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A che età si riesce a raggiungere il successo sul lavoro in media in Italia

A che età si raggiunge in media il successo sul lavoro in Italia e quali fattori influenzano questo traguardo professionale

Autore: Marcello Tansini
pubblicato il
e aggiornato con informazioni attualizzate il
A che età si riesce a raggiungere il suc

L'ascesa nella carriera in Italia segue percorsi differenti rispetto al passato, riflettendo la complessità del tessuto socio-economico nazionale. Nel contesto attuale, il successo professionale non è legato esclusivamente alle tempistiche di ingresso nel mercato del lavoro, ma viene influenzato da molteplici variabili, a partire dalle trasformazioni demografiche fino alle dinamiche di formazione e alle opportunità offerte dai diversi settori. La età media si innalza progressivamente, rispecchiando tendenze diffuse a livello europeo e internazionale che mettono in discussione gli stereotipi associati alla "giovinezza" come sola condizione per emergere. Accrescere e aggiornare le proprie competenze durante tutta la vita diventa una strategia essenziale per mantenere la competitività. Questo quadro, accompagnato da sfide legate a disparità di genere e ricambio generazionale ridotto, offre l'occasione per una riflessione sulle reali condizioni che consentono di raggiungere ruoli apicali e soddisfazione professionale in Italia.

Evoluzione dell'età media sul lavoro, dati demografici e trend attuali

L’invecchiamento della popolazione italiana incide profondamente sulla struttura della forza lavoro e sull’età media con cui si raggiungono posizioni di rilievo. Secondo le ultime rilevazioni di ISTAT e CNEL, nel 2024 l'età media dei lavoratori è salita a 44,2 anni, segnando un incremento superiore ai due anni rispetto al 2019. Questa crescita deriva sia dal prolungamento dei percorsi di studio e dall’innalzamento dei requisiti pensionistici, sia dal ridotto ingresso di giovani dovuto a fenomeni come la bassa natalità e la fuga verso l'estero. Inoltre, risultano in aumento gli over 50 attivi, compresi più di un milione di pensionati che scelgono di continuare a lavorare. In particolare, nell’Italia centrale l’età media degli occupati supera i 44,6 anni e nel Nord si attesta sui 44,4; il Sud resta mediamente più giovane ma mantiene un trend di invecchiamento costante.

Le posizioni di vertice, tradizionalmente raggiunte dopo lunghe esperienze interne, resistono all’avvicendamento con le nuove leve, come attestano vari studi tra cui l’annuale "Route To The Top" di Heidrick & Struggles. Solo il 13% dei CEO italiani riceve la nomina prima dei 45 anni; nel settore pubblico, la situazione è ancora più statica, con un'età media dei dipendenti intorno ai 50 anni secondo l’ARAN. Il rallentamento del turnover produce effetti diretti sulla carriera dei giovani, che incontrano crescenti difficoltà nell’accedere a segmenti superiori della distribuzione salariale, mentre i lavoratori senior si consolidano in posizioni meglio retribuite. Tale quadro ha portato a una significativa crescita della disuguaglianza salariale per età, con la probabilità dei giovani di entrare nel quartile superiore dei salari che è diminuita di oltre un terzo negli ultimi decenni, sia nel settore privato che nella PA. D’altro canto, la presenza prolungata dei lavoratori più esperti garantisce uno scambio di competenze e conoscenze, benché i rischi di stagnazione e rallentamento dell’innovazione aziendale restino elevati in assenza di efficaci processi di mentoring e upskilling. Le aziende più dinamiche stanno ridefinendo i criteri di selezione e valorizzazione, eliminando progressivamente il vincolo dell’età nei recruitment e lanciando programmi di formazione intergenerazionale, ma il fenomeno rimane limitato. In questo scenario, le dinamiche di successo appaiono meno legate all’età cronologica e più all’effettiva possibilità di accedere a percorsi di crescita interni, a pratiche meritocratiche e a politiche di diversity e inclusion capaci di valorizzare ogni talento indipendentemente dalla generazione di appartenenza.

