Dal 2006 il tuo sito imparziale su Lavoro, Fisco, Investimenti, Pensioni, Aziende ed Auto

Quando si può licenziare un dipendente per assumerne un altro al suo posto? È valido solo per precisi motivi secondo Cassazione

di Chiara Compagnucci pubblicato il
Licenziare un dipendente e assumerne un

Il licenziamento per assumere un altro dipendente è tema delicato, regolato da norme specifiche e dalla giurisprudenza della Cassazione. La legittimità dipende da motivi oggettivi, obblighi e differenze tra pubblico e privato.

La liceità del licenziamento per sostituire un lavoratore rappresenta una delle tematiche più controverse del diritto del lavoro italiano. La materia è regolata da una fitta rete normativa e giurisprudenziale, con particolare rilievo per le pronunce della Corte di Cassazione, che nel tempo hanno specificato gli ambiti e i limiti di legittimità di tali decisioni datoriali.

Comprendere quando si può licenziare un dipendente per assumerne un altro, specialmente in relazione alle interpretazioni della Cassazione, è essenziale tanto per i datori quanto per i lavoratori. Questo approfondimento analizza principi, prassi e tutele, evidenziando il peso del repêchage (dovere di ricollocazione) e delle fattispecie concrete secondo gli ultimi orientamenti giurisprudenziali.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: principi generali e limiti

Il giustificato motivo oggettivo (GMO) rappresenta la causa di recesso datoriale collegata a necessità aziendali, economiche od organizzative, disciplinato dall’art. 3 della Legge n. 604/1966. Secondo la giurisprudenza più recente, il GMO si concretizza solo quando le esigenze dell’impresa comportano la reale soppressione del posto di lavoro o una modifica dell’organigramma. La Cassazione ha osservato che la scelta organizzativa deve essere autentica e non dettata da esigenze temporanee o fittizie. Non bastano mere motivazioni di convenienza imprenditoriale: la causa del licenziamento va dimostrata e, in caso di contenzioso, spetta al datore documentarla. Nei casi esaminati dai giudici, la soppressione della posizione ricoperta dal lavoratore deve essere effettiva e non reversibile, e non possono essere create nuove posizioni “ad personam” solo per aggirare il divieto di licenziamenti arbitrari. Il quadro è il seguente:

  • Soppressione del posto di lavoro: La Corte di Cassazione ha più volte ribadito la necessità che la posizione lavorativa sia effettivamente eliminata per ragioni di riorganizzazione, crisi aziendale durevole o innovazione tecnologica, e non semplicemente per sostituire l’individuo con altro personale (Sent. n. 25201/2016; Sent. n. 2739/2024).
  • L’obbligo di motivazione scritta: Il recesso deve essere comunicato per iscritto e la lettera di licenziamento deve esplicitare chiaramente la motivazione, consentendo al lavoratore di difendersi adeguatamente.
  • Condizione di extrema ratio: Il licenziamento per GMO deve rappresentare l’ultima soluzione effettivamente praticabile dopo l’esplorazione delle alternative interne (repêchage).
L’insindacabilità delle scelte organizzative resta ferma, ma è soggetta a verifica sulla loro reale incidenza sull’organigramma: pur nel rispetto dell’art. 41 Cost., la libertà di iniziativa economica non può tradursi in arbitrio datoriale. Il giudice può intervenire solo nel valutare la genuinità e la non strumentalità della decisione aziendale.

Il ruolo dell’obbligo di repêchage nelle decisioni della Cassazione

Il repêchage, ovvero il dovere del datore di lavoro di ricollocare il dipendente licenziando in altre posizioni compatibili e disponibili, rappresenta un presupposto imprescindibile ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Secondo la Cassazione (Cass. 6084/2021; Cass. 5592/2016), spetta sempre al datore di lavoro la dimostrazione dell’oggettiva impossibilità di ricollocare il lavoratore, senza che egli sia tenuto a modificare la struttura aziendale o creare nuovi ruoli ad hoc.

