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Vini senza alcool al via la produzione in Italia: cosa cambia per il settore e prospettive

di Marcello Tansini pubblicato il
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Il settore vitivinicolo italiano si rinnova con l'avvio della produzione di vino senza alcool. Tra novità normative, tecniche di dealcolizzazione e nuove sfide culturali, si delineano scenari inediti per produttori e consumatori, tra opportunità, percezioni e prospettive internazionali.

Negli ultimi anni, la produzione di vini privi o a basso contenuto di alcol ha attirato crescente attenzione in Italia e nel resto d’Europa, alimentando dibattiti tra innovazione e rispetto della tradizione. Recentemente, l’approvazione di un importante decreto ministeriale ha segnato una svolta storica per il settore vitivinicolo italiano, rispondendo a un’esigenza di mercato sempre più internazionale e consapevole. Fino a poco tempo fa, infatti, la normativa nazionale imponeva restrizioni significative: pur potendo commercializzare prodotti analcolici, alle cantine italiane era di fatto preclusa la possibilità di produrli sul territorio.

Il nuovo assetto regolatorio ha adeguato la disciplina italiana a quella europea, offrendo un quadro di regole chiare su processi, etichettatura e destinazioni di consumo. La crescente attenzione verso stili di vita più salutari e verso alternative analcoliche ha accelerato la richiesta di questi prodotti, evidenziando come il panorama legislativo sia stato costretto a mutare per non perdere competitività. Per molti esperti ed operatori, si tratta di un passaggio epocale che pone nuove domande, ma propone anche opportunità di crescita e di diversificazione della produzione.

Il decreto ministeriale: cosa cambia per la produzione e il mercato in Italia

L’adozione ufficiale del decreto ministeriale rende finalmente possibile la produzione di vini dealcolati e parzialmente dealcolati interamente in Italia, superando un impasse di oltre un decennio. Il provvedimento, firmato dal ministro dell’Agricoltura nel dicembre 2024, stabilisce che all’interno degli stessi stabilimenti vitivinicoli, sebbene in locali separati, sia consentito il processo di dealcolazione su un’ampia gamma di categorie: vini fermi, spumanti, frizzanti e spumante di qualità. Restano esclusi vini liquorosi, passiti, aceti e mosti.

L’obbligo di chiarezza in etichetta rappresenta uno degli elementi centrali: il termine “dealcolato” potrà essere apposto per prodotti sotto lo 0,5% di volume alcolico, mentre la definizione “parzialmente dealcolato” sarà riservata a volumi tra 0,5% e 8,5%. È invece vietato aggiungere acqua o aromi esogeni e aumentare il contenuto zuccherino del mosto. Il decreto prevede anche regole stringenti su processi e responsabilità: le operazioni dovranno essere svolte sotto supervisione di un enologo o tecnico qualificato, garantendo la qualità e la sicurezza degli alimenti secondo quanto stabilito dal regolamento (UE) n. 1308/2013.

Il nuovo scenario offre a cantine, cooperative e distillerie italiane la possibilità di procedere alla dealcolazione senza doversi appoggiare esclusivamente a impianti esteri, innovando i processi produttivi e ampliando l’offerta commerciale. Resta però aperto il dibattito sull’inserimento dei vini parzialmente dealcolati nelle Indicazioni Geografiche Protette – una questione che il decreto non affronta in maniera definitiva e che continuerà a dividere i protagonisti del settore.

Dal punto di vista di mercato, il decreto è stato salutato con favore dalle principali associazioni di settore, come Unione Italiana Vini e Federvini, le quali sottolineano la portata della misura per alleggerire le giacenze di cantina e favorire la penetrazione in segmenti di consumo poco esplorati: giovani, donne e consumatori attenti al benessere. Il cambiamento normativo rappresenta dunque un passaggio strategico per il comparto enologico nazionale, chiamato ora a un delicato bilanciamento tra innovazione e rispetto delle denominazioni tradizionali.

