L’acquisizione di Woolrich Europe da parte di BasicNet e la chiusura delle sedi di Bologna e Milano sollevano dubbi e timori tra i dipendenti, che vedono nei trasferimenti verso Torino una minaccia ai propri posti di lavoro
Profonda incertezza attraversa i dipendenti italiani di un noto marchio americano di abbigliamento, dopo l'annuncio dell'accentramento delle attività nell’headquarter piemontese in seguito a una recente acquisizione societaria. La scelta, priva di un percorso di ascolto strutturato, ha generato reazioni immediate che coinvolgono lavoratori, sindacati e istituzioni. In questa complessa situazione si intrecciano temi di diritti, tutela occupazionale e cambi di paradigma nella gestione delle risorse umane, sottoponendo l’intero comparto alla prova della trasparenza e dell’equità sociale, oltre che della resilienza economica del territorio.
L’acquisizione di Woolrich Europe da parte del gruppo torinese BasicNet, chiusa nel novembre 2025, rappresenta una delle più rilevanti operazioni industriali recenti nel settore moda. BasicNet, già proprietaria di marchi come Kappa e K-Way, ha rilevato la controllata europea del celebre brand americano, finalizzando l’operazione in partnership finanziaria con il fondo L-Gam. L’entità dell’investimento, circa 90 milioni di euro, testimonia la volontà della società italiana di consolidare la propria posizione anche nel segmento premium e di rilanciare un marchio storico sui mercati europeo e mediorientale.
L’intento dichiarato dai vertici BasicNet punta a creare sinergie rilevanti tra le realtà già gestite dal gruppo, attraverso un accentramento delle funzioni strategiche e logistiche nella sede torinese. La razionalizzazione dei processi e l’integrazione operativa sono presentate come chiavi per rilanciare la notorietà e la competitività di Woolrich sul continente, in una fase segnala da profonde trasformazioni nel settore.
Quest’operazione, attuata in linea con la vocazione storica di BasicNet al controllo diretto dei brand acquisiti, mira a sfruttare economie di scala, ottimizzare la gestione e favorire una crescita sostenibile, promessa ribadita attraverso precisi impegni al mantenimento occupazionale in Italia.
L'annuncio della chiusura degli uffici di Bologna e Milano ha destato forte preoccupazione tra le 139 persone impiegate nelle due sedi, a cui è stato richiesto il trasferimento presso il quartier generale di Torino entro marzo. Questa scelta ha colto di sorpresa il personale, che si è visto prospettare un netto aut-aut: accettare lo spostamento oppure considerarsi dimissionario, con significativo impatto sulle tutele sociali, tra cui la perdita del diritto Naspi.
L’intervento non coinvolge i circa 90 addetti dei negozi, che continueranno ad operare regolarmente, mentre per la struttura amministrativa e commerciale la centralizzazione mira a uniformare la governance secondo il modello di gestione di BasicNet. L’opzione di mantenere soluzioni flessibili, quali smart working parziale o presidi territoriali minimali, non è stata prevista nelle prime fasi della procedura, nonostante le sollecitazioni provenienti da dipendenti e rappresentanze sindacali.
Secondo la narrazione aziendale, si tratta di una manovra strategica per il rilancio del marchio su scala internazionale. Tuttavia, la tempistica e le modalità della comunicazione hanno alimentato un sentimento di urgenza e il timore che dietro la riorganizzazione si celi una ristrutturazione pesante con ricadute inevitabili sulle persone coinvolte e sulle comunità locali.
La prospettiva del trasferimento a Torino è stata vissuta dai lavoratori come un cambiamento radicale, poco negoziato e carico di conseguenze pratiche e personali. Le testimonianze giunte tramite una lettera indirizzata ai vertici della nuova proprietà puntano il dito contro l’assenza di un vero confronto preventivo. Molti dipendenti sottolineano la mancanza di valutazioni sulle possibili alternative, tra cui modalità di lavoro agili o piani personalizzati adattati alle diverse situazioni familiari e sociali.
I lavoratori evidenziano come negli anni abbiano sostenuto l’azienda con dedizione, rinunciando anche a benefici economici in nome della stabilità occupazionale e della fiducia nella ripresa. E ora, a fronte del trasferimento forzato, emergono forti criticità:
L’impatto si riverbera anche sul tessuto sociale delle città coinvolte, che rischiano di perdere risorse economiche e coesione, mentre alcune soluzioni richieste – come la possibilità di presidi territoriali minimi o periodi transitori flessibili – rimangono ancora oggetto di negoziato.
I vertici BasicNet hanno pubblicamente ribadito che l’operazione nasce come parte di una strategia di rafforzamento e rilancio per il brand, assicurando la volontà di accompagnare la transizione in modo responsabile. Viene esclusa la volontà di licenziamenti collettivi, sottolineando che la scelta mira a valorizzare il capitale umano attraverso la creazione di una squadra unificata nel capoluogo piemontese.
Secondo dichiarazioni ufficiali, chi non potrà aderire al trasferimento riceverà soluzioni economiche adeguate e supporto nell’accesso agli strumenti previsti dalle norme italiane, come la Naspi. BasicNet ha rafforzato l’impegno al dialogo con le rappresentanze e al rispetto delle procedure stabilite dalla legislazione nazionale in materia di lavoro e tutele previdenziali.
L’azienda insiste sull’importanza di una transizione graduale e condivisa, sostenuta da percorsi di riconversione e reinserimento per i dipendenti che si trovassero nell’impossibilità di spostarsi a Torino. Si mantiene ferma la promessa di ridurre al minimo ogni impatto traumatico, affidandosi a una collaborazione stretta con le organizzazioni sindacali e al rispetto dei principi di corresponsabilità sociale.
Le rappresentanze dei lavoratori hanno definito la situazione come equiparabile a un licenziamento collettivo mascherato, denunciando la mancanza di soluzioni realmente alternative e l’insufficiente ascolto da parte della nuova proprietà. Gli incontri avviati presso i tavoli sindacali hanno il compito di negoziare le condizioni della transizione, compresi i tempi, le modalità e le eventuali indennità supplementari per chi non potrà trasferirsi.
I sindacati stanno inoltre promuovendo un coinvolgimento più ampio delle istituzioni locali e nazionali, nel tentativo di garantire il massimo livello di tutela e di evitare ripercussioni negative sulle famiglie coinvolte dal processo di accentramento. I presidi e lo “stato di agitazione” indetto mirano a costruire una pressione costruttiva ai fini del dialogo, ispirandosi anche a recenti vertenze del comparto moda, ove il ricorso a tavoli istituzionali è stato decisivo per la difesa dei posti di lavoro.