Il perimetro di verifica è limitato a posizioni realmente esistenti e compatibili con la professionalità acquisita dal lavoratore (Cass. n. 1364/2025). Non sussiste obbligo di offrire ulteriori formazioni o ricollocamenti in mansioni eterogenee rispetto a quelle già svolte dal dipendente.

È legittimo il recesso quando tutte le collocazioni alternative nell’area di competenza risultano occupate e non seguono assunzioni in ruoli analoghi in tempi ravvicinati al licenziamento.

Le sentenze sottolineano come la mancata assunzione di nuovi dipendenti con competenze identiche o compatibili rappresenti elemento indiziario della corretta applicazione del repêchage. Ad esempio, la riassunzione di personale con mansioni diverse o molto tempo dopo il licenziamento non è indice di violazione dell’obbligo di ricollocamento. In pratica:

Cosa grava sul datore

Provare mancanza di posti liberi compatibili con la professionalità del dipendente

Non richiesto

Riorganizzazione che imponga creazione di nuove posizioni o formazione accessoria

Onere del lavoratore

Solo eventuale indicazione specifica di ruoli disponibili individuati (la mancata allegazione non incide sull'onere della prova datoriale)


 

Nuove assunzioni dopo il licenziamento: quando sono legittime?

L’assunzione di nuovo personale successive a un licenziamento per motivi oggettivi, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, può risultare conforme alla normativa in determinate circostanze:

  • Compatibilità delle mansioni: l’arruolamento di lavoratori con professionalità diversa o esperienza eterogenea non integra violazione se queste figure professionali non erano sostituibili con il collaboratore licenziato (Cass. 11413/2018; Cass. 7218/2021).
  • Intervallo temporale congruo: è ritenuto espressione di sopravvenute esigenze aziendali la nuova assunzione a distanza dal licenziamento. Ad esempio, assunzioni oltre i sei mesi o in seguito a riorganizzazione radicale non sono automaticamente indizi di intento elusivo.
  • Contratti a termine e somministrazione: il ricorso a personale temporaneo, interinali o stagionali per esigenze specifiche, non equivale a una sostituzione stabile né contrasta con il repêchage.
Assunzioni nella stessa qualifica o subito dopo il licenziamento rischiano di far emergere la mancata genuinità della soppressione del posto, con il rischio di veder riconosciuto un licenziamento nullo o privo di giustificato motivo oggettivo. Al contrario, nuove assunzioni in ruoli specialistici, aggiornati o che richiedano professionalità diverse, anche se vicine nel tempo, non costituiscono di per sé violazione della normativa.

Differenze tra settore pubblico e privato nella sostituzione dei dipendenti

L’analisi delle differenze tra settore pubblico e privato mette in risalto diversi livelli di rigidità e tutela nei confronti del lavoratore. Nel pubblico impiego, le procedure di licenziamento sono generalmente più rigide, esistendo una regolamentazione puntuale delle dotazioni organiche e della mobilità interna, il che rende più stringente la verifica del repêchage. Qualora il dipendente venga messo in esubero a seguito di riorganizzazione o soppressione del posto, il datore pubblico deve dimostrare in modo chiaro l’insussistenza di alternative, tenendo conto delle graduatorie e dei vincoli concorsuali. Le differenze sono:

  • Settore pubblico: la Cassazione ha riconosciuto la possibilità di licenziamento solo ove la trasformazione sia necessaria e nessun’altra soluzione sia praticabile, con particolare rispetto delle tutele previste dal D.Lgs. 81/2015 e del Testo Unico sul pubblico impiego.
  • Settore privato: la flessibilità organizzativa è maggiore, ma resta fermo l’onere datoriale di provare la reale soppressione del ruolo e di provvedere al repêchage se vi sono posizioni equivalenti libere.
Nei rapporti privati, la contrattazione collettiva può introdurre tutele aggiuntive ed è di rilievo la dimensione aziendale: imprese con meno di 15 dipendenti godono di maggiori margini d’azione rispetto alle grandi strutture.
Leggi anche