Fattori che influenzano il raggiungimento del successo: formazione, carriera e genere

Tra le variabili che determinano quando si raggiungono ruoli di successo nell’ambito lavorativo emergono diversi fattori:

  • Formazione: il possesso di titoli avanzati, come dottorati o MBA, è meno diffuso tra i top manager italiani rispetto al resto d’Europa (38% contro il 70% europeo). Tuttavia, percorsi formativi diversificati e upskilling permanente sono sempre più riconosciuti come strumenti qualificanti per l’accesso a carriere apicali.
  • Percorso di carriera: il 55% dei CEO italiani arriva ai vertici attraverso progressione interna; solo una minoranza viene inserita dall'esterno, con tempistiche di avanzamento generalmente più dilatate rispetto ad altri Paesi UE. L’esperienza e la permanenza in azienda, in assenza di rapide ascese meritocratiche, restano determinanti nel conferimento di responsabilità elevate.
  • Genere: secondo le ultime analisi, le donne rappresentano meno del 3% dei CEO nelle società quotate italiane, e sebbene siano la maggioranza nel pubblico impiego, solo una su tre arriva a posizioni manageriali. Inoltre, il divario di genere si riflette anche nell’accesso alle pensioni e nell’occupazione post-pensione: il 68,3% delle donne tra i 65 e 74 anni riceve una pensione, contro l’87,7% degli uomini, con profonde implicazioni sulla sostenibilità dei percorsi di lavoro femminili.

Questi dati illustrano come la età media per il successo sia spesso il risultato di variabili strutturali, che investono i sistemi educativi, la cultura organizzativa e le policy di parità.

Il ruolo dell’invecchiamento della forza lavoro e le prospettive future

L’intensificarsi dell’invecchiamento demografico impone una revisione delle strategie lavorative su scale individuali e di sistema. Dal 2004 al 2024, in Italia il numero di occupati over 50 è cresciuto di quasi 5 milioni, compensando il calo della forza lavoro giovane e di mezza età. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) prevede che entro il 2060 la popolazione in età attiva calerà del 24%, mentre il rapporto di dipendenza degli anziani toccherà il 76%. Questo scenario provoca effetti rilevanti sul mercato del lavoro:

  • Aumento della partecipazione dei senior: Oltre il 21% della forza lavoro ha più di 55 anni, quota destinata a salire al 32% entro il 2030;
  • Allungamento delle carriere: Le riforme pensionistiche e la crisi della natalità impongono periodi lavorativi più lunghi rispetto al passato, con età media di pensionamento sui 61,4 anni;
  • Nuovi modelli di uscita dal lavoro: Si affermano forme di pensionamento graduale (cumulo tra reddito e pensione), tuttavia in Italia solo il 9,9% dei lavoratori 50-69 anni continua l’attività dopo il pensionamento, rispetto al 22,4% della media UE.

L’invecchiamento impone di recuperare produttività attraverso il ricomposizionamento delle competenze e la valorizzazione dell’esperienza, mentre i rischi associati riguardano la sostenibilità dei sistemi previdenziali, il rischio di impoverimento delle dinamiche innovative e l’aumento delle disuguaglianze generazionali. Le prospettive future suggeriscono la necessità di incentivare la formazione e il lavoro femminile, l’inclusione dei migranti e politiche di age management a supporto della coesistenza efficiente tra generazioni di lavoratori.

Differenze tra settore pubblico e privato, carriere e ricambio generazionale

Nel settore pubblico, la stabilità lavorativa e le modalità di accesso tramite concorsi hanno storicamente rallentato il ricambio generazionale. Secondo ARAN, il 38% dei dipendenti della pubblica amministrazione ha tra i 50 e i 59 anni, solo il 6% è sotto i 30, e l’età media supera i 50 anni. Le posizioni dirigenziali sono prevalentemente occupate da lavoratori tra i 35 e i 54 anni, mentre la presenza giovanile resta marginale. Il Governo, consapevole del rischio di stallo, ha avviato campagne di assunzione e semplificato le procedure concorsuali per riequilibrare l’età della forza lavoro pubblica. Nel settore privato, pur in presenza di simili trend di invecchiamento, la diversità generazionale è favorita da maggiori flessibilità nei processi di selezione, ma la lunghezza delle carriere e la scarsa mobilità ostacolano la rapida crescita di nuovi leader. Il divario di genere persiste in entrambi i settori, seppur con modalità differenti: nella PA le donne sono maggioranza tra gli assunti ma sotto rappresentate nei ruoli apicali; nel privato, il fenomeno della "pipeline bloccata" limita ulteriormente la progressione femminile. In entrambi i contesti, il ricambio generazionale rimane una via imprescindibile per rilanciare produttività, innovazione e qualità dei servizi.