo nella casa dei genitori comporta conseguenze profonde anche a livello emotivo e psicologico. Se da un lato la famiglia rappresenta un baluardo di protezione e sicurezza in un periodo di forte incertezza, può anche generare dinamiche che rallentano lo sviluppo dell'autonomia personale, incidendo sull'autostima e sulla percezione delle proprie capacità.

Secondo prospettive psicologiche affermate, la protratta dipendenza dalla famiglia d'origine può favorire forme di regressione o rallentare la capacità di assumersi responsabilità individuali. Tuttavia, questa stessa convivenza porta anche vantaggi: la possibilità di risparmiare risorse, investire nella propria formazione o affrontare percorsi lavorativi complessi senza subire una pressione eccessiva.

Gli effetti non sono tutti negativi: la presenza familiare può ridurre la sensazione di isolamento, migliorare la resilienza in situazioni stressanti e costituire una fonte di sostegno nei momenti difficili. Tuttavia, le aspettative di indipendenza e l'esigenza di privacy restano alte tra i giovani adulti, portando spesso a conflitti interni e a un senso di ritardo nell'assumere ruoli adulti. Gestire efficacemente le relazioni e comunicazioni familiari risulta dunque essenziale per tutelare il benessere mentale di tutte le parti coinvolte.