Processi di dealcolazione: tecniche consentite e caratteristiche del prodotto

Le tecnologie ammesse per la rimozione parziale o totale dell’alcol dai vini sono allineate alle prescrizioni dell’Unione Europea e prevedono metodi sofisticati per tutelare le qualità organolettiche dei prodotti. Il regolamento comunitario e il decreto italiano consentono:

  • Evaporazione sottovuoto: permette di rimuovere l’alcol mantenendo bassi i danni termici e conservando il bouquet originario.
  • Tecniche a membrana: tra cui osmosi inversa, nanofiltrazione, dialisi, pervaporazione e l’impiego di contattori a membrana. Queste soluzioni permettono di separare selettivamente l’alcol dagli altri costituenti del vino.
  • Distillazione (incluso spinning cone column): utilizza colonne rotanti sotto vuoto per separare, anche in più fasi, i composti volatili senza compromettere il profilo aromatico.
Le procedure possono essere applicate anche in combinazione e sono riservate esclusivamente a personale tecnico specializzato. Una caratteristica peculiare del prodotto italiano è il divieto di impiegare additivi aromatici esterni e l’obbligo, invece, di recuperare gli aromi endogeni tramite circuiti chiusi – al fine di assicurare trasparenza e autenticità. In etichettatura vengono specificati i termini “dealcolato” o “parzialmente dealcolato”, con l’obiettivo di offrire informazioni chiare e non ingannevoli al consumatore. Questo livello di rigore risponde, da un lato, alle esigenze di affidabilità alimentare, e dall’altro al desiderio del pubblico di bere un prodotto che resti fedele quanto possibile alle caratteristiche dell’uva di origine.

Impatto sui produttori: sfide, opportunità e il dibattito sulla tradizione

L’introduzione della produzione di vini privi di alcol o a basso tenore alcolico in Italia apre prospettive differenti a seconda della storia e delle dimensioni delle imprese. Le aziende storiche e di dimensioni maggiori appaiono meglio attrezzate a sostenere l’investimento in impianti di dealcolazione, mentre per le realtà più piccole il costo, stimato tra i 300 e i 400mila euro per i macchinari di base, potrebbe rappresentare un ostacolo. Da qui la tendenza a collegarsi a piattaforme di servizi condivisi, anche a livello territoriale, in modo da contenere le spese e accedere comunque al nuovo mercato.

Sul piano delle opportunità, la dealcolazione consente di rilanciare il valore commerciale dell’uva non utilizzata e di accedere a una platea di consumatori più ampia e diversificata, includendo persone che scelgono regimi alimentari salutistici, guidatori, donne in gravidanza o chi, per motivi religiosi, intende evitare l’assunzione di alcol. Inoltre, secondo i dati dell’Osservatorio UIV, si stima che il fenomeno possa contribuire alla riduzione di giacenze importanti, attualmente pari a decine di milioni di ettolitri.

Non mancano tuttavia i dibattiti interni al settore, soprattutto relativamente al rispetto della tradizione. Alcuni produttori sottolineano i rischi legati alla perdita di identità del vino italiano e alla possibile industrializzazione dei processi, che potrebbero allontanare il prodotto dall’immagine artigianale e legata al territorio. Altri, invece, vedono nella dealcolazione una risposta doverosa ai cambiamenti nella domanda globale e nel clima, oltre che una leva competitiva per garantire la sopravvivenza e la vivacità del comparto. Le posizioni divergono soprattutto in merito all’inclusione dei vini dealcolati nelle denominazioni IGP o DOC, con parte del settore più attenta a tutelare la qualità storica delle etichette e altri aperti all’innovazione purché coordinata da una normativa rigorosa.

Vini senza alcool nel mondo e in Italia: trend di consumo e potenziale di mercato

A livello internazionale, la crescita del segmento no e low alcol è uno dei fenomeni più marcati nell’ambito beverage. Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Spagna, Francia e alcuni mercati extraeuropei registrano una domanda in decisa espansione, trainata in particolare da donne, Millennials e consumatori attenti al benessere. Secondo gli studi IWSR e UIV, negli USA – primo mercato globale per i prodotti privi di alcol – si prevede una crescita media annuale intorno al 7%. In Germania, sono le fasce più giovani, in prevalenza femminili, a guidare il cambiamento. Il Regno Unito, invece, mostra un mercato con oltre il 40% dei consumatori sotto i 35 anni di età interessati a queste nuove offerte.

