Il concetto di demansionamento nel diritto del lavoro si riferisce all’assegnazione di mansioni inferiori rispetto a quelle proprie del livello di inquadramento contrattuale o rispetto a quelle effettivamente svolte nella fase prevalente della carriera lavorativa.
Nel corso degli ultimi anni, l’assetto normativo italiano ha subito un’evoluzione significativa con l’introduzione del Jobs Act.
L’obiettivo della normativa è quello di tutelare la professionalità, la dignità e il percorso di crescita professionale del dipendente, impedendo che azioni unilaterali del datore di lavoro possano comprometterne le competenze e il valore sul mercato occupazionale.
Il demansionamento è considerato legittimo nei casi previsti dalla legge o dai CCNL, con rigoroso rispetto delle procedure e delle condizioni stabilite.
Le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 81/2015 hanno delineato un panorama articolato che ammette la possibilità di ricorrere al demansionamento solo in presenza di eccezioni precise, a salvaguardia di logiche di occupazione, esigenze organizzative comprovate o tramite specifici accordi negoziati tra le parti.
Ad esempio, una ristrutturazione aziendale, la ricollocazione per motivi di salute previsti dal contratto collettivo o un accordo valido stipulato all’interno delle sedi protette rappresentano situazioni nelle quali un simile provvedimento può essere attuato.
Entrando più nel dettaglio, le ipotesi in cui il passaggio a mansioni inferiori si configura come legittimo sono:
I Contratti Collettivi dettano regole ulteriori e settoriali per la disciplina della mobilità verso mansioni inferiori.
Spesso, tali accordi vengono sfruttati per fronteggiare crisi occupazionali, favorire processi di riconversione industriale o consentire il riadattamento del personale per motivi di salute.
Ogni CCNL infatti stabilisce livelli e categorie di inquadramento, definendo nel dettaglio quali mansioni, all’interno dello stesso settore, siano considerate equivalenti o inferiori.
Le norme attuali ammettono una deroga consensuale, a condizione che sia stipulata all’interno di sedi cosiddette protette, quali l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, organismi sindacali o le commissioni di certificazione.
Questa possibilità è finalizzata sia alla conservazione del rapporto sia alla soddisfazione di interessi meritevoli del lavoratore.
L’accordo individuale legittima eccezionalmente la modifica in pejus di mansioni, categoria e retribuzione, purché concluso in modo volontario, informato e con assistenza.
Il lavoratore ha la facoltà di essere accompagnato da rappresentanti sindacali, avvocati o consulenti di fiducia per garantire la piena consapevolezza e genuinità del consenso.
Nel contesto di licenziamenti motivati da ragioni oggettive o da crisi di mercato, la normativa impone al datore di lavoro di valutare preventivamente la possibilità di ricollocare il dipendente in altri ruoli compatibili all’interno dell’organizzazione.
Questo obbligo di repêchage si estende, a seguito delle recenti interpretazioni giurisprudenziali, non solo alle mansioni equivalenti, ma anche a quelle inferiori, purché il lavoratore accetti la nuova posizione.
Ciò significa che il passaggio a funzioni di livello meno elevato rappresenta, in alcuni scenari, una strategia di tutela dell’occupazione, sempre previa formalizzazione di un accordo individuale nei modi previsti dalla legge.
Il mancato adempimento dell’obbligo di ricollocazione può infatti comportare l’illegittimità del licenziamento stesso, con tutte le conseguenti tutele per il lavoratore.
La sentenza n. 19556/2025 della Corte di Cassazione introduce importanti precisazioni sul tema del demansionamento.
I giudici hanno stabilito che, per evitare il licenziamento, il datore di lavoro ha ora l’obbligo di offrire al dipendente non solo mansioni equivalenti, ma anche inferiori, legittimando così il demansionamento nel caso di riorganizzazione aziendale che impone specifiche necessità.
Secondo tale sentenza, il danno da demansionamento non è riconoscibile in via automatica ma richiede una concreta dimostrazione delle conseguenze subite dal lavoratore, sia in termini patrimoniali che non patrimoniali come la lesione alla professionalità.
Inoltre, la sentenza ribadisce che anche le dimissioni per giusta causa connesse a un demansionamento illegittimo devono essere sostanziate da specifiche e gravi condotte datoriali.
Quando l’assegnazione a mansioni inferiori avviene in presenza delle condizioni di legge o contrattuali sopra descritte, il lavoratore può mantenere sia la qualifica sia la retribuzione relativa al livello precedentemente ricoperto. Tale salvaguardia si applica ai casi di modifica organizzativa e di ricorso alle clausole dei CCNL.
Gli unici elementi economici soggetti a perdita sono quelli strettamente collegati alle modalità di esecuzione delle precedenti mansioni (come indennità di turno o di rischio specifiche), in quanto non più dovute nello svolgimento delle nuove funzioni.
La situazione cambia nel caso di accordi individuali validamente sottoscritti in sede protetta, i quali possono prevedere espressamente una riduzione sia della categoria sia del trattamento economico.
L’assegnazione a mansioni di livello inferiore è vietata salvo eccezioni specificamente indicate dalla legge. Il divieto generale mira a proteggere il patrimonio professionale del lavoratore, inteso come insieme delle competenze, delle esperienze acquisite e delle prospettive di autonomia e carriera.
L’adozione di mansioni sottodimensionate può, infatti, provocare obsolescenza professionale, incidere sul benessere psicologico e ridurre le opportunità di occupazione future allo stesso livello.
Il sistema normativo impone che tali variazioni, se non autorizzate da previsioni di legge, costituiscano una violazione contrattuale, con conseguente diritto per il lavoratore al ripristino delle proprie mansioni e alla richiesta di risarcimento per eventuali danni subiti.
Inoltre, il principio di non discriminazione e la salvaguardia della dignità personale rafforzano ulteriormente il quadro delle tutele, imponendo limiti stringenti all’esercizio del potere organizzativo datoriale.