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Che cos'è il patto di prova e perché è fondamentale che ci sia nel contratto di lavoro. E conseguenze se non è presente

Affinché il patto di prova sia valido deve essere formalizzato per iscritto prima dell'inizio della prestazione lavorativa.

Autore: Chiara Compagnucci
pubblicato il
Che cos'è il patto di prova e perché è f

La funzione del patto di prova è regolata dall'articolo 2096 del Codice Civile e permette al datore di lavoro di verificare la congruenza tra il profilo professionale del lavoratore e le esigenze dell'azienda. Ma allo stesso tempo consente al lavoratore di sperimentare se il contesto in cui è stato inserito rispecchia le proprie aspettative sotto il profilo ambientale, organizzativo e umano.

A rendere prezioso questo strumento è la sua natura bilaterale: non è una facoltà unilaterale del datore di lavoro, ma un'opportunità di valutazione reciproca. In altre parole, entrambe le parti possono recedere dal rapporto in corso senza fornire una motivazione formale, purché il recesso sia esercitato nel rispetto della buona fede e della correttezza contrattuale. È una clausola che regola la qualità della collaborazione futura e ne definisce implicitamente le aspettative.

L'assenza di un patto di prova, oppure la sua redazione in forma irregolare, priva le parti di questa fase esplorativa e produce conseguenze che vanno ben oltre la semplice inefficacia della clausola. Se tale patto manca, il recesso anticipato si trasforma in un licenziamento soggetto a tutte le garanzie di legge, comprese quelle previste dallo Statuto dei Lavoratori o dal Jobs Act. Capiamo meglio;

  • Requisiti formali e contenuto del patto di prova

  • Durata, decadenza e invalidità del patto di prova

  • Conseguenze dell'assenza o della nullità del patto

Requisiti formali e contenuto del patto di prova

Affinché il patto di prova sia valido deve essere formalizzato per iscritto prima dell'inizio della prestazione lavorativa. La forma scritta è richiesta ad substantiam, cioè è una condizione di validità giuridica. In mancanza della firma, il patto è da considerarsi nullo, e qualsiasi tentativo di recesso da parte dell'azienda è interpretato come licenziamento vero e proprio.

Altro elemento per la legittimità della clausola è l'indicazione untuale delle mansioni oggetto della prova. È del tutto insufficiente e inadeguato indicare genericamente che il lavoratore sarà assunto come impiegato o come operaio: una dicitura di questo tipo compromette la possibilità, di compiere una valutazione effettiva. La specificità non è una formalità ma una garanzia di trasparenza e correttezza. Qualora il contratto rinvii genericamente al livello contrattuale o al CCNL applicabile, senza dettagli sulle funzioni da svolgere, il patto è nullo per indeterminatezza dell'oggetto.

Infine la tempistica. Il patto di prova deve essere sottoscritto prima dell'inizio dell'attività lavorativa. Anche un solo giorno di ritardo rende inefficace la clausola, poiché l'accordo perderebbe la sua funzione preventiva e valutativa, contravvenendo alla sua stessa logica. Nessuna accettazione retroattiva da parte del lavoratore può sanare questa irregolarità, perché il diritto del lavoro è costruito per tutelare l'effettiva libertà e consapevolezza dell'adesione.

Durata, decadenza e invalidità del patto di prova

Sebbene non esista una durata univoca e assoluta prevista dalla legge, i Ccnl stabiliscono i limiti temporali entro cui si può inserire la prova. Per gli operai e gli impiegati, la durata si estende da uno a tre mesi; per i quadri e i dirigenti si può arrivare a sei mesi, prorogabili nei casi previsti. È ammesso che le parti concordino periodi inferiori rispetto a quelli massimi consentiti, ma non è possibile eccedere questi limiti, pena la nullità parziale del patto, ridotto alla durata ammessa dal contratto collettivo.

Nel momento in cui il patto venga redatto senza specificare le mansioni, o laddove differiscano da quelle svolte, si configura una sostanziale della clausola, con effetto retroattivo. Il lavoratore, in tal caso, si considera assunto a tempo indeterminato fin dall'inizio, con tutte le conseguenze giuridiche e retributive del caso. Ancora più grave è l'ipotesi di reiterazione strumentale della clausola di prova: se un datore di lavoro attiva più contratti consecutivi con la stessa persona, per le medesime mansioni e senza soluzioni di continuità, inserendo ogni volta la clausola di prova, si configura un abuso del diritto, e la clausola viene considerata tamquam non esset.

Anche in presenza di un patto apparentemente valido, la giurisprudenza impone che l'esercizio del recesso sia sempre conforme a buona fede e correttezza. Un datore di lavoro che interrompa la prova per ragioni discriminatorie, ritorsive o estranee alla valutazione lavorativa viola i principi fondamentali del rapporto contrattuale. In questi casi, il lavoratore può impugnare il recesso e chiedere il riconoscimento delle tutele previste per i licenziamenti illegittimi, tra cui reintegrazione e risarcimento del danno.

Conseguenze dell'assenza o della nullità del patto

Quando un patto di prova è assente o ritenuto nullo, il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato sin dal giorno dell'assunzione. Il datore di lavoro non può più recedere ad nutum cioè liberamente e senza motivazione, ma deve dimostrare l'esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo per interrompere il rapporto. In caso contrario il licenziamento è illegittimo.

Le tutele applicabili al lavoratore dipendono dalla data di assunzione. Per i contratti avviati prima del 7 marzo 2015, la legge consente l'applicazione della tutela reintegratoria piena, che comporta la possibilità per il giudice di ordinare il reintegro nel posto di lavoro, oltre al pagamento delle retribuzioni arretrate. Per le assunzioni successive si applica il sistema previsto dal Jobs Act, che introduce una tutela indennitaria graduata sulla base dell'anzianità di servizio e della dimensione dell'impresa, con importi compresi tra un minimo e un massimo prefissato dalla norma.

Nel caso in cui il lavoratore intenda impugnare il recesso ritenuto illegittimo, deve rispettare due scadenze: 60 giorni dalla data di comunicazione per l'impugnazione stragiudiziale e 180 giorni per la proposizione del ricorso giudiziale. Il mancato rispetto di questi termini comporta la decadenza dal diritto di azione. La dimensione dell'azienda incide infine sull'ampiezza della tutela: le imprese con meno di 15 dipendenti sono soggette a un regime attenuato, con indennità inferiori.