Per quanto riguarda l’Italia, secondo il “Sole 24 Ore” il 36% della popolazione si dichiara incuriosita dal consumo di vini privi di alcol, nonostante la penetrazione sia ancora limitata rispetto ad altri paesi europei. Tuttavia, la tendenza è chiara: nel 2025 la produzione italiana di vini dealcolati dovrebbe segnare un incremento del 60% rispetto all’anno precedente (dati Osservatorio UIV-Vinitaly). I principali driver della crescita sono riconducibili a:

  • La ricerca di stili di vita salutari e moderazione nei consumi;
  • La necessità di alternative nelle occasioni sociali in cui l’alcol è sconsigliato;
  • L’accettazione crescente di prodotti innovativi nel retail e nel settore horeca.
Il potenziale di mercato è dunque significativo: ampie fasce di popolazione non consumano bevande alcoliche, e la disponibilità di vini analcolici potrebbe ampliare notevolmente il bacino di utenti, riducendo il gap tra le diverse esperienze e culture di consumo.

Il ruolo della ristorazione e dell’horeca nella diffusione dei vini senza alcool

La ristorazione, insieme ai canali horeca (hotel, ristoranti, caffè e bar), gioca un ruolo centrale nella diffusione dei prodotti privi di alcol. Mentre nel mondo la proposta di vini dealcolati si è ormai affermata grazie al lavoro di sommelier e operatori innovativi, in Italia si registrano ancora resistenze e diffidenze, spesso legate a questioni culturali e alla percezione di questi prodotti come secondari o meno autentici.

I produttori sottolineano l’importanza che l’intero comparto si apra a queste nuove opportunità, superando pregiudizi e aggiornando le carte dei vini per includere opzioni no e low alcol, così da soddisfare una clientela sempre più attenta alla moderazione e al benessere. Il successo internazionale dei vini privi di alcol si deve proprio alla capacità di riconoscere e anticipare le esigenze dei consumatori, proponendo percorsi di degustazione e abbinamenti adatti anche a eventi, brunch e occasioni conviviali in cui l’astensione dall’alcol non deve tradursi in esclusione. L’ambito mixology registra già risultati superiori per cocktail analcolici rispetto a quelli tradizionali, soprattutto nelle grandi città e tra i giovani.

Gli aspetti culturali, identitari e poetici del vino dealcolato

La dimensione culturale legata al vino attraversa la storia, la poesia e la convivialità italiana. Per una parte della comunità enologica, il significato simbolico e identitario del vino rischia di smarrirsi nella proposta di una versione “senza alcol”, considerata da alcuni più affine a una bibita che non a un prodotto nobile dalla lunga tradizione. Ciononostante, molti osservatori invitano a un approccio più poetico e aperto: il valore del vino risiede anche nella sua capacità di adattarsi ai contesti sociali, ai bisogni delle persone e alle evoluzioni del gusto.

Accanto alla convivialità e alla ritualità che da sempre contraddistinguono la mescita italiana, si fa strada la consapevolezza che anche i prodotti privi di alcol possano rappresentare occasioni di aggregazione e bellezza, riscoprendo il piacere delle sfumature di gusto e della creatività degli abbinamenti senza dimenticare la radice agricola, territoriale e culturale della materia prima.

Prospettive future e possibili scenari per il settore vitivinicolo italiano

Il futuro del comparto nazionale potrebbe essere segnato da scenari multipli, in cui innovazione tecnologica, nuova normativa e attenzione ai temi dell’identità e della qualità convivano e si alimentino a vicenda. La possibilità di produrre vini privi di alcol in Italia apre la strada non solo a un ampliamento dei mercati tradizionali, ma anche a una più ampia proiezione internazionale delle imprese italiane, protagoniste su scala globale di una trasformazione guidata dalla domanda.

I dati suggeriscono un’evoluzione continua dei gusti e una crescente accettazione di prodotti che abbinano salute, leggerezza e rispetto ambientale. La sfida sarà mantenere la riconoscibilità dello stile italiano anche attraverso queste nuove produzioni, garantendo sempre trasparenza, rigorosità tecnica e qualità sensoriale. Il confronto con altri paesi europei rimarrà acceso, soprattutto sull’inclusione o meno dei prodotti dealcolati nelle categorie IGP o DOC. Al centro, la necessità di un equilibrio tra salvaguardia di un patrimonio secolare e la capacità di rispondere tempestivamente a bisogni emergenti, governando il cambiamento per restare tra i leader mondiali dell’enologia.